XXIX SETTIMANA TEOLOGICA: “NON AVRAI ALTRI DEI DI FRONTE A ME”. L’INTERVENTO DEL VESCOVO TARDELLI

“NON AVRAI ALTRI DEI DI FRONTE A ME” (ES 20,3).
PROSPETTIVE MORALI E PASTORALI

Mons. Fausto Tardelli, vescovo di Pistoia

 

Nella bellissima ballata di Fabrizio de Andrè di tanti anni fa, “Il testamento di Tito”, il grande cantautore genovese immagina che il buon ladrone crocifisso accanto a Cristo commenti davanti a sua madre i dieci comandamenti. Partendo naturalmente dal primo: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Un Dio esclusivo ed escludente, al quale facilmente Tito può irridere dicendo di aver incontrato persone che credevano a un Dio diverso e che non gli hanno fatto del male. Così la ballata, di comandamento in comandamento, trova nella beffarda irrisione del ladrone una critica feroce. Ma arrivato al termine, Tito volge gli occhi a colui che è crocifisso insieme con lui, a Gesù e de Andrè riesce in una strofa, in poche righe, a darci un messaggio straordinario: Ma adesso che viene la sera ed il buio / mi toglie il dolore dagli occhi / e scivola il sole al di là delle dune / a violentare altre notti: / io el vedere quest’uomo che muore, / madre, io provo dolore. / Nella pietà che non cede al rancore, / madre, ho imparato l’amore.

Ecco dunque si. De Andrè è riuscito a cogliere qualcosa che è venuto fuori anche in queste sere: in Gesù sulla croce si rivela una “pietà che non cede al rancore”, un perdono che spiazza la logica delle ritorsioni e delle vendette, e ciò che “insegna l’amore”. In Gesù si rivela qualcosa di divino. E viene in mente a questo proposito Pasolini che accingendosi a girare il Vangelo secondo Matteo scriveva: “io non credo che Cristo sia figlio di Dio, perché non sono credente – almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità.” [1]

Se questi testimoni non credenti ma così acuti e intelligenti, arrivano fin qui, con la fede noi diciamo che il Dio vero è quello di Gesù Cristo. E’ Gesù Cristo il volto di Dio. Non solo Gesù è Dio ma Dio è Gesù. Egli è la perfetta rivelazione del Padre.

E qui è importante riandare al concetto di rivelazione espresso dal Concilio Vaticano II nella Dei Verbum[2], perché lì si trovano indicati lo stile e le intenzioni del Dio che si rivela in Gesù Cristo. Dice il teologo Piero Coda commentando il passo della Dei Verbum, che non va sottovalutato il decisivo portato teologico e antropologico insieme, veicolato dal linguaggio scelto con cognizione di causa dal concilio. Dio – dice la Dei Verbum —, per realizzare il suo disegno di salvezza Propter nos homines et propter nostram salutem, s’intrattiene con noi come amici per invitarci alla piena comunione con Sè. “In tale concetto, il disegno e l’avvenimento della salvezza sono proposti nell’ottica della comunicazione trinitaria che Dio fa di Se stesso — niente di meno che Se stesso! — all’uomo e alla sua storia. Il che significa che Dio mostra il suo volto di Abba nel Figlio fatto carne, il quale partecipa così la grazia e la responsabilità della sua stessa vita  filiale — non di meno — nella gratuita e sovrabbondante elargizione a noi del suo Spirito di verità e giustizia nell’amore.” [3]

Il vero Dio, rivelato nella Bibbia e manifestatosi in Gesù Cristo è dunque una persona reale e concreta, partecipe della storia con fatti e parole e ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile: «Dio nessuno lo ha mai visto, proprio il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18).

