Giornata della pace
Cattedrale 1.1.2017
Abbiamo da poco iniziato il nuovo anno, col suo carico di incertezze e di speranze. Purtroppo, già stanotte il sangue è scorso nella città di Istanbul – e in questo momento il nostro pensiero va alle vittime di questa ennesima strage. Vediamo inoltre le strade e le piazze presidiate da molti uomini armati per difendere la nostra sicurezza. Non sappiamo che cosa ci riserverà il futuro. Ciononostante, portiamo nel cuore tante attese. Ce l’hanno testimoniato anche le popolazioni colpite dal recente terremoto che non si arrendono e vogliono ricostruire le loro vite e i loro paesi.
Adesso siamo qui in questa chiesa, alla sera del primo giorno dell’anno per rivolgerci al Signore e presentargli i timori, le incertezze, le speranze. Affidiamo le nostre vite alla dolcissima e tenerissima Madre di Dio perché ci accompagni per mano lungo la via. Siamo qui in particolare, come ogni primo dell’anno, per pregare per la pace nei cuori e nel mondo: è il bene più prezioso per l’umanità. Non per niente a Natale gli angeli annunciarono ai pastori: Gloria in cielo a Dio e pace in terra agli uomini che Egli ama”!
Nel messaggio inviato al mondo per questa occasione, Papa Francesco ci invita a riflettere sulla non violenza come stile di una politica per la pace. Ed è questo messaggio che vorrei ora brevemente commentare con voi.
Il Papa parte da una constatazione. Il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi… Ciò ha provocato e provoca in modi e a livelli diversi, enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli… Ma tutta questa violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Non si ottiene purtroppo che si scatenino in realtà solo rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi “signori della guerra”? Non è certo la violenza, né rispondere alla violenza con la violenza, la cura per questo nostro mondo, conclude il Santo Padre.
D’altra parte bisogna anche pur rendersi conto, come ci insegna Gesù Cristo, che il vero campo di battaglia in cui si affrontano la violenza e la pace, è prima di tutto il cuore umano: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive» (Mc 7,21). …. Di fronte a questa realtà, Gesù predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) e a porgere l’altra guancia (cfr Mt 5,39). Gesù ha tracciato così la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16).
Qui sta veramente il punto, a mio parere decisivo. Come dice il Santo Padre, occorre avere ben presente che il campo di battaglia dove si scontrano violenza e pace è il cuore umano. Ed è questo cuore che va guarito. E’ questo nostro cuore che va risanato. Ed è esattamente questo che l’uomo contemporaneo deve capire se si vuole salvare!
Ecco perché – dice il Papa – chi accoglie la Buona Notizia di Gesù, sa riconoscere la violenza che porta in sé e si lascia guarire dalla misericordia di Dio, diventando così a sua volta strumento di riconciliazione, secondo l’esortazione di san Francesco d’Assisi: «La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori».
Per un cristiano che ha incontrato il Signore Gesù nella sua vita e crede in Lui, la strada della non violenza è obbligata. Non può esistere un cristiano guerrafondaio! E’ una contraddizione in termini. La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità.
Ma anche chi non crede, chi appartiene a un altro credo religioso, oppure non si sente di accogliere la Buona Notizia di Gesù, può e deve riflettere sulla ragionevolezza della pace e anche della non violenza, per le sorti del mondo. In particolare chi appartiene a una religione, perché nessuna vera religione può essere violenta. La violenza infatti è una profanazione del nome di Dio e «Mai il nome di Dio può giustificarla. Solo la pace è santa, non la guerra!».
Certo parlare di non violenza sembra davvero utopico – va riconosciuto. Qui sta la forza profetica del messaggio del Papa che, proprio nel nostro contesto non ha paura di proporre alla nostra coscienza e alla coscienza dei politici e di coloro che reggono le sorti dei popoli la non violenza. Che però, come aveva già detto anche qui Benedetto XVI°, in verità è molto realistica, in quanto tiene esattamente conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. E poi la non violenza non è una specie di “resa” di fronte al male, di disimpegno e passività. Il Papa cita a proposito Madre Teresa di Calcutta e il suo impegno per la trasformazione del mondo attraverso l’amore. Cita poi ancora altre significative figure come il Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan, Martin Luther King Jr, la Leymah Gbowee. Tutte persone queste, accanto alle molte seppur anonime ma efficaci costruttrici di pace, che dimostrano come la nonviolenza praticata con decisione e coerenza possa produrre risultati impressionanti.
