(4 settembre 2015)
Tirare le conclusioni. E’ una parola! Come si fa a tirare le conclusione di una settimana teologica? Mi limito quindi a qualche nota conclusiva in vista di future riprese.
Sono state serate intense, molto interessanti, quelle che abbiamo vissuto. Anche assai animate, stimolanti, sia per i relatori che per gli interventi. Come ho già detto, per me è stata un’esperienza nuova che ho vissuto con interiore partecipazione e gusto. Mi sento di confermare in pieno questa iniziativa che ha già 28 anni, ma che può avere davanti a sé molti anni ancora. Forse ci sarà da rivedere qualche cosa nella sua formula, forse nelle date, nel periodo, non so. Lo vedremo. Anche la numerosa partecipazione è un bel segno e mi fa dire e lo ribadisco, che la Settimana teologia è un vera perla preziosa della Chiesa pistoiese e, come vescovo di questa diocesi, me sono orgoglioso.
Voglio qui pubblicamente e sinceramente ringraziare Mons. Frosini per averla pensata 28 anni fa e per averla animata in tutti questi anni, con la sua passione e la sua intelligenza. Credo davvero che la Diocesi, anche solo per questo, gli debba gratitudine e sono certo che la Settimana teologica rimarrà nella storia di questa Chiesa particolare come qualcosa d’importante. Lo ringrazio anche per la consapevolezza sempre a me manifestata, di aver voluto in questo modo servire con il meglio di sé la Chiesa di Pistoia. Lo ringrazio infine per la sua relazione che ci ha fatto ancora una volta capire, giustamente, che senza l’impegno nel mondo, senza una presenza di giustizia e di amore dentro la storia, senza un impegno personale e sociale nella società, dalla parte dei poveri e coi poveri, non si da fede autentica, vera speranza e genuina carità. Don Frosini è un teologo di rilievo nel panorama italiano e anche oltre. Si può non esser d’accordo con lui su qualche cosa, si può avere una sensibilità teologica diversa, si può discutere con lui. E’ però un pensatore di valore, soprattutto per l’attaccamento e l’amore forte al Concilio Vaticano II e l’attenzione a tutto ciò che attiene alle problematiche della presenza della Chiesa nel mondo.
Sono stato molto contento del tema che, insieme proprio a don Frosini, abbiamo scelto per questa Settimana. L’Evangelii Gaudium di Papa Francesco rappresenta sicuramente, insieme ai suoi gesti e alle sue azioni concrete, il dono specifico di questo pontificato. Novità, certamente, ma dentro un solco già tracciato. Si può dire ciò che si vuole, si possono fare tutte le critiche e notare tutte le differenze che vogliamo, dobbiamo però dire che da 150 anni a questa parte il Signore ci ha donato Papi straordinari; molto diversi l’uno dall’altro, ma ognuno a suo modo grande e qualcuno anche santo. Invece di lamentarci, dovremmo ringraziare davvero il Signore per questa grazia abbondante e semmai domandarci se noi, con le nostre sottigliezze bizantine, non abbiamo a volte sperperato questa grazia.
Le relazioni e le discussioni di questa settimana ci hanno permesso di approfondire l’Esortazione papale e di coglierne il messaggio fondamentale, racchiuso proprio nelle parole che danno nome all’esortazione “la gioia del Vangelo”. Che ci sia gioia per noi e per gli altri. Che ci sia gioia nella Chiesa e dentro le periferie del mondo. Gioia “rivoluzionaria”, mi piace chiamarla così, perché annuncia e cerca un nuovo assetto del mondo, a partire dal cuore di ognuno che deve essere quello stesso di Cristo. Non vorrei che sfuggisse che la Evangelii Gaudium si colloca consapevolmente dentro questo nostro mondo, in questo preciso momento storico. Non quello degli anni sessanta o ottanta o comunque del passato. Non ribadisce semplicemente quanto ci poteva dire allora. No, si colloca nell’oggi, in questo oggi dove si fa fatica a essere nella gioia, certamente di fronte al dramma che vediamo ogni giorno, ma anche per il vuoto interiore, la barbarie che avanza, la indifferenza che si globalizza, il deserto nei cuori e nelle città.