C’è un episodio nel Vangelo che fa particolarmente al caso nostro. Durante l’Ultima Cena, Filippo chiede a Gesù: “Signore, mostraci il Padre, e ci basta» (Gv 14,8). Gesù gli rispose con un tono di benevolo rimprovero: “Filippo, da tanto tempo sono con voi e ancora non mi conosci? Colui che vede me, vede il Padre! Come puoi tu dire: «Mostraci il Padre»? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? … Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,9-11). Queste parole sono tra le più alte del Vangelo di Giovanni. Esse contengono una rivelazione vera e propria. Riprendono le parole del Prologo approfondendole. Nella risposta a Filippo Gesù lascia intendere che è possibile comprendere il Padre non solo mediante ciò che dice, ma ancora di più mediante ciò che egli semplicemente è. Dio dunque si è dato un volto umano, quello di Gesù, e quindi d’ora in avanti, se si vuole per davvero conoscere il volto di Dio, non c’è che da contemplare il volto di Gesù! Nel suo volto vediamo realmente chi è Dio e come è Dio!  [4]

Una bella poesia di Ungaretti – e i poeti come gli artisti e i bambini colgono a volte molto di più il mistero che i teologi esprime magnificamente il mistero del Verbo incarnato: Cristo, pensoso palpito, / Astro incarnato nell’umane tenebre, / Fratello che t’immoli/ Perennemente per riedificare / Umanamente l’uomo, / Santo, Santo che soffri, / Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli, / Santo, Santo che soffri / Per liberare dalla morte i morti / E sorreggere noi infelici vivi, / D’un pianto solo mio non piango più, / Ecco, Ti chiamo, Santo, / Santo, Santo che soffri.

1.

Cosa vuol dire allora – domandiamoci – non avere altro Dio, all’infuori di Gesù Cristo? Vuol dire credere nel Dio della Misericordia, dell’amore infinito, del perdono. In un Dio in cui l’onnipotenza si manifesta nella croce di Cristo. Certo sembra impossibile parlare di un Dio onnipotente di fronte all’impotenza estrema della croce, laddove invece il potere del male sembra estremo, arrivando perfino ad uccidere il Figlio di Dio.  Noi siamo infatti abituati a pensare all’onnipotenza di Dio[5] in termini umani, molto umani, secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri. In realtà però, come la Scrittura spesso ci dice, il pensiero di Dio è diverso dal nostro, le vie di Dio sono diverse dalle nostre (cfr Is 55,8), Quindi  anche la sua onnipotenza è diversa: non si esprime come forza e arbitrarietà, ma in una libertà amorosa, paterna e materna a un tempo.

Papa Benedetto ha affermato che Dio, creando creature libere, dando loro libertà, ha rinunciato a una parte del suo potere, lasciando spazio al potere della nostra libertà. Dio cioè accetta il rischio della nostra libertà. [6] Desidera certamente che noi diventiamo suoi figli e viviamo come tali nel suo Figlio, in comunione, in piena familiarità con Lui, ma questo non può che accadere nella libertà. Per cui la sua onnipotenza si esprime nell’accettare, per amore, la nostra libertà e nell’instancabile appello alla conversione del cuore. Dio non ha affatto paura di apparire debole; così in effetti appare agli occhi del mondo e nostri tante volte. In realtà nell’atteggiamento di Dio che si rivela in Gesù Cristo, atteggiamento fatto di  pazienza, di mitezza e di amore, Dio dimostra che questo è il vero modo di essere potente! Questa è la potenza di Dio! E proprio questa potenza – quella dell’amore – alla fine vincerà! In effetti solo chi è veramente grade si sa fare piccolo e solo chi è davvero potente può sopportare il male e mostrarsi compassionevole, esercitando pienamente la forza dell’amore. Il nostro Dio è un Dio così, “umile” che rivela la sua forza amando tutto e tutti, in una paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli. L’onnipotenza dell’amore è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco dunque la vera, autentica e perfetta potenza divina, come dicevo già all’inizio citando un non credente: rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere. Solo così il male è davvero vinto, e il segno e la conseguenza è la definitiva sconfitta della morte  nella risurrezione di Cristo.

Dobbiamo inoltre considerare Dio Spirito Santo. Come ci ha ricordato Repole l’altra sera. Lo Spirito Santo rende liberi, non occulta l’umano e dunque non occulta neppure la libertà dell’uomo. Egli è umile, in quanto agisce in una condiscendenza con la realtà dell’umano, con la sua libertà, la sua autonomia e anche con le sue eventuali chiusure. Lo Spirito, insomma, non agisce forzando l’umano ma quasi chiedendo l’apertura dell’umano alla sua azione. Come nei Sacramenti dove lo Spirito può diventare carne della nostra carne solo se lo decidiamo noi, se ci apriamo o se ci chiudiamo alla sua presenza. Una dinamica che si pone nella linea dell’incarnazione: in Cristo l’umanità non è cancellata ma realizzata e resa libera. Così opera lo Spirito, incarnandosi possiamo dire, in ciascuno di noi.

