“TUTTO CIO′ CHE SONO LO DEVO AI POVERI”. IN RICORDO DI FRATEL ARTURO PAOLI

Sabato 6 febbraio 2016, dalle ore 15 alle ore 19.30 presso il Seminario di Pistoia – Via Puccini, 36 avrà luogo un incontro in ricordo di Fratel Arturo Paoli organizzato da Casa della Solidarietà – Rete Radié Resch di Quarrata, le Parrocchie di Santomato, San Piero Agliana e Stazione di Montale.

Parleremo dei Poveri, di quali sono i meccanismi che li generano, perché, come ci ha ripetuto più volte papa Francesco: nessuno nasce povero!

Oggi il bisogno della nostra società di tornare a pensare la speranza è decisivo, fondamentale. Urge immaginare un futuro nuovo che ci faccia attraversare con coraggio il presente, portandoci a scelte di fiducia verso l’altro, nel suo valore al di là di ogni tipo di differenza e sofferenza. Al valore del lavoro come strumento di dignità, di autonomia, di solidarietà.

Lo faremo insieme a:

Raffaele LUISE, giornalista e scrittore;

Antonietta POTENTE, suora domenicana, teologa

don Luigi CIOTTI, fondatore Gruppo Abele e Libera

fratel Luigino, piccolo fratello di Charles de Foucauld

In ricordo di Fratel Arturo Paoli, da poco scomparso all’età di 103 anni, lo vogliamo ricordare a partire dal suo testamento spirituale: “Tutto ciò che sono lo devo ai poveri”.

Per un profilo biografico di Arturo Paoli.

Dal “Testamento Spirituale” di Fratel Arturo Paoli

Credo fermamente che GESÙ sia misericordioso non solo perché lancia un salvagente all’anima che sta per naufragare nella condanna eterna ma anche e soprattutto per la sua decisione, suggerita dal suo amore infinito di fare di ogni creatura umana, direttamente o anche a sua insaputa, un partecipe al suo progetto di amorizzare il mondo.

Abbiamo motivo di credere che una lagrimetta finale ci salverà dall’inferno. Ma i veri cristiani sono quelli che fanno quanto possono per portare frutto “Io sono la vite e voi i tralci”. Questo e solo questo è il nostro Salvatore.

Chiedo a tutti, parenti e amici che ho teneramente amato sulla terra, di pregare il Salvatore che mi accolga fra gli eletti. Ma vorrei dire a tutti coloro che mi ricordano che non dimentichino mai che il nostro luogo di nascita si professa cristiano-cattolico ma presentemente noi facciamo parte di un sistema politico il più antievangelico immaginabile.

Penso spesso a una bella preghiera al Padre «Tu apri la tua mano e riempi ogni essere di ogni bene».
Oggi per essere veri cristiani dovremmo pregare:
«Non guardare Signore
mentre riempio di pane il cassonetto dei rifiuti»
Mentre i nostri fratelli ci chiedono ospitalità noi preghiamo
«Liberaci dai nemici che vengono a turbare la nostra pace».

Forse il solo vantaggio di vivere in questa terra opulenta sarà quello di essere convinti di essere incapaci: “sono un servitore inutile”.

Di che cosa parleremo Sabato? Per avviare la discussione…

Oggi sessantadue persone sono più ricche di 3,6 miliardi di esseri umani. Sessantadue persone che in cinque anni hanno visto la propria ricchezza crescere del 44%, oltre 500miliardi, mentre la metà più povera del pianeta si impoveriva del 41%. I dati divulgati da Oxfam sono un affronto e una vergogna dal punto di vista della giustizia.

Quando il movimento Occupy Wall Street lanciò lo slogan “siamo il 99%” probabilmente non immaginava che solamente pochi anni dopo quel 99% sarebbe realmente stato la parte più povera del pianeta. Eppure oggi l’1% più ricco della popolazione ha un patrimonio superiore a quello del rimanente 99%. Sono alcuni dati contenuti nell’ultimo rapporto di Oxfam sulle diseguaglianze, presentato in vista del Forum di Davos dei prossimi giorni.

