IL PROFUMO DELLA VITA

Venerdì 23 marzo, con il tragitto dal Battistero di San Giovanni in Corte alla chiesa di San Giovanni Fuorcivitas, si è concluso il cammino delle stazioni quaresimali; un «itinerario quaresimale che ci ha visto attraversare la città da un chiesa all’altra, andando dietro al Signore, per cercare Colui che ci ha cercato e trovato per primo».

Un cammino fermatosi alle soglie della Settimana Santa, che prima di ripercorrere la passione di Cristo ha fatto gustare, in anticipo, il profumo della vita. Il vangelo di venerdì scorso raccontava infatti la vicenda di Lazzaro: «il tripudio della vita – ha ricordato il vescovo Tardelli nella sua omelia -. La resurrezione di Lazzaro, amico di Gesù, come la risurrezione del figlio della sunamita ad opera del profeta Eliseo, ci fanno sentire la gioia, il profumo, l’allegria della vita».

Una fragranza che fa misurare tutta l’incompatibilità tra l’uomo e la morte. «Possiamo compiere tutti gli sforzi del mondo per assuefarci alla morte; possiamo tentare di esorcizzarla in ogni modo; cercare di tenerla lontana dalla nostra vista, dalla nostra esperienza….. Ma non c’è niente da fare. Pur nello stordimento della distrazione – ha ricordato il vescovo -, essa, col suo carico di tristezza, di gelo e di ineluttabilità, torna ad assalirci sempre di nuovo (…). Tutto si ribella in noi di fronte alla morte. Non siamo fatti per la morte».

La vicenda degli uomini, senza l’orizzonte di Dio, resta incastrata nel dramma della finitudine e della fragilità. Avvertiamo, infatti «come una contraddizione inaccettabile venire alla vita, respirarla a pieni polmoni, magari superando grandi difficoltà, e poi finire nel vuoto di un sepolcro. Per tutto questo, il miracolo della risurrezione di Lazzaro rappresenta una esplosione di gioia e di speranza». Eppure anche Lazzaro, tornato alla vita, era destinato a morire di nuovo. Il miracolo della vita sfuma forse nell’illusione?

Forse qualcuno si ricorda –di quel film scandaloso, ma per niente banale che è l’Ultima tentazione di Cristo di Scorsese – la scena in cui Gesù chiama Lazzaro a uscire dal sepolcro. D’improvviso, dall’oscurità del sepolcro, Lazzaro tende la mano a Cristo. Gesù è quasi sconvolto dalla forza della sua preghiera. La mano tesa di Lazzaro, già segnata dalla decomposizione, lo afferra e lo trascina con sé, per un attimo, nel buio del sepolcro. Immagine sconvolgente di un Cristo inconsapevole di fronte all’orrore della morte.

I Vangeli ci dicono che la morte non ha l’ultima parola. Che Gesù, con buona pace di Scorsese, è entrato davvero nel buio del sepolcro ma, seppure dentro il dramma della passione, ci è entrato consapevolmente. E ne è uscito risorto. Occorre, dunque, «andare più in profondità e leggere le cose alla luce, non tanto della risurrezione di Lazzaro ma di quella di Cristo (…) Alla luce di Cristo allora, morto e risorto per portare a compimento il disegno del Padre; morto e risorto nel segno dell’amore che è Dio stesso, possiamo comprendere che la vita vera, quella piena ed eterna, che già comincia quaggiù ma che si realizzerà definitivamente oltre la morte, è quella che si condensa nell’amore».

Cedere all’orrore e allo sgomento della morte, è per il cristiano una tentazione. «Ben misera cosa sarebbe però – ha precisato il vescovo- fermarsi a gustare la superficie della vita, i suoi aspetti esteriori, le sue manifestazioni più contingenti se non andassimo invece al succo della vita; se non andassimo ad attingere alla fonte della vita vera che è Gesù Cristo».

Ben misera cosa sarebbe se cedessimo alla nostra ‘ultima tentazione’, quella di sfuggire alla volontà di Dio, «se non imparassimo a godere della gioia che ci viene da questa vita di Dio in noi, che è libertà dal peccato, pienezza d’amore, carità operosa nei confronti dei fratelli. In questo modo, niente di ciò che è veramente umano viene disprezzato o perduto, anzi, nella vita di grazia che lo Spirito Santo realizza in noi, tutto trova pieno significato e profondità».

Il rischio di non andare in profondità e di non riuscire a cogliere il “di più” di vita che ci dona il Signore conduce ad un’esistenza perennemente in bilico sull’abisso. La notte dei morti viventi è in realtà il lungo giorno di chi rincorre la vita laddove non c’è: «Anche se brindassimo tutti i giorni alla vita, anche se passassimo i giorni nella spensieratezza di tutte le possibili gioie terrene; anche se avessimo tutto e tutto ci potessimo permettere, saremmo nient’altro che dei morti che camminano per le strade».

Una prospettiva assai misera ed amara, almeno quanto la celebre battuta del film horror “la notte dei morti viventi” : «Vivere assieme per noi non è una gran gioia, ma morire assieme non risolverà niente». Chi è già morto dentro non possiede – ha continuato il vescovo – «la vita di Dio, la vera vita, quella Grazia santificante che proviene solo da Dio e si realizza soltanto nell’amore da Lui ricevuto e a sua volta donato a Lui e agli altri».

È proprio di fronte alla possibilità di vivere da morti, come se non ci fosse prospettiva davanti all’orrore della morte «che Gesù, come dice il racconto evangelico, letteralmente “scoppiò in pianto”. Pensiamoci».