Quindi, quando diciamo nel simbolo della fede “Io credo in Dio Padre onnipotente”, noi diciamo di credere si nella potenza di Dio Padre, ma in quella dell’amore di Dio che nel suo Figlio morto e risorto sconfigge l’odio, il male, il peccato e ci apre alla vita eterna. E professare questa fede – si badi bene – vuol dire conversione, trasformazione del nostro pensiero, di tutto il nostro affetto, di tutto il nostro modo di vivere.

2.

Un Dio dunque così, in qualche modo “rovesciato”, che cosa dice a noi credenti in Lui, che a Lui intendiamo orientare la nostra vita e le nostre comunità? Quali cambiamenti, conversioni ci chiede di fare a noi personalmente e a noi chiesa e chiesa di Pistoia?

a.

Se Dio è così, se il suo volto vero è da ritrovare e scoprire perché il rischio sono sempre le false immagini di Lui, allora la prima cosa da fare è proprio di cercarlo appassionatamente, questo Dio; cercare di conoscere quel volto vero che è Gesù. Appassionatamente e umilmente, perchè Dio resiste ai superbi e si rivela invece agli umili;. La prima cosa che ci è chiesta dunque è indubbiamente quella di metterci in ginocchio a contemplarlo, ad osservarlo con attenzione, questo Dio di Gesù Cristo. Spesso molti di noi pensano di sapere già tutto di Dio e di Gesù. Magari hanno studiato bibbia e teologia, sono “addottorati”, la sanno lunga, sanno spaccare il versetto biblico in quattro; oppure hanno incontrato e sentito questo o quel veggente. Oppure ancora sono devotissimi e si ritengono per questo dei veri credenti. Non ci siamo. Nell’un caso come nell’altro, in realtà non si ha il coraggio di “levarsi i calzari”, cioè di mettersi umilmente in ascolto, fissando gli occhi su Gesù e sul Dio di Gesù.

Come si può cambiar vita, se non si conosce approfonditamente il Padre, il Dio di Gesù Cristo?  Che sai tu di Lui? E allora, come puoi vivere di conseguenza? Sai qualcosa perchè lo hai letto sui libri? Non basta! Sai qualcosa perché qualcuno te ne ha raccontato? Non basta! L’hai fatta una verifica delle immagini che hai di Dio, se sono quelle autentiche? Oppure te ne vai sicuro con le tue conoscenze che credi già complete e non bisognose di altro? Il primo aggiornamento, per riprendere un argomento trattato già il primo giorno di questa settimana, consiste in questo mettersi a “guardare” Gesù Cristo, come ha agito, quello che ha fatto e detto, come si è posto nel mondo.

Ma Gesù è un uomo del passato e posso avere di lui, anche di Lui, delle immagini distorte. Ecco allora che per guardare veramente Gesù e conoscere il Dio di Gesù Cristo, bisogna avere l’umiltà di andare a scuola da coloro a cui Gesù si è fatto conoscere. Occorre conoscere le Scritture che parlano di Lui, siano esse dell’uno come dell’altro testamento, ma ascoltandole e leggendole – questo è indispensabile e questo è il segno chiaro di una ricerca condotta nell’umiltà – dentro la tradizione vivente della Chiesa.[7] Lo so che qui qualcuno storce la bocca. Ma se vuoi conoscere veramente Cristo, devi ascoltare la testimonianza di chi è vissuto con Lui, degli apostoli cioè. Devi rifarti alla Chiesa fondata sugli apostoli e agli insegnamenti che durante i secoli sono stati dati, sotto la guida dei successori degli apostoli. Devi rifarti alla Chiesa, come dice spesso Papa Francesco rifacendosi a S.Ignazio, il fondatore dei gesuiti, “gerarchica”[8]. Qualcosa è stato sbagliato nei secoli? Qualcosa può essere stato espresso malamente, insufficientemente? Certo, può essere. Ma non nella sostanza. In cose accidentali, non sostanziali. Si dice spesso: Cristo mi sta bene, ma la chiesa no. La chiesa proprio no. Ma si sbaglia clamorosamente e ci si preclude la possibilità di conoscere il vero volto di Gesù. Perché non c’è altra strada per conoscere il vero volto di Cristo e quindi il vero volto del Padre. E all’interno della Chiesa, è in particolare il mistero eucaristico a farci scoprire il vero volto di Dio.