Di questo impegno non violento, di questa strategia di costruzione della pace, Gesù stesso ci offre una specie di “manuale” nel cosiddetto Discorso della montagna. Le otto Beatitudini (cfr Mt 5,3-10) tracciano il profilo della persona che possiamo definire beata, buona e autentica. … Questo è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità. Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo. Questo richiede la disponibilità anche «a sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo».
Ma se l’origine da cui scaturisce la violenza è, come abbiamo detto, il cuore degli uomini, allora non possiamo trascurare di percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia. Un accenno alla famiglia, quello del Papa, quanto mai opportuno … Nella famiglia infatti i coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle dovrebbero imparare a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e i conflitti dovrebbero essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono. Ed è per questo – dice il Papa ed è un monito che ci riguarda tutti da vicino – che – diciamo così – le politiche di nonviolenza devono cominciare tra le mura di casa per poi diffondersi all’intera famiglia umana.
Che siano allora – e concludo – la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali…. Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni e della politica in tutte le sue forme.
ULTIMO DELL’ANNO 2016
Cattedrale Pistoia 2016
“Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Con questa bellissima benedizione intendo anch’io questa sera benedire ciascuno di voi, qui convenuti in cattedrale, ma anche tutti gli abitanti di questa nostra città, come pure gli stranieri e pellegrini che provengono da altre parti del mondo.
La benedizione che Dio affidò a Mosè, stasera la pronuncio su di voi, perché sappiate tutti che il nostro Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio che è nato nella carne in Gesù Cristo, vuole il nostro bene, vuole la nostra pace e che siamo felici in tutti i giorni della nostra vita e oltre. Ed è bene che ce lo ricordiamo alla fine di un anno di vita, per rendergli grazie con tutto il cuore.
Un anno è trascorso, carissimi fratelli ed amici. In esso abbiamo sperimentato cose diverse: abbiamo pianto amaramente e le lacrime hanno segnato il nostro volto ma abbiamo anche riso nella gioia che sempre ci sorprende; ci siamo imbattuti in tante difficoltà e abbiamo avuto occasioni di bene. Un anno nel quale le cose sono andate così e così. Decisamente male per certi versi. Forse abbiamo sperimentato delusioni, amarezze, abbiamo incontrato la malattia o la cattiveria che ci ha ferito. Bene per altri versi: forse abbiamo conosciuto nuovi amici, abbiamo sperimentato momenti di amore, di gioia, di allegria.
Se vedessimo però il tempo trascorso soltanto come un susseguirsi di attimi, un mescolarsi di sentimenti, positivi o negativi che siano; un insieme di contrarietà e di opportunità, di fatti di bene e di male, slegati l’uno all’altro o puramente accostati casualmente l’uno all’altro, ci fermeremmo alla superficie delle cose. E alla fine poi perché mai dovremmo ringraziare? Ringraziare di che cosa? Potremmo semplicemente concludere che la vita è fatta così, di luci e ombre e che quindi ci dobbiamo accontentare, prendendola così come viene. Magari afferrando con tutte le forze quell’attimo di felicità che si presenta sul momento, sapendo bene che esso passerà presto. “carpe dime, quam mininum credula postero” Già diceva sublimemente Orazio: “cogli il giorno, l’attimo; non credere minimamente al domani”.
Noi però siamo qui questa sera per rendere grazie a Dio. E lo facciamo insieme a Maria SS.ma che onoriamo quale Madre di Dio. Con lei cantiamo “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva…; grandi cose ha fatto in me l’onnipotente e santo è il suo nome”.
Ma se rendiamo grazie a Dio per il tempo trascorso, non è perché siamo stupidi e non vediamo la realtà. Piuttosto perché vediamo la realtà nella sua profondità. Guardiamo più in profondità e scopriamo ciò che si cela dentro il tempo che passa, ciò che si nasconde dentro le vicende di per sé contraddittorie del tempo. Ci aiuta anche in questo caso la Vergine Maria, di cui si dice nel Vangelo di stasera che “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. E ciò si riferiva proprio agli avvenimenti che erano accaduti nella sua vita.
