La diocesi ricorda Sant’Atto vescovo

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Con la devozione alla Vergine e il culto jacopeo seppe pacificare e dare sviluppo alla città di Pistoia. Venerdì 21 giugno ricorre la sua memoria liturgica.

 

Venerdì 21 giugno alle 18 sarà celebrata dal vescovo con una messa solenne in cattedrale la festa di S. Atto, vescovo di Pistoia dal 1133 al 1153, il cui corpo fu ritrovato nel 1337 incorrotto e «intiero senza alcuna macchia così come innocente e pura era stata la vita sua» e tale è rimasto, nonostante tutte le spoliazioni, “ricognizioni”, esposizioni e spostamenti che ha dovuto subire fin da quando, non appena ritrovato, diventò oggetto di un fervido culto popolare. Tuttavia ci sono voluti quasi altri tre secoli perché nel 1605 questo trovasse conferma nel riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa e in questa occasione venisse chiesta e ottenuta dalla abbazia vallombrosana di Passignano una reliquia del nuovo Santo. Così con una parte del suo corpo Atto tornava a un’abbazia vallombrosana – anche se quella da cui era partito per Pistoia non era Passignano ma la “casa-madre” stessa di Vallombrosa. Qui era giunto dalla lontana Spagna, prima accolto come monaco, poi eletto abate e infine “ceduto” in qualità di vescovo ai pistoiesi.

Senza allentare i suoi rapporti con l’Ordine da cui proveniva, per vent’anni Atto ebbe un ruolo importante non solo a Pistoia, dove, come sappiamo, lasciò un’impronta indelebile facendovi arrivare da Compostella una reliquia dell’apostolo Giacomo, ma anche nella difficile e complessa situazione politica dell’Italia centro-settentrionale e del papato. Quest’ultimo aspetto della sua attività ha recentemente suscitato nuova attenzione e dovrebbe avere particolare evidenza nel convegno di studi previsto per la prossima primavera.

Ora però, dato che il 1 luglio ricorre la festa della Madonna delle Porrine, non sarà male ricordare la parte che Atto ebbe anche nell’incoraggiamento e nella organizzazione di questo culto quasi millenario. La Madonna delle Porrine è un’immagine dipinta sul fianco esterno della cattedrale e solo successivamente trasferita all’interno, così chiamata perché nel 1140 – o forse nel 1150, dunque cinque anni o prima o dopo l’arrivo della reliquia di S. Jacopo –le fu attribuita la liberazione di Pistoia da una terribile epidemia. Si tratta di un miracolo che, pur non essendo mai stato ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa, suscitò una forte ondata di devozione, che il vescovo Atto fu pronto ad assecondare, legando inoltre il culto della Madonna delle Porrine a quello di S. Jacopo nella comune gestione dell’omonima Opera: in modo che la pietà religiosa, sapientemente orientata, diventasse anche un mezzo di pacificazione e coesione civile – che era l’eredità più preziosa che egli potesse lasciare a Pistoia.

Maria Valbonesi