Per guardare a Gesù e con Lui scoprire il Padre di ogni misericordia occorre mettersi di fronte al mistero dell’Eucaristia. In quel pezzo di pane che è il corpo di Cristo, in quel vino che è il suo sangue, c’è tutto il mistero del “rovesciamento” di Dio. Questo è il mio corpo dato per voi. Questo è mio sangue versato per voi. Di fronte all’Eucaristia comprendiamo la logica di Dio, il suo silenzioso incarnarsi, il suo farsi nutrimento per il cammino, compagno di strada, la sua intima comunione con noi. L’Eucaristia è per esempio per Santa Teresa di Lisieux – le cui spoglie mortali abbiamo avuto a Pistoia in questi giorni – il Sacramento dell’Amore Divino che si abbassa all’estremo per innalzarci fino a Lui. Nella sua ultima Lettera, su un’immagine che rappresenta Gesù Bambino nell’Ostia consacrata, la Santa scrisse queste semplici parole: “Non posso temere un Dio che per me si è fatto così piccolo! (…) Io Lo amo! Infatti, Egli non è che Amore e Misericordia!” (LT 266). La stupenda preghiera di San Tommaso D’Aquino citata la prima sera da don Frosini, ci mette esattamente nella stessa prospettiva: “Adoro te devote, latens deitas, quae sub his figuris vere latitas” (Adoro Te devotamente, oh Dio nascosto che sotto queste apparenze ti celi veramente) Un celarsi che è l’abbassarsi dell’amore, della condiscendenza divina verso di noi. Senza contemplazione del mistero Eucaristico, senza intima partecipazione a questo mistero di abbassamento e di amore, non è possibile comprendere alcunché di Cristo e quindi del Padre di ogni misericordia.

Guardare a Gesù però vuol dire anche, e non lo possiamo dimenticare, guardare in faccia, negli occhi, i poveri, gli ultimi, i diseredati, gli scartati, tutti quelli che non contano niente, tutti quelli che non hanno più volto. Vuoi conoscere Cristo? Accogli i poveri! Vuoi conoscere il vero volto del Padre? Servi chi è nel bisogno. Apri le porte del tuo cuore. Mi fanno veramente orrore quei sedicenti cristiani che si proclamano veri credenti e custodi della tradizione e poi sono xenofobi, che gli immigrati li ributterebbero tutti a mare e se muoiono, meglio ancora; che sterminerebbero tutti gli zingari. Non dico che non ci si debba porre il problema della  soluzione di qualcosa che riguarda il mondo intero oppure che non si debbano fare considerazioni sulle modalità di accoglienza. Quello però che è assurdo, è che si possano coltivare nel cuore sentimenti di così grande ostilità e che ci si opponga a qualsiasi forma di umana accoglienza. Così si può dire di conoscere Dio? Ma neanche per sogno. Quel Dio che si dice di conoscere, non è il vero Dio. Si pensa così di essere discepoli di Cristo e di conoscerne il volto? Assolutamente falso. Così non si conoscerà mai Dio, anzi la nostra vita sarà una bestemmia anche se andassimo a Messa tutte le domeniche e i primi venerdì o i primi sabati del mese.

Come dico negli orientamenti pastorali per il triennio, “Sulle ali dello Spirito”: la vera contemplazione e la vera adorazione del Padre non ci aliena dalla storia e dal concreto servizio ai poveri! Tutt’altro. Contemplando il Padre, ci accorgeremo che il suo volto misericordioso è rivolto agli uomini peccatori, all’umanità̀ intera perché́ trovi la via della salvezza (Sal 67,2- 3), Egli infatti è amante della vita e non vuole che il peccatore muoia, ma che si converta e viva (Sap 11,21-26). Fissando i nostri occhi in quelli del Padre, sentiremo distintamente la sua voce che ci chiede conto dei nostri fratelli: “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9). Così disse Dio a Caino. E non possiamo, non vogliamo, rispondere come lui: “Son forse io il custode di mio fratello?”. Il Padre del Signore Gesù̀ che è anche nostro Padre, ci orienta inevitabilmente verso gli altri. Ci fa entrare nel suo progetto universale di salvezza, ci spinge ad avere i suoi occhi, i suoi pensieri, le sue attese, la sua misericordia, a guardare le cose e a giudicarle come le vede e le giudica Lui. La contemplazione del Padre misericordioso ci conduce a essere misericordiosi come Lui. Per la comunità̀ cristiana, ciò̀ significa scoprirsi ‘chiesa in uscita’ e convertirsi alla missione.

b.

