LASCIATI GUARDARE DA CHI HAI UCCISO. L’OMELIA DEL VESCOVO TARDELLI NELLA SECONDA STAZIONE QUARESIMALE

La Bibbia non è un libro per vecchi. Uno di quei testi rassicuranti e ammorbiditi che possono conciliarci il sonno o la pensione. La vicenda di Giuseppe.venduto dai fratelli o alcune parabole di Gesù, come quella di Vignaioli omicidi ci inquietano e ricordano anche molto da vicino episodi di cronaca nera. Con la.differenza, per restare vaghi, che le pagine bibliche restano li da millenni ad.interrogarci sulle eterne miserie dell’uomo in cui trova spazio l’azione di Dio.

«Il sacro tempo della quaresima – ricorda il vescovo Tardelli nella seconda stazione quaresimale, presso la chiesa di san Paolo apostolo– ci richiama ad altre considerazioni; a cambiare mente e mentalità (…) magari accompagnata da un lamento per i tempi tristi che stiamo vivendo. Troppo facile cavarcela così!».

Siamo proprio sicuri di non essere.un po’ simili ai fratelli di Giuseppe? Di non essere come loro almeno un po’ invidiosi, gelosi, senza scrupoli? La questione è ancora più profonda e ci interessa da vicino, ci coinvolge personalmente. «È chiaro infatti, che la figura di Giuseppe rimanda a quella di Cristo, venduto dai suoi stessi amici ai capi del popolo di Israele; non accolto, anzi rifiutato proprio da coloro che erano il suo popolo; da coloro – come i discepoli – che per primi avrebbero dovuto riconoscerlo. Questa sera allora, ognuno di noi è messo davanti a Cristo».

Stare.di fronte.a Cristo, come.sostare.di fronte alla.pagine bibliche non è cosi facile e indolore. Gesù ci guarda. Scruta il nostro cuore. Un’atteggiamento che in San Paolo, prima e dopo la messa, è assicurato da alcuni momenti di adorazione del Santissimo Sacramento. Un’esperienza che dice un po’ la cifra di questa chiesa cittadina, da tanti anni accompagnata, sotto il campanile. dalla cappella dell’adorazione perpetua. Un piccolo spazio, che guarda la città che passa. Un’occhio aperto sul cuore dell’uomo che circola distratto e pensieroso davanti alla porticina a vetri della cappella.
«È Lui, il Signore Gesù che si pone davanti a noi e ci fissa coi suoi occhi che vedono ogni cosa, anche le profondità della nostra anima. E davanti a lui siamo invitati a scegliere nuovamente: o con Lui o contro di Lui.(…) stasera Lui ci invita a identificarci coi fratelli che hanno venduto Giuseppe; coi contadini che hanno ucciso il figlio del vignaiolo. Si, proprio noi; si, proprio io, ho venduto, ho ucciso. Ho venduto, ho ucciso Lui, Gesù, con la mia indifferenza, con la mediocrità della mia fede, con la mia indolenza, con la mia superficialità, con il mio cedere sempre di nuovo agli impulsi dell’uomo vecchio fatto di gelosie, di invidie, di rancori, di pigrizia, di lussuria, di ipocrisia».

Il vescovo Tardelli smonta, uno ad uno, i nostri fraintendimenti e le nostre mancanze con un catalogo impietoso: «Abbiamo venduto e ucciso Lui, quando non abbiamo obbedito ai suoi comandamenti, quando ci siamo voltati da un’altra parte di fronte al fratello, quando non abbiamo servito, amato, abbracciato chi era nel dolore, o abbiamo insultato, maledetto, offeso l’altro».

Siamo bravi a puntare il dito, a commentare che le cose vanno a rotoli, che gli altri meriterebbero una lezione pesante. Eppure quel che condanniamo è talvolta anche «ciò che abbiamo fatto», che «unito al peccato di altri, ha reso possibile i drammi che riempiono le cronache di ogni giorno. Senza che neanche ce ne rendiamo conto. (…) Gesù parla di noi, parla a noi e noi siamo davanti a lui. Lui, con calma, fissandoci negli occhi e dentro il cuore, ci racconta la storia di Giuseppe venduto dai fratelli. Non ci accusa; non ci condanna; semplicemente ci racconta quella storia e ci chiede di ascoltarla; è sicuro che ne capiamo il significato. E, come se non bastasse, con la stessa calma, ci racconta anche la parabola dei contadini malvagi. Scandisce le parole, perché entrino in noi e ancora, perché noi capiamo da soli; continuando a fissarci negli occhi, mentre noi facciamo fatica a sostenere il suo sguardo; non c’è rabbia nel suo sguardo, non c’è risentimento, solo infinito amore, ma proprio per questo non riusciamo a sostenerlo».