Sempre secondo il rapporto “An economy for the 1%”, non solo le diseguaglianze stanno aumentando, ma stanno addirittura accelerando. Nel 2010 bisognava prendere i 388 miliardari più ricchi per arrivare al patrimonio della metà più povera del pianeta. Nel 2014 bastava fermarsi all’ottantesimo. Oggi sono 62. Sessantadue persone sono più ricche di 3,6 miliardi di esseri umani. Sessantadue persone che in cinque anni hanno visto la propria ricchezza crescere del 44%, oltre 500miliardi, mentre la metà più povera del pianeta si impoveriva del 41%.

Ancora, dall’inizio del secolo alla metà più povera del mondo è andato l’1% dell’aumento di ricchezza, mentre l’1% più ricco se ne accaparrava la metà. È un fenomeno particolarmente drammatico nei Paesi più poveri, ma che accomuna tutto il mondo. Nel Sud, il 10% più povero ha visto il proprio salario aumentare di meno di 3$ l’anno nell’ultimo quarto di secolo. Se le diseguaglianze non fossero cresciute durante questo periodo, 200 milioni di persone sarebbero uscite dalla povertà estrema. Nello stesso arco di tempo, negli USA lo stipendio medio è cresciuto del 10,9%, quello di un amministratore delegato del 997%.

In questo quadro, di quale ripresa, di quale crescita, di quale economia parliamo? Tralasciamo l’insostenibilità ambientale e persino l’ingiustizia sociale. Guardiamo unicamente le conseguenze economiche. In uno studio recente l’OCSE ricorda che le diseguaglianze hanno causato una perdita di oltre 8 punti di PIL in vent’anni. Un’enormità. Il motivo è semplice: se famiglie e lavoratori sono sempre più poveri, calano i consumi e quindi la domanda aggregata. Una “soluzione” è indebitare famiglie e imprese per drogare la crescita del PIL. È il modello subprime, un’economia del debito che può funzionare per qualche anno, finché inevitabilmente la bolla non scoppia.

L’altra soluzione è scaricare il problema sul vicino, puntando tutto sulle esportazioni. Tagliamo stipendi e diritti di lavoratrici e lavoratori, tagliamo le tasse alle imprese e il welfare. Ovviamente aumenteranno le diseguaglianze e crollerà la domanda interna, ma saremo più competitivi e quindi esporteremo di più. È l’attuale modello italiano ed europeo, riassunto nel documento “dei cinque presidenti”, promosso da tutte le istituzioni europee per tracciare la linea dei prossimi anni. Nel capitolo dedicato alla “convergenza, prosperità e coesione sociale” si riesce nell’impresa di non menzionare mai parole quali “diritti”, “reddito” o “diseguaglianze”, mentre viene utilizzata per diciassette volte la parola “competitività” (17!).

Un modello in cui la crescita delle diseguaglianze non è quindi un fastidioso effetto collaterale, ma la base stessa di un gioco pensato e tagliato su misura per l’1%. Una gara verso il fondo in ambito sociale, ambientale, fiscale, monetario, per vincere la competizione internazionale. La semplice domanda è: se le diseguaglianze aumentano ovunque e la gara è globale, è possibile che tutti esportino più di tutti? In attesa che la NASA scopra che c’è vita su Marte per potere esportare anche li, questa economia dell’1% non sembra particolarmente lungimirante, come mostrano le cronache di questi giorni.

I dati divulgati da Oxfam sono un affronto e una vergogna dal punto di vista della giustizia sociale, ma sono disastrosi anche da quello meramente economico. Una ricetta per una nuova crisi. Il problema è che l’aumento delle diseguaglianze dal 2008 a oggi è anche un segnale fin troppo evidente di chi rimane con il cerino in mano quando questa crisi scoppia. Ed è allora difficile che il messaggio venga recepito a Davos, all’incontro annuale di quell’1% -anzi, di quel zero virgola- che continua a guardare dall’alto, sempre più dall’alto, oltre il 99% dell’umanità.

Oggi il bisogno della nostra società di tornare a pensare la speranza é decisivo, fondamentale. Urge immaginare un nuovo futuro che ci faccia attraversare con coraggio il presente, portandoci a scelte di fiducia verso l’altro, nel suo valore al di là di ogni tipo di diffidenza e sofferenza. Al valore del lavoro come strumento di dignità, di autonomia e di solidarietà.

Antonio Vermigli