Se Dio dunque è così, se il suo volto è quello di un Dio che si comunica, allora la seconda cosa che un Dio “rovesciato” com’è quello di Gesù Cristo ci chiede di fare è di intrattenerci con Lui in un rapporto personale, interiore e al tempo stesso coinvolgente la vita; accettando di entrare in una relazione amicale e filiale con Lui, in alleanza con Lui.

Se abbiamo seguito il percorso di queste sere, ci siamo senz’altro resi conto di una cosa: parlare di un nuovo volto di Dio, non significa – come si potrebbe dire non so – sostituire ad un’immagine un’altra. A una vecchia e sorpassata, una nuova ed aggiornata. Non si tratta cioè di cambiare “fotografia”: da quella di Dio con la barba, padre padrone, “rex tremendae majestatis” a quella di un volto sfigurato dal dolore e dall’umiliazione, a quella di Gesù o di un padre che è anche madre. L’operazione da compiere non è quella di sostituire un’immagine statica con un’altra. Piuttosto, c’è da comprendere che l’immagine di Dio vera non è statica, non è una fotografia, non è immobile, bensì dinamismo, movimento. Il volto di Dio che si rivela in Gesù Cristo è amore e misericordia, meglio: movimento d’amore e di misericordia, una mano tesa, un invito all’incontro; è proposta di alleanza e di amicizia, è coinvolgimento personale dentro la mia vita. E’ un volto che ti guarda dall’abisso della miseria; è un volto che ti chiede risposta, cammino; è dinamismo che smuove il cuore e la mente. In altre parole, dal punto di vista teologico, possiamo dire che il volto vero di Dio non si esaurisce nemmeno nell’immagine di Gesù se la consideriamo in modo statico: è invece Gesù attraverso lo Spirito Santo. E’ un Dio che come Spirito Santo soffia sulle ossa secche del popolo disperso, che da la vita e rianima l’uomo facendolo nuova creatura in Cristo. E’ un Dio che si fa a noi più intimo di noi stessi e soffia dal profondo di noi, santificandoci e facendoci uno in Cristo. Un Dio che è amore, che è misericordia e perdono, non lo si può dunque conoscere che entrando in relazione con Lui, amandolo e amando, sperimentando la sua misericordia e il suo perdono, lasciandosi coinvolgere in una relazione d’amore con Lui che si fa imitazione di Cristo e docilità all’azione dello Spirito Santo.

Carissimi amici, senza questo coinvolgimento personale, relazionale, intimo e profondo, totale, non c’è possibilità di conoscere il vero volto di Dio. Potrà esserci si, conoscenza del dato oggettivo della fede così come si è cristallizzata nelle formule di fede, nel dogma, ma senza questo coinvolgimento personale, anche il dogma resterà formula fredda e arida e non ci sarà vero incontro col suo Volto misericordioso

Per questo, il Dio “capovolto” chiede di rivedere anche l’impostazione del nostro impegno morale. Anche questa è una considerazione che merita di essere sottolineata. Noi siamo abituati a pensare alla vita morale come all’osservanza di norme. Noi più vecchi, diciamo la verità, perché con i giovani e i ragazzi di oggi siamo completamente da un’altra parte. Anzi, non si sa bene dove siamo. Perché se è vero che a noi vecchi può esserci stata un’immagine sbagliata di Dio, di un Dio giudice, vendicativo, un Dio che ci da comandamenti e obblighi, pronto a punirci, non credo proprio che queste stesse immagini di Dio siano presenti nei ragazzi e nei giovani di oggi. Credo anzi che forse non si sappia bene nemmeno quale immagine di Dio abbiano. Addirittura ho come l’impressione – e ce lo dice una recente ricerca sociologica di F. Garelli[9] – che non ci sia proprio alcuna immagine di Dio nella mente e nel cuore dei nostri ragazzi. Ho l’impressione che ci sia il vuoto e che Dio sia una parola assolutamente insignificante. Ma d’altra parte, chi è che gli parla veramente di Dio a questi ragazzi, quando siamo spesso noi i primi atei pratici perché viviamo senza Dio? Al massimo siamo capaci a fare i moralisti, capaci soltanto di ripetere senza molta convinzione che ci si deve comportare bene…. e poi i ragazzi finiscono per essere più razzisti e violenti che mai. Non farebbe male qualche volta anche farla questa riflessione, sul fallimento certo della nostra catechesi ai ragazzi, ma anche sul fallimento dell’educazione civile e sociale che diamo. Bei risultati, coi gruppi dell’estrema destra che avanzano dovunque! Scusate comunque questa digressione sui giovani.