Il suo sguardo è lo sguardo che recuperiamo nella presenza muta e indifesa, fragile e umile del suo corpo eucaristico offerto in sacrificio per noi. Con la Sua presenza e le Sue parole «il Signore Gesù svela la radice del male che è in ognuno di noi, la necessità di vigilare perché l’uomo vecchio non prenda il sopravvento, perché guardando in faccia il male che ci attacca, lo possiamo prevenire confidando in Lui. È questo alla fine ciò che conta e ciò che il Signore vuole da noi. Che smettiamo l’atteggiamento farisaico di chi si crede giusto e di non aver bisogno di guarigione e assumiamo invece l’atteggiamento che onora la verità, facendoci prendere coscienza di avere un assoluto bisogno del tocco della mano di Dio per la nostra salvezza».

Non è un libro per vecchi la Bibbia. Anche se spesso i suoi racconti hanno il lieto fine. Un finale che rivela principalmente la misericordia di Dio, la sua alleanza fedele, aldilà del nostro merito. Giuseppe, «odiato dai fratelli, sarà quello che salverà i fratelli, quando, mossi dalla carestia, cercheranno rifugio in Egitto dove Giuseppe è diventato importante. Lo scartato diventa il salvatore (…) Così la parabola dei contadini ci dice che il figlio ucciso, Gesù, darà salvezza agli uomini».

Sì il Signore ci conosce e sa che abbiamo bisogno di lieto fine. Anche se non a buon mercato. Desidera, in primo luogo che ci conosciamo, nella nostra reale misura e miseria.per costruire «la nuova umanità che inizia dal nostro cuore pentito e redento. A partire da stasera».

Prossimo appuntamento venerdì 9 marzo, con la Stazione Quaresimale dalla Madonna del Soccorso fino alla Chiesa di San Bartolomeo Apostolo.

Leggi l’intera omelia.




«QUANTO CI MANCA AD ESSERE COME DIO VUOLE?» L’OMELIA DEL VESCOVO TARDELLI PER LA STAZIONE QUARESIMALE

«Quanto ci manca ad essere come Dio vuole?»

Piove e soffia freddo il vento che preannuncia la tempesta siberiana. Dalla chiesa del Carmine la processione avanza piano al canto delle litanie. Un corteo non troppo numeroso ricorda a chi passa il tempo della Quaresima, mentre il freddo invernale ricorda a chi prega la fragilità di chi vive esposto alle intemperie della storia e del peccato. Si entra, poi, nell’antica pieve di Sant’Andrea, attraverso il portone spalancato come una ferita. Anche il pulpito di Giovanni Pisano esibisce la propria fragilità, con una colonna e un capitello stretti da una fascia come un braccio rotto.

Nella prima stazione quaresimale 2018, venerdì 22 febbraio, l’omelia del vescovo Fausto Tardelli ricorda che «solo ascoltando con attenzione il Signore che ci parla, solo contemplando il suo amore misericordioso che si è manifestato sulla croce, noi siamo spinti a guardare alla nostra vita in profondità».

Dietro l’altare in Sant’Andrea svetta una croce dipinta con il volto santo di Lucca. Avvolto nella sua dignità regale contempla muto, in un silenzio pensieroso, l’umanità di chi passa e prega. Davanti al crocifisso, continua il vescovo, «abbiamo la luce necessaria per scandagliare il male che è in noi, riconoscere che abbiamo peccato, anzi, che siamo nel peccato, che abbiamo una mentalità sbagliata, un modo di vedere le cose che non è quello di Dio, un modo di ragionare lontano dal vangelo e che ci manca ancora molto ad essere come Dio ci vuole».

(foto di David Dolci)

Sono tante le croci in Sant’Andrea. Due crocifissi lignei di Giovanni Pisano raccontano tutto il dramma del Salvatore crocifisso, descrivono tutto il prezzo della nostra salvezza: «è il Signore che ci guida a riconoscere i nostri mali. Noi non siamo in grado di fare una diagnosi vera».

Per tale diagnosi il Vescovo Tardelli suggerisce un’adeguata terapia: «ciò che dobbiamo fare innanzitutto in questo sacro tempo di Quaresima è lasciarci raggiungere dalla parola di Dio; lasciarci contestare dall’amore di Dio; lasciarci scuotere da lui, ascoltando con cuore aperto e piena attenzione le Sacre Scritture e mettendoci di fronte a Cristo crocifisso; a Cristo che ci apre le sue braccia come risorto con i segni della passione e della croce».

Mons. Tardelli ricorda che anche Gesù sa non essere tenero: «Gesù afferma che si può uccidere il nostro prossimo anche con la nostra ira, la nostra rabbia; che è condannabile chi offende il prossimo; che addirittura, se tu sai che il tuo fratello ha lui, qualcosa contro di te, devi esser tu a cercare di riconciliarti per primo».

