Omelia per l’apertura del Sinodo Diocesano

Omelia per l’apertura del Sinodo Diocesano. V° Domenica di Quaresima anno A

(Cattedrale di San Zeno, 25 marzo 2023)

 

“Lazzaro, vieni fuori!”. Il grido a gran voce di Gesù squarcia le tenebre della morte e preannuncia la Pasqua.

L’amico è morto; è già nella tomba da quattro giorni e ogni speranza sembra totalmente persa. Invece quel grido cambia le carte in tavola: Lazzaro esce fuori dalla tomba, richiamato in vita dalla potenza dell’amore di Cristo. Di lì a poco Cristo stesso verrà catturato, processato e crocifisso. Morto, sarà anch’egli deposto in un sepolcro. Ma tra pochi giorni, nella notte della grande Veglia pasquale grideremo: Alleluia, Cristo è Risorto; Cristo nostra speranza è risorto; vittorioso sul peccato, su ogni male, sulla morte!

Ma il grido di Gesù, carissimi amici e fratelli, questa sera è rivolto a ciascuno di noi e alla nostra chiesa. Gesù ci vede bisognosi di salvezza. Bisognosi di uscire fuori dalle nostre paure e chiusure. Con il sinodo Diocesano, ci dice di alzarci, di risorgere a vita nuova, di intraprendere con coraggio la vita nella testimonianza del suo amore.

Il Sinodo diocesano è un atto d’amore del Padre per la nostra Chiesa. Un atto d’amore di Dio Padre per mezzo del Figlio unigenito, mediante una speciale effusione dello Spirito Santo. È un dono d’amore innanzitutto perché ci riunisce insieme, noi così tante volte dispersi e frantumati; perchè ci fa essere un corpo solo che voi sinodali ben rappresentate, investiti stasera dal soffio dello Spirito, per vivere giorni indimenticabili di unità e di speranza; è un dono d’amore perché ci insegna ad essere una chiesa sinodale che cammina insieme e insieme testimonia l’amore del Signore. È un dono d’amore, inoltre, perché ci invita a guardare avanti, verso gli altri, verso tutti gli uomini e le donne del nostro tempo e dei nostri territori, ai quali siamo inviati come debitori di amore e come testimoni che rispondono alle attese di Vangelo presenti nel cuore di tutti e della società. Ma questo sinodo è un dono d’amore di Dio anche per la nostra terra e per i suoi abitanti che possono incontrare una chiesa rinnovata, amica e più disponibile al servizio del Vangelo e quindi risorsa importante per il bene stesso di tutti.

Una cosa vorrei però che faceste attenzione: è un fatto che merita la nostra attenzione: il grido pieno di vita e di speranza di Cristo verso l’amico Lazzaro è preceduto dal pianto di Gesù. Raramente si ricorda nei racconti evangelici il pianto del Signore. Nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, si dice addirittura che Gesù “scoppiò in pianto”, commosso profondamente e molto turbato dalle parole piene di lacrime di Maria. Gesù piange per la morte dell’amico. Ma possiamo vedere in questo pianto qualcosa di simbolico che rimanda a Gesù che piange davanti alla città santa Gerusalemme, che non ha compreso la via della pace (Luca 19, 41-42) o a Gesù che piange ancora drammaticamente mentre suda sangue nella notte terribile del Getsemani. Il pianto di Gesù è dunque per la morte dell’amico ma soprattutto per quello che la morte significa: il peccato degli uomini.

Questa sera, allora, carissimi amici dobbiamo sapere che il Signore Gesù piange anche sulla nostra chiesa, su di noi, perché ci vede spesso morti o feriti mortalmente. A lui sono noti tutti i nostri peccati; Egli conosce le nostre divisioni, le nostre faziosità, le gelosie, le invidie; conosce i nostri tradimenti, le inadempienze della nostra chiesa; vede e conosce tutte le fragilità delle nostre parrocchie, la povertà della nostra fede, il nostro poco entusiasmo nell’annunciare il vangelo, la chiusura del cuore e della mente nei confronti dei fratelli e sorelle del mondo. Vede tutte le rughe della nostra Chiesa e piange. Il pianto sull’amico Lazzaro è stasera il pianto di Cristo anche su di noi, morti a causa delle nostre infedeltà. Ma è proprio per questo che Egli ci convoca in sinodo: perchè riconosciamo i nostri mali, li confessiamo e per essere da Lui perdonati e riprendere il cammino in novità di vita. E celebrando il nostro sinodo, noi sentiamo le lacrime di Cristo scorrere su di noi, per farci pentire dei nostri peccati e purificarci, lavandoci dalle nostre sozzure.