Dicevo dunque che il Dio di Gesù Cristo ci chiede di rivedere la nostra impostazione morale. Vi accennava già Mons. Frosini il primo giorno e mi trovo perfettamente d’accordo. Il Dio di Gesù Cristo contesta la logica della legge e dei comandamenti. E’ oltre la legge e oltre i comandamenti. In un certo senso è un Dio che ci spinge all’anarchia. Non vorrei essere frainteso: all’anarchia nel senso che ci spinge ad essere legge a noi stessi ma come creature nuove ricreate nell’amore, abitate dallo Spirito Santo. Il Dio di Gesù Cristo è il Dio che ti vuol far capire che tu puoi vivere, che tu puoi essere, che tu puoi esistere ed esistere in pienezza, solo esplicitando quello che sei, quello che sei in quanto creatura sua, quello che sei in quanto immagine sua. E se il Dio di Gesù Cristo è “amore”, ciò vuol dire che tu sei amore. Che io sono amore e solo nell’amore sono me stesso. Ecco la morale. E’ tutta qui. Già Sant’Agostino diceva “ama e fa ciò che vuoi”. Ama e sarai libero cioè. Allora la legge, i comandamenti, le prescrizioni? Per dirla con San  Paolo, la legge al massimo è pedagogo alla vita. Ma la morale è vivere la vita per quello che essa è: amore. Amore donato e ricevuto. Troppi cristiani sono rimasti alla legge, al comandi. Anche qui, siamo sinceri, chi è rimasto alla legge e ai comandi ha ormai i capelli bianchi. Ma quello che voglio dire è che la morale è sequela di Cristo, è esser figli del Padre misericordioso, significa vivere di misericordia.

Si, dirà qualcuno, abbiamo capito: dobbiamo essere misericordiosi, dobbiamo fare opere di misericordia. No. Se si ragiona così, non abbiamo ancora capito niente del mistero del Dio “rovesciato”. La misericordia non è un comando, non è un precetto, non è un impegno innanzitutto. E’ la tua vita. E’ il tuo essere. E’ la tua sostanza. Se non sei misericordioso non sei te stesso. Non vivi. Sei morto, anche se vai a passeggio e fai le ferie. E questa tua vita è possibile viverla per la potenza dello Spirito Santo che ti è stato effuso nel cuore. Già Tommaso D’Aquino diceva a proposito della “lex nova”, della legge nuova data da Cristo, attingendo pienamente al dato biblico “… principaliter lex nova est ipsa gratia spiritus sancti, quae datur Christi fidelibus.”[10] La legge nuova del cristiano non consiste in precetti e norme scritte ma è la stessa grazia dello Spirito Santo nel cuore del credente.

c.

