Omelia in occasione del Pellegrinaggio Diocesano Giubilare (1 ottobre 2016)

Pellegrinaggio Roma
1 ottobre 2016

“Sia benedetto Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce.”

Così ci ha detto poco fa l’apostolo Pietro. Sì. Sia benedetto Dio per il suo amore senza confini e limiti. Sia benedetto Dio perché siamo qui, così tanti, chiesa di Pistoia, raccolta nell’unità, con me vostro vescovo, coi presbiteri e i diaconi, attorno all’altare della cattedra di S.Pietro e del suo successore il Papa.

È un segno della Misericordia di Dio, il nostro essere qui a manifestare la nostra fede, esprimere la nostra speranza, animarci alla carità più generosa. Sia benedetto davvero Dio, ora e sempre. Dalle nostre bocche oggi esca un canto di gratitudine, di riconoscenza, di lode per aver fatto di noi il suo Popolo santo. È una vera grazia, fratelli e sorelle carissimi, credetemi, essere parte della Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica; un solo gregge sotto un solo pastore, col Papa e i vescovi, coi laici, i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose. Godiamo fratelli e sorelle, di essere la chiesa del Signore. Quella fondata da Gesù Cristo, quella che ha attraversato i secoli, quella che nei suoi figli peccatori è stata imbrattata di sporcizia, ma anche quella che ha brillato e brilla per la sfolgorante candida schiera dei martiri, dei confessori della fede, dei santi e delle sante di ogni tempo. Quella di sempre e quella sempre nuova che si rinnova oggi sotto la guida di Papa Francesco.

Assaporiamo, fratelli e sorelle la gioia di sentirci corpo del Signore, sua famiglia, suo popolo! Troppe volte noi pensiamo alla chiesa come a qualcosa che ci sta di fronte, dimenticando che la chiesa siamo noi, tutti noi. Troppe volte ci lamentiamo della chiesa o di alcune sue vicende storiche o sue mancanze, senza considerare che è comunque una grazia incommensurabile appartenere a questo popolo di peccatori e santi. Troppe volte vorremo una chiesa come pare a noi, mentre la chiesa non può essere altro che come l’ha voluta il Signore Gesù, posta cioè sul fondamento degli apostoli.

Quest’oggi, alle critiche, ai distinguo, alle prese di distanza e alle riserve, deve far posto la gioia e la gratitudine di essere chiesa, di essere popolo di Dio, nel modo che Cristo ha voluto. E di esserlo inoltre nelle nostre terre pistoiesi, pratesi, fiorentine, chiesa particolare riunita intorno al successore degli apostoli che è il vescovo.

Ma perché la gioia continui e si approfondisca e non tornino sempre fuori le lamentele dell’uomo vecchio e triste, carissimi amici, il Signore Gesù ci ha dato una indicazione chiara. L’abbiamo ascoltata nel vangelo secondo Giovanni: “Rimanete nel mio amore. Osservate i miei comandamenti e amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi.”
Il segreto della gioia sta nel rimanere dentro il Signore, nel fare dimora nella sua vita, nello stare con Lui ad ascoltare la sua voce, a commuoversi alle sue parole, a cibarci di Lui e a rimanere in adorazione del suo amore. E nello stesso tempo sta nel mettere in pratica i suoi comandamenti, primo fra tutti quello dell’amore fraterno.

Come potrà essere la nostra, una chiesa della gioia, una chiesa che trasmette gioia, la gioia del Vangelo, come dice Papa Francesco; come potranno essere le nostre parrocchie, le nostre comunità, i nostri gruppi, testimonianza di gioia, irradiazione di gioia vera, non quella artificiale e artefatta che da il mondo, se non rimaniamo nel Signore, se non sostiamo in Lui, se Lui non è al centro della nostra vita, delle nostre iniziative, dei nostri impegni e se non ci mettiamo seriamente a praticare il suo comandamento che ci dice di amarci esattamente come Lui ha amato e ama noi? Perciò, cercare di rimanere con tutto noi stessi nel Signore, amandoci come veri fratelli e quindi irradiando nel mondo la gioia del Vangelo, dev’esser l’intendimento di ogni programma o progetto pastorale, di ogni iniziativa e azione pastorale. Se così non fosse, sarebbero tutte chiacchiere inutili.

Tra poco sarò ben felice di dare un mandato ufficiale in primo luogo ai catechisti e poi anche a tutti i responsabili e operatori pastorale presenti. È particolarmente bello che questo gesto si ponga proprio qui, al centro della cristianità, sulla tomba dell’apostolo Pietro, nel luogo dove egli fu martirizzato e rese la sua testimonianza. Ma anche in questo caso, abbiatelo a mente voi che ricevete il mandato, il succo del vostro servizio è trasmettere la gioia dell’incontro con Cristo, la gioia di Colui che è la via, la verità e la vita, l’unico Salvatore. Il vostro servizio nasce perciò dal rimanere in preghiera con il Signore ad ascoltare la sua parola, sotto la guida del magistero; mira a comunicare questo invito del Signore a tutti e si testimonia con l’amore verso i fratelli, con l’impegno a far comunione con loro.

A tutte queste considerazioni, vorrei aggiungere, carissimi, ancora un pensiero. Abbiamo attraversato la porta Santa nell’anno che Papa Francesco ha dedicato, con sapiente intuizione, alla misericordia, da ricevere e da donare. Ecco allora che noi siamo qui oggi anche per impegnarci solennemente a essere misericordiosi come il Padre. E lo facciamo partendo da una constatazione: che noi non siamo misericordiosi come dovremmo essere. Lo dobbiamo però diventare. Il fatto è che spesso non ci sopportiamo l’un l’altro, siamo gelosi, invidiosi, ci poniamo davanti al nostro prossimo come quelli che non sbagliano mai, non siamo pronti a comprendere le ragioni dell’altro. Nel nostro cuore tante volte non c’è amore ma rabbia, scontento, cinismo, pregiudizio, indifferenza. E quindi non fioriscono le opere di misericordia, oppure sono solo un passatempo. Così chi ha fame e sete non ha risposte; chi è pellegrino e migrante non trova ospitalità; chi è malato o in carcere rimane solo; chi è nel dubbio, nel pianto, nell’ignoranza o nel peccato non trova chi si prenda cura di lui; le offese non ottengono perdono e non c’è pietà né per i vivi né per i morti.

Noi siamo qui però, carissimi fratelli e sorelle per dire che invece vogliamo essere misericordiosi come il Padre nostro che è nei cieli, non confidando certo nelle nostre forze ma proprio nella sua misericordia. Decisamente vogliamo incamminarci sulla via della misericordia. Ognuno facendo quello che può, ma sicuri che se ci raccomandiamo allo Spirito Santo, il nostro cuore sarà trasformato, a poco a poco cambierà e da cuore di pietra diventerà di carne e saremo in grado di ascoltare il grido dei poveri e di chi è nel bisogno, sia materiale che spirituale, rispondendovi con la fantasia della carità.

Il mondo ha un assoluto bisogno di misericordia. Ha un bisogno estremo di scoprire l’amore di Dio, che è Padre misericordioso pronto a perdonare e abbracciare i suoi figli smarriti. Questo mondo ha bisogno d’amore, oggi più che mai. Di verità e di amore, che sono poi la stessa cosa. Lo vediamo bene in questi nostri giorni segnati da tante menzogne e da violenze di ogni genere. A noi, pur con tutte le nostre fragilità e contraddizioni, il compito di gettare in questo mondo un po’ dell’amore del Signore.

+ Fausto Tardelli, vescovo