Qualche anno fa, curando con Silvia Ronchey un volume che racchiudeva testimonianze su Costantinopoli dalla fine dell’antichità ai giorni nostri, mi sono imbattuto in giudizi radicalmente opposti sulla bellezza dei più celebri monumenti della città. Prendiamo la celeberrima basilica di Santa Sofia. Per l’ambasciatore spagnolo Ruy González de Clavijo, che l’aveva vista nel 1403, la basilica era “la più grande, alta, ricca e bella che vi sia al mondo”. Quattro secoli dopo, per il caustico Mark Twain, invece, si trattava di un edificio “inguardabile” che “non aveva niente di bello o di toccante”. E si potrebbe proseguire a lungo a contrapporre ammirazione a delusione, elogi a critiche. A motivare questa differenza di valutazione non c’era solo l’inesorabile trascorrere del tempo, ma il gusto e le esperienze individuali, nonché un atteggiamento che poteva essere spontaneo e naturale in alcuni casi, sofisticato e affettato in altri. Verrebbe da dire, dunque, che davvero “la bellezza è negli occhi di chi guarda” o, se si vogliono citare le parole irriverenti di Voltaire nel suo Dizionario filosofico alla voce “Bello, bellezza”, “domandate a un rospo che cos’è la Bellezza, la somma beltà, il kalòn: vi risponderà che è la sua femmina”. Se le cose davvero stanno così, la Bellezza è in perenne cambiamento, senza alcun punto fermo, ancorata al gusto e all’estro di ogni singolo individuo; e questo si rispecchierebbe nel flusso ininterrotto delle mode, delle tendenze e delle convenzioni, sia nelle manifestazioni di espressione artistica, sia per quanto riguarda l’apprezzamento della natura in tutte le sue forme. Eppure, di fronte a simili considerazioni, emerge un’inquietudine, un’insoddisfazione di fondo: davvero la Bellezza (con la “b” maiuscola) è così arbitraria e instabile? O forse a essere mutevole è la bellezza con la “b” minuscola, ma sopra di essa sta una Bellezza superiore, una sorta di stella polare alla quale ispirarsi e verso la quale dirigersi? Alcuni tra i più grandi filosofi greci, e dunque tra i più grandi filosofi tout court, avevano impostato la propria concezione dell’estetica e del bello proprio su questo assunto. E se Platone aveva condannato l’arte come “copia della copia”, imitazione della Natura che a sua volta è un riflesso del mondo delle Idee, sede della Bellezza e della Perfezione, il suo lontano successore Plotino, vissuto nel III secolo d.C., pur partendo da presupposti simili si poneva in una posizione per certi aspetti differente. La Bellezza, osserva, non dipende dalla simmetria o da altri attributi specifici. Un qualcosa può essere tanto più bello quanto più lascerà trasparire l’idea di Bellezza sovrasensibile che sta a monte di esso, come ispirazione o come principio generativo. Questa concezione ha riflessi anche concreti: come è stato notato, la nascita dell’arte bizantina, che rinuncia al tutto tondo e all’illusionismo prospettico e si volge invece alle rappresentazioni bidimensionali e frontali che si stagliano su fondali dorati, non dipende da un’involuzione delle tecniche o da un imbarbarimento del gusto, quanto piuttosto dalla volontà – che Plotino avrebbe approvato – di “smaterializzare” il più possibile la rappresentazione per renderla più vicina all’Intelligibile, alla Bellezza con la “b” maiuscola, insomma. L’approccio è diversissimo da quello adottato, per esempio, da artisti come Fidia o Policleto nella Grecia classica, o come Michelangelo nel Rinascimento… eppure la meta è la stessa. E in questo senso la Bellezza, come destinazione finale di una ricerca – per quanto variegata e immersa nel tempo e nell’individualità quest’ultima possa essere – forse potrebbe non essere cambiata.
Tommaso Braccini (docente universitario di Filologia Classica e Letteratura neogreca)
Di Bellezza con la “B” maiuscola ci parlerà Padre Marko Ivan Rupnik – gesuita, teologo e artista di fama internazionale – il prossimo martedì 5 dicembre alle ore 21 presso l’antico Palazzo dei Vescovi di Pistoia per l’ultimo incontro della rassegna teologica “i linguaggi del divino”. Non mancate!