Se Dio è così, se il suo volto è quello di Gesù Cristo, allora ecco ancora infine una terza e ultima cosa, la terza conseguenza sulla quale vorrei soffermarmi brevemente prima di concludere: se Dio è così come abbiamo detto, il mondo, il nostro mondo allora non è secondo Dio, perché non c’è misericordia in questo nostro mondo, nelle nostre società. Questo Dio “rovesciato”, è in realtà il desiderio profondo sepolto nel cuore di ognuno; è un anelito, un grido. I ‘segni dei tempi’ questo ci dicono innanzitutto: che la gente ha urgente bisogno di riscoprire la presenza di un Padre vero, misericordioso e tenero, datore di vita e di speranza. La nostra è infatti una società̀ sostanzialmente di orfani. Fatta di gente che non si sente più̀ voluta con amore, amata senza riserve, accompagnata con premura. In effetti non si trova facilmente misericordia in questo mondo. Per cui urge ritrovarlo, questo Padre, sperimentando nella vita la sua infinita misericordia. Inevitabilmente però – è bene saperlo – questo Dio “umile”, povero, che si abbassa, col suo silenzio, contesta gli assetti nefandi di questo mondo, i poteri che dominano sugli uomini e li rendono schiavi o li scartano. Questo mondo che continua a costruire assurdi, ignobili, orribili muri di divisione, è un mondo radicalmente contestato dal silenzio del Dio “umile” e misericordioso. In questo senso, seguire il Dio della Misericordia, il Dio di Gesù Cristo, vuol dire prepararsi al martirio, vuol dire non avere gli applausi del mondo. Ma della testimonianza resa a questo Dio “rovesciato”, di questo annuncio del Dio di Gesù Cristo fa parte necessariamente anche la denuncia di ogni potere che, prendendo il posto di Dio, schiaccia l’uomo……. Come ha detto Papa Francesco parlando di Madre Teresa l’altro giorno. Lei, ha detto, ha fatto sentire la sua voce ai potenti della Terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini, dinanzi ai crimini, della povertà creata da loro stessi. Il Dio che è amore, che è misericordia e perdono, contesta radicalmente ogni violenza, ogni prepotenza, ogni ergersi dell’uomo sull’uomo. Contesta le logiche del potere e della supremazia, dell’avere e del possedere a scapito degli altri.

E dovremmo forse ricordarcelo più spesso, questo fatto, quando in modo contraddittorio e molto affrettato affermiamo che la chiesa deve imparare dal mondo, deve accogliere ciò che è presente nel mondo di oggi, deve stare al passo coi tempi. Con quali tempi, scusatemi? Con quelli dei muri, dei popoli che migrano fuggendo dalle guerre? I tempi della globalizzazione delle finanza e dell’indifferenza? I tempi della libertà individuale sganciata da ogni responsabilità? Dello sfruttamento sessuale, della mercificazione del corpo, della tratta di bambini ed esseri umani in genere? Son questi i tempi con i quali la chiesa dovrebbe stare al passo? Un po’ più di spirito critico, non farebbe davvero male, anche tra di noi, qualche volta.

Di fronte al Dio “umile”, figli di questo Padre, la nostra precisa responsabilità̀, impellente responsabilità̀, di individui e di chiesa, anche pistoiese è quella di comunicarlo. Di annunciare e testimoniare il Dio vero, il Dio di Gesù Cristo e dello Spirito Santo che da la vita. Quel Dio che è misericordia infinita, amore senza limiti ma che “disperde i superbi nei pensieri del loro cuore, che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili e rimanda i ricchi a mani vuote”.

L’ho già detto prima e termino: però di questo Dio occorre farne esperienza personale, perché come ci dice San Bernardo in un suo inno “Expertus solus potest dicere quid sit Jesum diligere”. Se questa esperienza non c’è, non c’è alcuna comunicazione di Dio. Potremmo adottare i più sofisticati linguaggi della contemporaneità; potremmo compiere “i “segni” più eclatanti e riempire le prime pagine dei giornali tutti i giorni, se non facciamo quotidianamente l’umile, misteriosa esperienza di Dio, in Gesù Cristo, non ci sarà testimonianza autentica e il cuore di nessun uomo si toccherà.

E se le nostre comunità̀ parrocchiali, non riescono a introdurre i bambini, i ragazzi, i giovani, le famiglie e le persone in genere alla contemplazione e all’esperienza personale del Dio vivente Padre misericordioso, falliscono il loro compito e si riducono a essere un’accozzaglia di iniziative e di attività̀ senza capo né coda, coacervo di piccoli e ridicoli poteri e spazi di incomprensione e incomunicabilità̀. E così non riusciranno ad attrarre chi è in cerca della vita, chi domanda libertà e amore, quelli che vanno errando chiedendo verità̀, o chi è orfano della speranza; anzi lo allontaneranno, scandalizzato dal sale che ha perso il sapore e dalla luce che è stata nascosta sotto il moggio (Mt 15,13-16).

Voglio sperare che non sia così e che siamo invece capaci di trasmettere, riflettendolo nelle nostre parole e nelle nostre vite, il volto genuino di Dio.