Quello che credo dobbiamo capire sono i nuovi scenari del mondo, il contesto nel quale siamo collocati, anche per comprendere bene la Evangelii Gaudium La crisi che viviamo non è solo economica, né solo sociale, ma anche morale e di umanità. Più profondamente ancora – a mio parere – è crisi di motivazioni autentiche nel cuore delle persone. Mi ritornano sempre in mente le parole di una canzone di Vasco Rossi di qualche anno fa, emblematiche: “Voglio trovare un senso a questa vita. Anche se questa vita un senso non ce l’ha. Voglio trovare un senso a questa storia. Anche se questa storia un senso non ce l’ha”. E’ questo il punto. Oggi, nel nostro mondo occidentale almeno, siamo in crisi di motivazioni. E’ il perché, il motivo per cui devo agire che è andato in crisi. I motivi profondi, quelli valoriali, quelli autentici…. E sono rimasti i motivi corti, in questa epoca della passioni tristi come è stata definita; sono rimasti i motivi utilitaristici e individualistici. E di qui il prevalere dell’interesse personale avanti a tutto, di qui la corruzione, di qui la globalizzazione dell’indifferenza, l’appannamento della ragione, la menzogna, l’economia che uccide, la distruzione dell’ambiente e così via.
In questo preciso contesto si colloca l’esortazione del Papa, che è si rivolta alla chiesa, ma perché si renda conto della sua missione nel mondo. Se è chiamata ad essere “ospedale da campo”, secondo l’espressione usata da Papa Francesco, è perché siamo in mezzo a un campo di battaglia e ci sono uomini e donne concreti morti e feriti per ogni dove, rovine e distruzioni dappertutto e nei cuori, primariamente. E’ questo che ci deve fortemente inquietare, come dice lo stupendo per me n. 49 della Evangelii Gaudium già citato in questi giorni: “se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza – dice il Papa – è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita.”
Se però la crisi profonda sta nelle motivazioni, nel fatto che non si ha più un perché fondo, forte, di valore che spinge ad aprirmi agli altri con generosità, a donare la propria vita per il bene di tutti, potremmo vedere mille e mille foto di bambini morti sulla spiaggia, ma irrimediabilmente, a parte la commozione televisiva di un momento, non cambierà niente. Se la crisi è nelle motivazioni, la risposta non può essere nemmeno prima di tutto nella politica, nelle leggi, nel cambiamento delle strutture, semplicemente perché non ci saranno gli uomini per realizzarle, queste cose! La politica ha lei stessa bisogno di motivazioni ideali e forti, concrete e alte, nobili e generose altrimenti diventa – come purtroppo spesso vediamo – gioco di interessi contrapposti e comitato d’affari.
Ci vuole allora qualcosa che scaldi il cuore, che faccia rinascere la voglia, che faccia sorgere nell’animo quelle motivazioni profonde e forti che smuovono il coraggio, l’ardore e una intelligenza affascinata dal vero. Qualcosa che appunto riesca a rimotivare l’uomo. E questo è il Vangelo. Semplicemente il vangelo di Gesù Cristo; il Vangelo della misericordia, annunciato, vissuto e testimoniato nella gioia da una comunità di fratelli che si amano. Papa Francesco l’ha capito e ce lo dice con molta chiarezza. Per questo voglio concludere riportando una bellissima pagina della Evangelii Gaudium che indica molto bene ciò che, come singoli e come chiesa, dobbiamo innanzitutto fare e che è uno degli obiettivi primari che vorrei perseguire in questa chiesa pistoiese. Anche noi, infatti, vescovo, preti e laici, abbiamo soprattutto bisogno di ritrovare le motivazioni più forti e autentiche del nostro essere e del nostro operare. Anche se un po’ lungo permettetemi che riporti per intero il n. 264 della Evangelii Gaudium, perché mi ci ritrovo davvero molto.. “La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’amore che scoprì Natanaele il giorno in cui Gesù si fece presente e gli disse: «Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48). Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita! Dunque, ciò che succede è che, in definitiva, «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo» (1 Gv 1,3). La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri.”