Un nuovo umanesimo per la medicina

Intervista al dottor Stefano Bartolini, noto neurologo Pistoiese, sul tema della giornata mondiale del malato.

a cura di Daniela Raspollini

Spesso il malato è colto da paura e smarrimento; quanto è importante il ruolo del medico nella relazione con il malato?

Per rispondere appare sempre più impellente la domanda: come è cambiata la professione del medico e quale sarà o dovrà essere il medico del futuro? Personalmente penso di essere stato testimone nella mia vita professionale, dai primi momenti iniziali fino al momento del pensionamento, di tutto il percorso di cambiamento della identità del medico e del conseguente rimodellamento del rapporto medico-paziente. Già le parole ed i termini che vengono usati per identificare i ruoli (dirigente medico piuttosto che medico, cittadino od utente piuttosto che paziente) testimoniano un profondo mutamento proprio nel modo in cui il medico concepisce se stesso o viene percepito dagli altri. A testimonianza di questa transizione culturale è interessante citare un articolo comparso recentemente su una delle più prestigiose riviste mediche internazionali (The New England Journal of Medicine, 10/11/2016). I due autori (D.I. Rosenthal e A. Verghese) già nel titolo del loro editoriale ponevano la domanda fondamentale: Meaning and the Nature of Physicians’ Work -Il significato e la natura del lavoro del medico. Quanto affermato in questo articolo rappresenta una fedele fotografia dei problemi che attualmente mettono in discussione la figura del medico per quanto concerne la sua identità ed il senso della sua professione e conseguentemente gli autori affrontano anche la tematica dei problemi emotivi (paura e smarrimento) spesso vissuti dalle persone malate.

Riassumendo brevemente le maggiori criticità appaiono essere: il tempo di cura -inteso come il tempo che il medico passa “accanto” alla persona ammalata nelle classiche procedute sanitarie- appare drasticamente ridotto. Più del 40-50% della giornata lavorativa di un medico viene speso di fronte allo schermo di un computer a svolgere compiti “burocratici”. È ridotto anche il tempo di relazione “faccia a faccia” con le altre figure mediche professionali mediche e non. Nonostante la retorica che il paziente sia al centro della cura, in realtà esso non lo è affatto. Il paziente spesso è non più, infatti, una persona in carne ed ossa, ma un file elettronico dove sono trascritti tutti i suoi dati, non solo sanitari. L’intero sistema sanitario, incluso il suo finanziamento, poggia pesantemente su questa rappresentazione digitale del paziente per la cui definizione è stato coniato un nuovo termine “iPatient”. Esiste spesso una discrepanza fra i report di qualità forniti dalle aziende, dove si afferma che il paziente gode in maniera uniforme e diffusa di ottime cure e l’esperienza concreta del paziente che invece ha una opinione totalmente diversa ed è portato ad avere sentimenti di paura e smarrimento. I medici appaiono sempre più disaffezionati al loro lavoro che viene giudicato troppo burocratico. Il fenomeno del burnout dei medici appare diffuso ed allarmante; infatti sembra che la depressione o sintomi depressivi interessino circa un quarto di loro.

Gli autori concludono la loro analisi sottolineando, in maniera del tutto condivisibile, la necessità di rimodellare un nuovo umanesimo della medicina e di richiamarsi al senso originale della professione medica: accompagnare la sofferenza degli altri e provvedere al loro conforto e cura.
A tal fine propongono di ripensare l’uso delle tecnologie informatiche per l’utilizzo ottimale delle stesse e di recuperare allo stesso tempo alcune pratiche tradizionali della pratica medica tali da ridurre la sensazione di distanza ed abbandono percepita dagli ammalati. A mio parere è attraverso questo nuova “alleanza” che si può aiutare le persone malate a superare le proprie paure ed allentare il senso di smarrimento che talvolta vivono all’interno delle strutture sanitarie.

 

Il papa nel suo messaggio afferma: «la cura dei malati ha bisogno di professionalità e di tenerezza, di gesti gratuiti e semplici come una carezza». A partire dalla sua esperienza come vuole commentare queste parole?

Le classiche pratiche sanitarie come la visita a letto dell’ammalato, la raccolta della anamnesi accurata dal paziente stesso, il colloquio con la famiglia, il contatto fisico concreto con le mani nella vista medica sono sempre più ridotte a vantaggio della registrazione dei dati su files elettronici.
La figura del paziente è come se fosse depersonalizzata ed anche la sua realtà corporea è come se fosse alienata. L’invito di Papa Francesco è quindi attualissimo in quanto ci richiama non solo alla professionalità, quindi anche all’obbligo morale della conoscenza e dell’impegno, ma anche alla “prossimità e vicinanza” alla persona che soffre nella malattia attraverso la tenerezza, gesti semplici gratuiti come una carezza o una parola, uno sguardo, un momento di attesa a bordo del letto per comunicare con coloro che sono deboli perché ammalati, timorosi del loro futuro e alla ricerca di dare un senso della loro sofferenza, della loro intera vita o addirittura della possibile morte. Le piccole ed umili cose sono in genere quelle che hanno maggior significato nel rapporto fra le persone.

A fronte di una cultura e di una mentalità che rifiutano la malattia e la sofferenza che significato assume questa giornata?

È vero che esiste una visione prometeica della medicina per cui la ricerca medica appare onnipotente ed in grado di curare qualsiasi malattia e di allungare indefinitivamente la vita fino ai suoi limiti estremi. Questa fiducia illimitata nella scienza e nella tecnica ha portato a considerare la malattia come un accidente, ha svuotato di senso il limite e la sofferenza umana. Addirittura la morte viene vissuta come uno scandalo per cui rappresenta l’ultimo tabù rimasto nella nostra società che tende quindi a nasconderla ed a non parlarne. In realtà la malattia, la sofferenza e la morte non possono essere negate perché l’uomo ne fa esperienza quotidiana. La loro negazione non può non provocare l’emarginazione e l’indifferenza verso chi soffre. La giornata mondiale del malato è segno rinnovato ed attuale di attenzione, rispetto ed amore verso le persone sofferenti ed anche risposta all’invito di Papa Francesco che ci esorta a seguire l’esempio di Madre Teresa di Calcutta che ha scelto i poveri e gli ammalati ed i morenti per testimoniare attraverso la sua carità l’amore di Dio per i poveri e gli ammalati.

Il papa nel suo messaggio richiama l’importanza del volontariato e della gratuità. È possibile custodire questo atteggiamento anche da professionista della sanità?

Sì, se intendiamo per gratuità l’atteggiamento interiore di disponibilità a soccorrere che è principio fondante della professione medica. Questa particolare vocazione è ben rappresentata artisticamente nella formella robbiana (visitare gli infermi) esposta sul frontale del nostro Ospedale del Ceppo e, in forma di parabola, nella parabola del Buon Samaritano.
L’ atteggiamento del donare rappresenta le fondamenta della professione medica, sia o no legata alla remunerazione pecuniaria. Il professionista della sanità dona le proprie conoscenze professionali, i propri sentimenti di vicinanza empatica al paziente ed insieme riceve a sua volta dalla persona malata il dono della fiducia, della stima e talvolta della amicizia.
Esistono poi forme di gratuità “assoluta” di cui non mancano esempi nella società civile, dove si esprimono in molteplici forme di volontariato, la cui funzione di sussidiarietà è fondamentale nel mondo della sanità. Anche il professionista della sanità che opera all’interno delle strutture, così come il volontario che dedica gratuitamente il suo tempo alla cura degli altri, può e deve essere ispirato dallo spirito del dono gratuito delle propria persona nel prendersi cura degli altri, sopratutto quando sono più deboli, sofferenti ed ammalati.

Personalmente cosa sente di aver ricevuto “gratuitamente” dal Signore?

Tutto e di aver restituito ai fratelli solo una piccolissima e minima parte di quei talenti che mi sono stati affidati.

Daniela Raspollini