Tempo di scelte: perchè è importante l’IRC

PISTOIA – Periodo di scelte per le famiglie che hanno i figli in età scolare. Le famiglie si trovano impegnate, in questo periodo, a confrontarsi con le iscrizione dei loro figli. In particolare nel momento dell’iscrizione al primo anno di ogni ciclo, in base alla normativa vigente, studenti e genitori sono chiamati a scegliere se avvalersi dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc). Ma quali sono le ragioni di una scelta che potrebbe sembrare secondaria? Insieme a noi ha provato a fare un ragionamento il professor Edoardo Baroncelli, direttore dell’ufficio per l’insegnamento della Religione Cattolica della diocesi.

«La domanda è: a che cosa serve la scuola ? – afferma Baroncelli – e la scelta di avvalersi o no dell’insegnamento di religione cattolica rivela la risposta a questa domanda. Tutti concordano nell’affermare che il compito della scuola non è solo quello di trasmettere conoscenza ma di contribuire alla formazione integrale della persona. Se questo è il compito della scuola, allora, se vogliamo che sia questo, la scelta di avvalersi dell’insegnamento dell’Irc è perfettamente conseguente. «La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso del bene e il senso del bello», ha affermato Papa Francesco. Sui nostri ragazzi soffia il vento di una cultura velatamente aggressiva – annota ancora Baroncelli – a tratti violenta, appiattita. Le stelle si vedono sempre più di rado sopra il cielo della città post moderna. La posizione più frequente è quella con la testa ripiegata in giù. Sul cellulare. Ma i nostri ragazzi hanno due potenti contrappesi, come un istinto di sopravvivenza, primordiale e insopprimibile: il punto interrogativo, e l’asse verticale».

Frequentare “l’ora di religione” diventa quindi uno spazio aperto per guardare oltre: «Chi si avvale di Irc – spiega Baroncelli – ha a disposizione un luogo dove il punto interrogativo ha la cittadinanza onoraria. Nel cuore dei nostri ragazzi circolano molte domande che gli alunni non avvalentesi fanno fatica a trovare chi ascolta. La capacità di orientare verso l’alto lo sguardo (e la vita) degli studenti è un compito di ogni insegnante, ma poche materie possono rendere questo progetto un preciso programma come invece l’Irc. Questa è un luogo di incontro: con parti di sé in ombra, con l’altro, con la diversità, con domande grandi che valgono la vita, con orizzonti di pensiero rigorosi e affascinanti. Si legge nei documenti ufficiali che l’Irc serve a “sviluppare un positivo senso di sé e sperimentare relazioni serene con gli altri, anche appartenenti a differenti tradizioni culturali e religiose”

( Indicazioni per l’Infanzia). E ancora: “L’Irc, nell’attuale contesto multiculturale, mediante la propria proposta, promuove tra gli studenti la partecipazione ad un dialogo autentico e costruttivo, educando all’esercizio della libertà in una prospettiva di giustizia e di pace” ( Linee per i Licei) ».

E chi invece desidera fare un percorso diverso? «La norma – ricorda il direttore dell’ufficio scuola – consente alle famiglie di non avvalersi scegliendo tra quattro diverse opzioni, tra cui il nulla. Niente. Uscire da scuola. Nell’emergenza educativa che il nostro paese e questa generazione sta vivendo, ogni insegnante è una zattera per mettere in salvo qualcuno in più». Solo un furore ideologico insensato – conclude Baroncelli – può indurre a ritenere che sia preferibile il nulla rispetto a un’ora di scuola, che sia meglio uscire che restare. Appena accade un fatto negativo di cronaca i commentatori chiedono subito: “E la scuola dov’era?”. La scuola era al suo posto, e gli insegnanti anche. Almeno finchè non li abbiamo resi facoltativi. Si tratta di posizioni fortunatamente oramai marginali, di pochi ex combattenti che non si sono resi conto che il tempo della guerra è finito da un pezzo e che credono di essere ancora negli anni 50 del secolo scorso. Forse per sentire meglio definita una qualche identità. I ragazzi, e il loro futuro, non possono essere il campo di battaglia di residuati conflitti ideologici finiti da un pezzo che con loro, tra l’altro, non hanno nulla a che vedere. Sul bene dei ragazzi, sull’emergenza educativa, sulla necessità che la scuola sia zattera e salvagente tutte le donne e gli uomini di buona volontà possono incontrarsi e dialogare. E in questo orizzonte non vi è nessuna indecisione davanti alla scelta di avvalersi».

«A tutte le latitudini della Diocesi – afferma ancora Baroncelli – gli insegnanti di religione vivono ed operano per una scuola aperta, accogliente, inclusiva. Indicano orizzonti, promuovono esperienze insieme ai loro alunni, accompagnano alla conoscenza di luoghi e posti. Stimolano il pensiero con domande, con proposte di risposte. Tutelano ed accolgono fragilità.

Sono spalle affidabili per la crescita dei loro alunni. Gli insegnanti di religione non sono ospiti delle scuole, più o meno graditi, sono un dono per i ragazzi, per le loro famiglie, per le scuole dove operiamo.

Nonostante questo, come riportava il quotidiano Avvenire, sul piano nazionale l’85.5% delle famiglie e degli studenti sceglie ancora di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. Un dono e un compito per tutti gli Irc e per la nostra Diocesi a fare sempre di più e sempre meglio il nostro dovere di educatori. John Fitzgerald Kennedy amava ripetere una frase che spero sia spunto di riflessione per tutti: “Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana”».

Michael Cantarella