Note

[1] Lettera di Pier Paolo Pasolini al Dott. Lucio S. Caruso della Pro Civitate Christiana di Assisi, febbraio 1963

[2] Dei Verbum, 2

[3] P. CODA, Il Concilio della Misericordia, Citta Nuova 2015, pp. 29 – 30

[4] Cfr Benedetto XVI° udienza 6 gennaio 2006

[5] Il termine Pantokratwr (pantocrator), secondo il Kittel nel Dizionario esegetico del Nuovo testamento, si trova 10 volte nel N.T. Una vola in San Paolo, in II Cor 6,18 e nove volte nell’Apocalisse. Qui spesso sembra rimandare a espressioni che si trovano nell’AT. Anche i LXX traducono con pantocrator diverse espressioni riferite a Dio (in par. El Shaddaj)

Catechismo della Chiesa cattolica. 268 Di tutti gli attributi divini, nel Simbolo si nomina soltanto l’onnipotenza di Dio: confessarla è di grande importanza per la nostra vita. Noi crediamo che tale onnipotenza è universale, perché Dio, che tutto ha creato, [Cf Gen 1,1; Gv 1,3 ] tutto governa e tutto può; amante, perché Dio è nostro Padre; [Cf Mt 6,9 ] misteriosa, perché la fede soltanto la può riconoscere allorché “si manifesta nella debolezza” ( 2Cor 12,9) [Cf 1Cor 1,18 ].

“Egli opera tutto ciò che vuole” ( Sal 115,3)

269 Le Sacre Scritture affermano a più riprese la potenza universale di Dio. Egli è detto “il Potente di Giacobbe” ( Gen 49,24; Is 1,24 e. a), “il Signore degli eserciti”, “il Forte, il Potente” ( Sal 24,8-10). Se Dio è onnipotente “in cielo e sulla terra” ( Sal 135,6), è perché lui stesso li ha fatti. Nulla quindi gli è impossibile [Cf Ger 32,17; 269 Lc 1,37 ] e dispone della sua opera come gli piace; [Cf Ger 27,5 ] egli è il Signore dell’universo, di cui ha fissato l’ordine che rimane a lui interamente sottoposto e disponibile; egli è il Padrone della storia: muove i cuori e guida gli avvenimenti secondo il suo beneplacito [Cf Est 4,17 b; Pr 21,1; Tb 13,2 ]. “Prevalere con la forza ti è sempre possibile; chi potrà opporsi al potere del tuo braccio?” ( Sap 11,21).

“Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi” ( Sap 11,23)

270 Dio è il Padre onnipotente. La sua paternità e la sua potenza si illuminano a vicenda. Infatti, egli mostra la sua onnipotenza paterna nel modo in cui si prende cura dei nostri bisogni; [Cf Mt 6,32 ] attraverso l’adozione filiale che ci dona (sarò per voi come un padre, e voi mi sarete come figli e figlie, dice il Signore onnipotente”: 2Cor 6,18); infine attraverso la sua infinita misericordia, dal momento che egli manifesta al massimo grado la sua potenza perdonando liberamente i peccati.

271 L’onnipotenza divina non è affatto arbitraria: “In Dio la potenza e l’essenza, la volontà e l’intelligenza, la sapienza e la giustizia sono una sola ed identica cosa, di modo che nulla può esserci nella potenza divina che non possa essere nella giusta volontà di Dio o nella sua sapiente intelligenza” [San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, 25, 5, ad 1].

[6] Benedetto XVI° catechesi 30 gennaio 2011

[7] Qui, e solo qui, sta l’errore di Lutero. Nel 2017 ricorre il cinquecentario dell’inizio della Riforma protestante (si fa risalire al 31 ottobre 1517, quando Lutero affisse alle porte del duomo di Wittemberg le famose 90 tesi). Ma l’errore principale no fu, almeno all’inizio, nei contenuti espressi da Lutero, bensì nell’orientarsi sempre più decisamente verso quel principio che suona “sola scriptura”, rifiutandosi di ascoltare con umiltà il cammino della chiesa nel tempo.

[8] S. IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali. “Prima regola. Messo da parte ogni giudizio proprio, dobbiamo avere l’animo disposto e pronto a obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra santa madre Chiesa gerarchica.”

[9] F. GARELLI, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio?, il Mulino 2016

[10] S. Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, I/II, q. 106, a. 1