Uscirne è vietato ai minori

Siamo davvero consapevoli dei rischi della pornografia? Un commento a margine di un importante discorso di Papa Francesco sulla tutela della dignità dei bambini nel mondo digitale

È di qualche giorno fa la pubblicazione di un’inchiesta di Claudio Capanni uscita su La Nazione dedicata al tema della pedofilia. Un articolo terribile, nel quale si racconta come funzionano le chat in cui si condividono foto e “profili” Instagram di giovanissimi e giovanissime ignari di tutto. Il social utilizzato è Telegram, strumento perfetto per chi intende mantenere l’anonimato, perché permette di chattare senza rendere noto il proprio numero di cellulare e di non custodire nulla sul proprio smartphone (ogni condivisione avviene in cloud ed è possibile inviare messaggi e foto che si “autodistruggono”, dei quali cioè, è possibile decidere l’eliminazione dopo un minuto dalla visualizzazione). Insomma, una chat pratica e veloce nella quale si annidano anche orribili insidie. Soltanto una tra le tante modalità in cui si radica e cresce l’abuso, che da “virtuale”, laddove nomi, dati, luoghi resi noti o sottratti per adescamento, rischiano di mutarsi in occasione concreta di abuso e violenza. Papa Francesco, nel suo recente discorso ai partecipanti del convegno “Child dignity in the digital world” ha toccato molti di questi temi sensibili, come la diffusione dilagante della pornografia tra i minori: un fenomeno che pure non sembra mobilitare le coscienze.

Ansa ha recentemente dedicato un approfondimento sul rapporto tra i giovani e la sessualità ripercorrendo le ricerche della giornalista Monica Lanfranco. Secondo la sua indagine, infatti, un campione piuttosto ampio di adolescenti dichiara che «la fonte unica, primaria e assoluta di insegnamento, apprendimento ed ispirazione per la propria sessualità è la pornografia attraverso il web».  Una scoperta che probabilmente non stupisce nessuno, ma che forse dovrebbe interessare, visto che il fenomeno non tocca soltanto i diciottenni inquieti, ma comincia assai presto: già attorno agli 11 anni. Un’indagine di Skuola.net (portale e testata giornalistica assai nota tra i giovani) rivela che a quell’età un ragazzo su tre possiede sul proprio smartphone materiale compromettente. «Se un quarto dei coinvolti non è in grado di definirne le caratteristiche precise, la restante parte ha fornito maggiori dettagli; in totale -si legge nella ricerca- il materiale pornografico supera il 65%». Dati che lasciano pensare e che fanno tornare in mente la chat dell’orrore (The Shoa Party) emersa qualche settimana fa sulle cronache dei giornali: un calderone di male in cui trovavano posto bestemmie, inni al nazismo, offese agli ebrei, tanta pornografia, violenze di ogni tipo..). Un caso certamente eccezionale, ma che deve far riflettere sul materiale che circola tra le mani dei più giovani. Basti pensare alla pratica, piuttosto diffusa tra gli adolescenti, di scambiarsi foto osè che rischia di metterne a repentaglio la dignità e di esporli a rischi di ricatti online.

Siamo sicuri che anche i nostri ragazzi, proprio quelli che frequentano il catechismo in parrocchia ne siano estranei? Qualcuno di loro mi ha esplicitamente parlato – tra una risata e l’altra- di youtuber bestemmiatori seriali, mostrato video di giovanissimi che prendono a calci altri giovanissimi, raccontato di episodi di cyberbullismo in cui è dovuta intervenire la polizia postale.

Facile, su questi temi, chiamare in causa scuola e genitori più o meno inconsapevoli, più difficile sentire prendere posizione gli adulti sul tema della pornografia (per non parlare della stampa più diffusa, spesso incline a sdoganare e banalizzare la fruizione di contenuti per adulti in cui la dignità dell’uomo e soprattutto della donna è pienamente svilita) quasi che condannarla faccia scivolare in un moralismo bacchettone. Certamente non è con quella roba che si impara a vivere una sana affettività, fatta di pazienza, ascolto, rispetto, tenerezza. Quale rispetto della dignità della persona umana può crescere attraverso una proposta degradante e ferina della sessualità?

Ugo Feraci