Di fronte alle vicende del tempo, occorre l’atteggiamento di Maria Santissima: custodire e meditare nel cuore ciò che ci accade. Allora, con questo sguardo contemplativo pieno di fede, con lo sguardo che fu ed è di Maria, vedremo come un filo rosso che si dipana lungo la nostra vita: il filo rosso dell’amore di Dio che non viene meno. Che fa misericordia del passato e illumina il futuro. Ecco perché rendiamo grazie a Dio per il tempo trascorso. Perché, nella fede, scopriamo che tutto nella nostra vita, misteriosamente, ha concorso al bene. Anche le difficoltà incontrate, le nostre fragilità, persino i nostri stessi peccati che con amarezza confessiamo: tutto, proprio tutto è stato una occasione di Dio per noi, un elemento misterioso di cui Egli si è servito per dirci nuovamente il suo amore. La storia personale che abbiamo vissuto, come la storia del mondo è stata storia di salvezza, nella quale il Dio che ci ha salvati in Gesù suo figlio e ha effuso su di noi il suo Santo Spirito, non ha cessato di pensare con amore a ciascuno di noi; non solo non si è dimenticato, ma ci è stato vicino, ci ha sorretto, è stato con noi, accanto a noi e dentro di noi.
Forse tante volte non ce ne siamo neanche accorti, presi come eravamo dai nostri problemi. Forse, a volte, abbiamo pensato che ci avesse dimenticato, per i disagi e le sofferenze che si sono abbattute sulla nostra vita. Altre volte non lo abbiamo neppure visto, ma Egli era nel volto del fratello più povero, più solo, più triste. Comunque sia andata, questa sera siamo qui con la Vergine santissima, la Madre di Dio per rendere grazie a Dio che continua a volerci bene e a benedirci.
Dobbiamo imparare a dire più spesso grazie a Dio. Anche solo per le cose che ci ha dato e che vengono a noi da Lui e che magari diamo per scontato a motivo della nostra grettezza. Pensiamo anche solo all’aria che respiriamo o all’acqua che beviamo, alla terra che calpestiamo coi suoi frutti e colori e al sole che illumina e riscalda. Quanto ha da insegnarci anche San Francesco su questo col suo cantico delle creature! Dobbiamo imparare a dire più spesso grazie a Dio perché ci ha creato, dotandoci di intelligenza e parola e perché ci ha messo accanto persone che ci hanno e ci vogliono bene. Dobbiamo dire grazie a Dio però anche perchè tante volte ci scuote dal nostro torpore, ci spinge alla conversione, ci inquieta, mettendoci di fronte alle nostre responsabilità per le sorti del mondo, per la giustizia che ancora non c’è e per la pace che ancora manca. Dobbiamo infine imparare a dire più spesso grazie a Dio soprattutto perché ci ha fatto, appunto, “figli” suoi e, se lo vogliamo, ci da la possibilità, nel nostro presente che si apre al futuro, di abitare nel regno della sua ammirabile luce. Prova ne è che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abba! Padre! Quindi non siamo più schiavi, ma figli e, se figli, anche eredi per grazia di Dio”.
Domani, carissimi fratelli e sorelle, inizierà un nuovo anno e siamo ben consapevoli di quante incertezze sia carico per la nostra vita e quella del mondo. Ma stasera guardiamo avanti con fiducia e speranza. Rendendo grazie a Dio, leggendo quindi in profondità la storia che abbiamo vissuto, si acquisisce la certezza che Egli sarà con noi per sempre e ci sarà accanto anche nei giorni che verranno. Per cui non abbiamo paura, ma affidiamo con gioia l’anno nuovo a Lui… e che la Vergine Santa ci accompagni e custodisca.
Chiediamo a Dio che continui ad amarci, che continui a benedirci. Sappiamo che lo farà, ma glielo chiediamo per dire a noi stessi quanto ci teniamo al suo amore e che ci vogliamo impegnare a farne tesoro, consapevoli che questo suo amore è costato l’incarnazione, la passione e morte sulla croce dell’unigenito Figlio suo. Per dirgli che cercheremo di metter a frutto nella nostra vita questo suo amore, sforzandoci di vivere ogni giorno nella sua benedizione.
+ Fausto Tardelli, vescovo