Basta scorrere i commenti sui social di tanta gente perbene, che sembra perdere la testa di fronte ai fatti di cronaca e moraleggia su video di violenza e sconvenienza. «Queste parole di Gesù toccano davvero dei nervi scoperti della nostra anima, specialmente di noi oggi così inclini, anche attraverso i cosiddetti social, a offenderci, a dirci le peggio cosa, ad augurare ai nostri nemici le peggiori disgrazie; oggi, quando sembra di moda essere violenti e arroganti».

Parole che bruciano anche a chi getta lo sguardo dentro la Chiesa: «Dentro le nostre comunità, dentro la chiesa, quante chiusure, quanti giudizi malevoli, quante offese, maldicenze, rabbia, invidie e gelosie!»

È dunque il tempo della resa? Il momento di alzare bandiera bianca o cedere al martellamento di male che viene dalle notizie in televisione e dal nostro cuore?
Il tempo quaresimale è il momento di «accettare di buon grado che il Signore ci contesti e ci metta in crisi; che ci faccia capire i mali che abbiamo dentro … E consapevoli della nostra debolezza, preghiamo levando la nostra supplica, accorata e sincera: convertici a te Signore con la grazia del tuo amore e noi ci convertiremo».

(Leggi l’intera omelia)




IL VESCOVO TARDELLI INCONTRA LA STAMPA

Torna l’ormai tradizionale appuntamento del vescovo con la stampa locale. Mons. Tardelli consegna ai giornalisti il messaggio di Papa Francesco per la Giornata della Comunicazioni Sociali 2018. 

Il Vescovo Tardelli ha incontrato i giornalisti in occasione della pubblicazione del Messaggio di Papa Francesco per la Giornata delle Comunicazioni sociali 2018. La celebrazione della giornata cade tradizionalmente per la solennità dell’Ascensione giovedì 10 maggio, tuttavia è ormai consolidata da tempo l’abitudine di un incontro tra la stampa e il vescovo nel giorno, o in prossimità, della memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.

Per l’occasione il vescovo ha presentato la ‘squadra’ comunicativa della Diocesi (Ufficio Comunicazioni sociali, Addetto stampa, collaboratori del settimanale diocesano “La Vita”) e si è anche reso disponibile alle domande dei presenti spaziando su alcuni dei suoi principali impegni: la riorganizzazione delle parrocchie e la visita pastorale in corso, che lo occuperà fino a buona parte del 2019.

Non è mancato un riferimento agli eventi proposti nel 2017 dalla Diocesi per l’anno della capitale della Cultura, alcuni dei quali, come la mostra della Visitazione, si protrarranno e avranno sviluppi ulteriori nel corso dell’anno.

È stata soprattutto l’occasione per presentare alla stampa locale il messaggio di Papa Francesco per la Giornata delle Comunicazioni Sociali: «La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace».

Al centro del messaggio, ha precisato il vescovo ai giornalisti, «c’è il rapporto di ciascuno di noi con la verità. E la verità è qui presentata in rapporto alla vita concreta delle persone. Verità come rispetto delle persone perché non diventino mai mezzi o strumenti. Rispetto -in un messaggio che si rivolge a tutti i giornalisti- anche di Gesù stesso, che si è presentato come la Verità in persona». Tutti abbiamo ormai sentito parlare di fake news, cioè di quelle ‘false notizie’ che circolano prevalentemente, ma non esclusivamente, sul web, ma per chi volesse saperne di più il messaggio offre anche una definizione: «informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore».

Non si tratta dunque di scarsa informazione, ma di una vera e propria manipolazione della realtà. Il testo, infatti, aggiunge il vescovo, presenta «il problema della menzogna facendo riferimento al ‘serpente antico’. È centrale nel testo, infatti, l’episodio biblico che racconta la prima ‘fake news’, cioè Genesi 3,1-15 dove si descrive la menzogna del serpente che mente ai progenitori e li seduce». ‘Capziosa’ e ‘mimetica’ la natura delle fake news segue la ‘logica del serpente’, non quella della verità «che attrae e non seduce, perché la seduzione è spesso arte menzognera».
«È un meccanismo – continua Tardelli – che si ripresenta in una società in cui ci si inganna spesso e volentieri». Se le bugie le abbiamo relegate all’infanzia e, pure dalle nostre parti, ci abbiamo dedicato un festival, il problema è la menzogna: «cosa c’è dietro una fake news? Sete di potere, di successo, manipolazione».
«Un’informazione sbagliata – precisa il vescovo citando il Papa – non è mai innocua. Produce sempre conseguenze nefaste. Oggi i new media sono lame taglienti con cui è assai facile ferire. Il papa richiama tutti alla responsabilità. Siamo cercatori di verità oppure la verità non ci interessa? Il problema del rapporto personale della verità è incisivo e diventa appello all’educazione, invito al discernimento; suggerisce -secondo una bella espressione di Papa Francesco- di “lasciarsi purificare dalla verità”».