Non vorrei però che sfuggisse ancora un’altra circostanza nell’episodio narrato dal Vangelo; molto importante per completare la nostra riflessione di questa sera: il grido che richiama alla vita Lazzaro è preceduto dal pianto di Gesù ma questo è a sua volta preceduto e causato dal grande affetto di Gesù per Lazzaro e le sue sorelle Marta e Maria. Quella dei tre fratelli era infatti anche la casa di Gesù. Dove Egli spesso si è riposato dalle fatiche dell’annuncio del Regno. Lì ha trovato conforto, il calore dell’amicizia, la fraterna condivisione di un pasto tra amici. A loro aveva donato più volte la sua amicizia. Sottolineo questo fatto perché ci riguarda molto da vicino e dobbiamo esserne consapevoli, proprio nel momento in cui celebriamo il nostro Sinodo.

Cosa voglio dire? Che saremmo davvero degli ingrati e prima di tutto dei ciechi se ci fermassimo questa sera e durante la celebrazione del sinodo a guardare soltanto ai nostri mali in un lamento che non ha fine e che non è che sterile rimpianto che nasce dall’orgoglio. Innanzitutto, dobbiamo invece riconoscere l’amore che Dio ha mostrato a noi e alla nostra Chiesa. Dobbiamo piuttosto saper rendere grazie per quanto lo Spirito Santo ha operato e va operando in mezzo a noi. Lo Spirito infatti ha operato e suscitato ministeri e carismi, spinto alla conversione e compiuto meraviglie nei cuori di tanti di noi. Egli ci ha riempito di doni preziosi di santità, quella della porta accanto ma anche quella di figure eminenti e particolarmente significative; ci ha riempito di doni preziosi di carità feconda e gioiosa. Ne dobbiamo essere consapevoli e dire, con San Paolo: lo Spirito Santo abita in noi e ci dà la vita. Abbiamo alle spalle una storia nella quale, come in quella del popolo di Israele, non possiamo non riconoscere i magnalia dei, cioè gli interventi premurosi e teneri del Signore. Anche i suoi scossoni forti, ma sempre con la sovrabbondanza della misericordia e della sua tenerezza. Non siamo qui provenienti dal nulla. Abbiamo alle spalle un cammino di salvezza che di anno in anno ci ha condotto a conoscere il Signore e a sperimentare la grandezza del suo amore. Si, spesso siamo stati ingrati e peccatori. Ma ciò non toglie che dobbiamo riconoscere anche tutte le cose buone che ci sono in mezzo a noi, nelle nostre parrocchie, nelle nostre varie realtà, dono premuroso dello Spirito Santo. E un sinodo si fa anche per rendere grazie a Dio di quanto Egli ha fatto per noi, perché Egli ci ha condotto e continua a soffiare nelle ali della nostra vita e della nostra chiesa perchè siamo testimoni coraggiosi e fedeli del suo amore.

È proprio in questa scia di bene e di doni che si inserisce il nostro Sinodo, tenerezza dello Spirito, consolazione del suo soffio vitale. Siamone riconoscenti e viviamo questo sinodo che iniziamo oggi e che chiuderemo, a Dio piacendo l’anno prossimo, con impegno ma soprattutto con gratitudine. Ne usciremo una chiesa più sinodale, che cammina insieme e che, insieme, si fa attenta alle attese, alle gioie e alle angosce, alle sofferenze e alle speranze delle persone in mezzo alle quali vive.

Nell’ampia consultazione che ha preceduto questa prima sessione del Sinodo diocesano e che in parte ha trovato sintesi nello Strumento di Lavoro che oggi vi viene messo tra le mani come base del lavoro sinodale, sono emersi alcuni bisogni, alcune attese, alcune importanti aspettative dentro il cuore delle persone. Riconosciamo in tutto questo la voce dello Spirito. Attraverso i lavori sinodali questa voce si farà più chiara e capiremo ciò che lo Spirito dice alla nostra chiesa, quelle che sono le sfide principali da affrontare per essere chiesa fra la gente, ospedale da campo, tenda della fraternità che fa respirare già fin d’ora pezzi di cielo.

Mi pare che si possa allora concludere al meglio questa riflessione, riportando le parole della prima lettura tratta dal profeta Ezechiele, dove Dio stesso, rivolto a noi, chiesa di Pistoia, stasera ci dice: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò».