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Sant’Atto monaco e vescovo

Ego Frater Atto pacensis Monachus et dictus Pistoriensis Episcopus

(Sant’Atto)

Atto (o Attone), secondo la sua storia agiografica, era nato a Badajoz in Spagna; dalla terra natia partì, all’inizio del secolo XII, come pellegrino verso l’Italia, per poi fermarsi a Vallombrosa dove, durante il governo abbazíale di San Bernardo degli Uberti, venne calorosamente accolto dalla Congregazione vallombrosana.

Poco tempo dopo, distintosi per lo spiccato spirito religioso e il carattere energico e cordiale, diventò abate, amato e rispettato, di quella comunità.

Secondo il Ragguaglio della vita di S. Atto vescovo del 1713, infatti, spiccò in lui soprammodo l‘Umiltà, principale, e ben ſaldo fondamento della Santità; onde ſoleva con ingenua semplicità chiamarsi, e peccatore, e imperito, ed indegno d’ogni ministerio. Con l‘affabilità nel conversare, discreta prudenza nel comandare, e benignità cortese nel tratto, si obbligò gl‘ animi di tutti.

Dopo la morte del vallombrosano vescovo di Pistoia, Ildebrando dei Conti Guidi di Pecunia, sarà Atto a reggere la cattedra pistoiese, dal 1133 al 1153, anno della morte sopraggiunta il 21 giugno, come attesta il Calendario pistoiese.

Nella sua vita di vescovo volle sempre esser monaco, come si legge nelle sue esplicite sottoscizioni nelle quali, come riferisce il già citato Ragguaglio, egli volle accoppiare ambendue queste qualità di Monaco, e di Vescovo dicendo: Ego Frater Atto pacensis Monachus et dictus Pistoriensis Episcopus  E quanto esprimeva con la penna; tanto praticava con i fatti: perché niente egli mutò della Vita di Monaco nello stato di Vescovo; e ſiccome egli ritenne ſempre l’ Abito, così mantenne l’osservanze del suo Regolare istituto. Recitava insieme co‘ suoi Canonici le Ore, tanto notturne , che diurne dell’ Uffizio Divino, come era già ſolito di fare nel Chiostro. Interveniva alle generali adunanze della Religione Vallombroſana et insieme co’ Superiori andava visitando Monasteri, proccurando con tanto zelo di mantenere in vigore la disciplina Monastica in ogni luogo.

Al monaco vescovo spagnolo si deve una grande forza di carattere nel gestire il delicato rapporto con le autorità comunali pistoiesi, spesso segnato da rotture e da scontri; l’equilibro e l’alleanza tra potere politico e religioso saranno raggiunti grazie alla lungimirante idea del presule di portare a Pistoia una reliquia dell’apostolo Giacomo.

La decisione di far arrivare la reliquia matura, dunque, all’interno dell’ambito ecclesiastico del vescovo Atto il quale, in breve tempo, riesce ad ottenere una parte del corpo del santo grazie all’intercessione di Ranieri, un ecclesiastico pistoiese trasferitosi nella città galiziana come scholae magister e necessario mediatore tra la chiesa pistoiese e quella compostellana.

Con “non modico labore et sudore et angustissima difficultate”, il diacono Rainerius riuscì nell’intento di intercedere presso il vescovo di Compostella Gelmirez persuadendolo ad aprire il sarcofago del santo, ad introdurvi una mano e “mentre vuol consolare i nobili Pellegrini con una ciocca di Cappelli della parte posteriore del Capo del S. Apostolo, si stacca per liberalissimo dono del Santo con i capelli buona parte di carne dell’osso della Nuca, e con lettere testimoniali sì gran tesoro” fu consegnato ai messaggeri pistoiesi Mediovillano “prudentissimo viro” e Tebaldo “eius avuncolo” che, all’inizio del mese di luglio del 1144, portarono a Pistoia accolti da grandi manifestazioni di gioia e devozione.

Con l’arrivo della reliquia di San Jacopo viene a consolidarsi e a prendere concreta forma il culto del santo, largamente auspicato e voluto dal presule Atto, non solo per l’importanza strettamente devozionale ad esso legata ma, in un panorama più ampio, quale scelta strategica di stampo prettamente economico e politico.

Pistoia come luogo di culto jacobeo vide, nel giro di poco tempo, aumentare la sua floridezza economica grazie al notevole afflusso di pellegrini che arrivavano da ogni dove per onorare il santo; si ricordi che nella città si trovava il primo banco di scambio monetario dopo Lucca e quindi è facile comprendere il giro economico sotteso al culto del santo matamoros.

Da un punto di vista politico, l’arrivo della reliquia, come ampiamente tratteggiato dallo storico pistoiese Sabatino Ferrali, servì in qualche modo per consolidare una ritrovata unione tra vescovado e comune, dopo gli scontri che avevano portato nel 1138 alla scomunica dei consoli e loro ufficiali, in virtù delle stesse parole con cui l’arcivescovo compostellano indirizzò il suo dono ad “Attoni ecclesie pistoriensis presuli, omnibusque eiusdem ecclesie canonicis e predicto urbis consulibus et universo populo”. Il sacro frammento fu offerto non solo alla chiesa pistoiese, che ne aveva fatta esplicita richiesta, ma anche al collegio comunale e, soprattutto, al popolo di Pistoia.

L’arca di Sant’Atto, posta sulla controfacciata  della Cattedrale pistoiese, racconta attraverso tre bassorilievi in marmo (opera di Giovanni di Agostino da Siena, 1337) la figura del santo ed alcuni episodi legati all’arrivo della reliquia di San Jacopo: Sant’Atto benedicente fra due angeli; i pellegrini ricevono a Compostella la reliquia di San Jacopo; i pellegrini consegnano la reliquia di San Jacopo al vescovo Atto.

Cattedrale di San Zeno, pistoia.

La sacra capsella contenente il frammento di San Giacomo, secondo quanto esplicitamente richiesto dal vescovo Gelmirez, una volta giunta a Pistoia doveva trovare solenne collocamento in un altare consacrato a ciò “in basilica nostre matris Pistoriensis ecclesia”. Per questo motivo, Atto dette disposizione di costruire un altare predisposto a ciò, il quale, a sua volta, sarà più tardi inserito entro una cappella dedicata al santo, ricostruita, dopo l’incendio del 1204, in quelle forme gotiche che manterrà, inalterate, fino alla soppressione ricciana del 1784.

Il 25 luglio, giorno della festa di San Jacopo, la Cattedrale  di San Zeno e la Cappella di San Jacopo erano preparati con ricchi allestimenti di pregiate stoffe, reliquiari e splendidi pezzi di oreficeria, impreziositi da policrome pietre preziose, sofisticati avori e smalti champlevè che, carezzati dalla soffusa luce di lampade pensili, ceri e candele, conferivano a tutto l’apparato uno scenografico un suggestivo impatto visivo. Il Diario sacro pistoiese di tutte le feste, che annualmente si solennizzano nelle Chiese della città di Pistoia, del 1735, riporta con estrema puntualità i diversi reliquiari, collocati sull’altare maggiore della Cattedrale e della Cappella, mettendo in evidenza la venerazione della chiesa pistoiese per altri santi della cristianità che, nascosti nel Tesoro per gran parte del resto dell’anno, nel giorno della festività venivano esposti alla pubblica devozione, in sincronia con la scoperta dell’altare argenteo, di solito chiuso da pannelli.

Tra questi  Sull’Altare della Cappella di San Jacopo. […] Una Cassetta pure d’Argento con dentro la Sindone, in cui per quasi dugento Anni stiede involto il Corpo di Santo Atto stato già sotto terra, come si è detto nel mese di Maggio, perfino all’Anno 1337.

Nel 1337 il corpo del Santo venne trovato all’interno della Chiesa di San Giovanni in Corte e da qui traslato nella Cattedrale di San Zeno, nell’arca in controfacciata, dove rimase fino al 1786 quando venne spostato nella cappella di San Rocco, alla destra dell’altare maggiore dove si trova ancora oggi: l’urna di Sant’Atto è opera di Cleto Lapi del 1952.

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A partire dalla metà del secolo XVII, fino all’inizio del secolo XIX, nel giorno del 21 giugno , in suo onore, venivano eseguiti in Piazza Duomo i cosiddetti fuochi di Sant’Atto i quali, per la loro bellezza, richiamavano “dai prossimi rioni e dalle vie più recondite, il popolo accorrente sulla stupenda Piazza, illuminata con innumerevoli fiaccole, protese ai lati degli adorni davanzali”.

L’ecclesiastico pistoiese don Amerigo Bucci riporta come in un Concilio ecclesiastico del tempo, svoltosi in Inghilterra, il cardinale di San Giorgio, Mattheus, riflettendo sulla personalità e spiritualità di Atto, disse: “La Santa Sede Apostolica Romana sarebbe veramente fortunata, se potesse avere per moderatore e guida Atto, vescovo di Pistoia”.

Francesca Rafanelli