Di fronte al dilagare delle fake news e della menzogna, che pure chiedono responsabilità e una regolamentazione legislativa, il papa ricorda che «il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie ma le persone. Persone che libere dalla bramosia sono pronte all’ascolto alla fatica di un dialogo sincero».

Il giornalista è ‘custode’ delle notizie. Una ‘custodia’ che diventa vocazione e missione, come insegna la ‘custodia’ di Giuseppe nei confronti di Gesù. «Il giornalista ha il compito – e il vescovo ripete con particolare attenzione l’invito di papa Francesco-, nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop, di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone».
Un’attenzione che conduce ad un ‘giornalismo di pace’, cioè non a un giornalismo annacquato e buonista, piuttosto a un «giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale».

(redazione)




RIVESTIRSI DI LUCE. LE PAROLE DEL VESCOVO PER LA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA

Nella solennità dell’Epifania il vescovo Tardelli ha istituito ministri tre giovani della Diocesi che si preparano al sacerdozio: Alessio Bartolini e Eusebiu Farcas hanno ricevuto il ministero dell’accolitato, mentre Fratel Antonio Bendetto della Fraternità apostolica di Gerusalemme ha accolto il ministero del lettorato. Un momento di festa nel giorno dell’Epifania in cui il vescovo ha invitato a guardare Gesù Cristo, il Dio che «si è fatto uomo per attrarre tutti a sé e condurre tutti nella comunione piena con Lui».
Epifania è manifestazione. E la manifestazione di Gesù si esprime nell’universalità della chiamata alla conversione, nella possibilità di conoscere, amare e adorare il Dio che si fa come noi: «perché ogni uomo, di qualunque razza e colore, di qualunque lingua e paese della terra, lo potesse incontrare e, liberato dal peccato, avere salvezza eterna».

Epifania è anche festa di luce che rischiara ogni oscurità: “Dalla grotta di Bethleem si irradia una luce interiore e vittoriosa sulle tenebre maligne del mondo, che attira ogni uomo e ogni popolo verso la fonte dell’amore e della vita che è Dio”.

Epifania è invito alla testimonianza, a «rivestirsi di luce». «”Alzati, rivestiti di luce”, dice Dio. Bellissimo davvero questo invito che Dio rivolge a ciascuno di noi stamani, forse ancora troppe volte ripiegati su noi stessi, a piangerci addosso, intenti a leccarci le ferite della vita oppure spenti e chiusi nel nostro tran tran quotidiano, tristi e fiacchi per le nostre miserie e per come vanno le cose del mondo.

«“Alzati, rivestiti di luce!”». Un invito, ha ripetuto il vescovo Tardelli che diventa motivo di gioia e speranza: Rivestirsi di luce è una espressione, straordinaria. (…) essere rivestiti di luce sta a indicare una luce che ci ricopre completamente, dando alla nostra persona una lucentezza, una luminosità che si diffonde, che rallegra, che attrae».

Epifania è contemplazione di una profezia che si è compiuta, perché invita a considerare l’universalità raggiunta dall’annuncio cristiano: «In ogni parte della terra – ha aggiunto il vescovo – è diffuso il popolo di Dio e – nonostante il peccato – la chiesa splende della luce di Cristo, anche attraverso il martirio, la testimonianza condotta fino al versamento del sangue».
I re magi sono segno eloquente dell’universalità del messaggio cristiano. La loro storia è «riconoscimento della forza attrattiva di Cristo su tutti gli uomini e invito a camminare anche noi, tra le tenebre del mondo, verso la luce di Cristo; anzi, a lasciarci illuminare da Lui nella fede, nella speranza e nella carità, facendoci addirittura rivestire di luce, per essere araldi e testimoni del suo amore nel mondo».
Un invito alla missione che «non possiamo non raccogliere», «mettendo al servizio di Dio la nostra vita per la diffusione del suo Regno».
È la strada percorsa dai tre nuovi ministri «l’uno lettore per custodire e curare il servizio della parola di Dio contenuta nelle Scritture Sante; gli altri accoliti, per servire all’altare il mistero dell’amore di Dio che si svela in ogni eucaristia».
Tre giovani che «udita la chiamata del Signore (…) Hanno cominciato a farsi “rivestire di luce” e di questo, tutti noi siamo particolarmente felici».

Leggi l’intera omelia…