«Alla luce interiore della Grazia – ha concluso mons. Tardelli-, anche il morire terreno diventa occasione di lode e gratitudine». Non c’è nessuna morte (neanche la seconda morte di Lazzaro) che possa sottrarre alla vita piena chi si lascia raggiungere dall’amore di Dio.
«È San Francesco a dircelo nel suo meraviglioso cantico delle creature: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a•cquelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no ’l farrà male.”»

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TI SEI MAI ACCORTO DI ESSERE GUARITO?

L’omelia del Vescovo Tardelli per la IV stazione quaresimale

Ci sono occasioni in cui il Signore ci guarda con particolare evidenza. Sta lì e ci scruta. In silenzio. Umilmente. È uno sguardo discreto, colmo di misericordia. E quanto più ci legge dentro, tanto più è misericordioso.
Nell’adorazione eucaristica il Signore ci guarda. Dal piccolo occhio aperto nell’ostensorio volge lo sguardo sull’umanità varia, dolente e gaudente che si ferma –anche soltanto per il tempo di un segno di croce – davanti a Lui.

La quarta stazione quaresimale si inserisce in questo clima di adorazione e preghiera che da qualche anno, grazie a Papa Francesco, sta diventando tradizione. Venerdì 16 marzo, infatti, la Diocesi di Pistoia ha celebrato presso la parrocchia di San Paolo Apostolo la “24ore per il Signore”. Una ‘maratona’ di adorazione no-stop durante la quale è offerta la possibilità di riconciliarsi con il Signore. Un bagno di misericordia e di preghiera per riconoscere il primato di Dio. Papa Francesco lo ha ricordato anche in questa edizione 2018: «Dio è il primo e ci salva totalmente con amore».

A Pistoia il Vescovo Fausto Tardelli ha celebrato la messa stazionale all’interno di questo contesto di preghiera proponendo alla riflessione dei fedeli il brano evangelico del miracolo del Cieco nato (Gv 9,1-9).

Di fronte a chi gli contesta la prodigiosa guarigione, contrapponendosi a Gesù, il cieco ribatte con decisione quanto gli è accaduto. «Questo cieco nato – ha affermato il vescovo – ha dalla sua, la forza dei fatti. Gli altri, i farisei, fan solo discorsi, chiacchiere, ideologia, esprimono pregiudizi, non vedono la realtà; sono davvero, loro, dei ciechi che, per giunta, pensano di vederci bene».

Uno scambio delle parti che rischia di farci pensare. Ma anche l’affermazione netta e decisa di chi è stato raggiunto da una grazia insperata e neppure richiesta: «nel caso del cieco nato, l’iniziativa è presa da Gesù». «questo “fatto” è “capitato” al cieco. È sopravvenuto alla sua vita. Non lo ha cercato. Non risulta infatti dal testo che il cieco abbia chiesto la guarigione, come invece in altri casi descritti nel vangelo. Tutto ciò, carissimi amici, ci fa riflettere su di una verità che connota l’agire di Dio, sempre: è Lui che prende l’iniziativa e tutto viene da lui».
È il primato di Dio che tanto ripropone papa Francesco e che il vescovo Tardelli racconta con efficacia: «Anche quando giustamente noi cerchiamo il suo volto, lo desideriamo, ci rivolgiamo a lui con la supplica del peccatore, ciò è possibile solo perché Egli con il suo amore ci ha prevenuto. Lui sempre ci ama per primo. Senza alcun nostro merito, senza alcuna nostra pretesa».

E se qualcuno, come i farisei di allora, introduce il baco del sospetto e invita a pensare che dietro “Dio” sta una mera proiezione il vescovo ricorda che «Non è il nostro vuoto che chiede e fonda la sua pienezza. Non è l’uomo che crea Dio. È vero esattamente il contrario: è Dio che crea l’uomo e imprime nell’uomo la nostalgia di Lui. È il Signore che ama infinitamente e dona infinitamente se stesso a noi ed è ancora lui, luce del mondo che fa scoprire la novità gioiosa del vedere e svela la bruttura delle tenebre del male che sono in noi e nel mondo, senza che nemmeno ce ne accorgiamo».

Il Signore ci ha guariti. Ma forse non ce ne siamo neppure accorti. Quando ce ne rendiamo conto iniziamo a vivere da cristiani. «La vita cristiana – aggiunge il vescovo – inizia laddove ci si riconosce cercati e amati; laddove ci si riconosce voluti e pensati con amore. Il primo atto della vita cristiana … è accorgersi di essere cercati e trovati; che c’è uno che è totalmente per noi, Gesù di Nazareth, figlio di Dio».

Cristo, come afferma un autore, è davvero il “terapeuta dello sguardo”: non soltanto ci aiuta a vedere e affina la nostra vista «tende per noi il ponte che ci fa passare dal vedere al contemplare e dal semplice sguardo alla visione di fede».

«Anche noi, – ha proseguito il vescovo- come il cieco nato, dovremmo vivere della certezza di un fatto molto concreto: che cioè siamo stati guariti; ci è stata donata la vista». Il problema – paradossalmente- resta la fatica di riconoscere la nostra guarigione. La vita nuova donata dal battesimo è un fatto; ma quanto spesso è facile dimenticarlo!

«Lo dobbiamo dire infatti: tante volte, l’essere stati fatti partecipi della salvezza; l’essere stati fatti rinascere come figli di Dio; l’essere stati illuminati dalla Grazia non è un fatto, nella nostra vita». Amara constatazione che registra cristiani senza Cristo, salvati senza desiderio di salvezza. Quanto è un dato di fatto -precisa il vescovo- «Non è la certezza della nostra vita; non è la roccia su cui poggia la nostra esistenza. Non è esperienza vissuta; non è gioia di chi ha ritrovato la vista; non è entusiasmo di chi è stato liberato dalle catene e finalmente si sente libero. È una fede sbiadita, scolorita, la nostra. Abitudinaria e mesta. Ed è precisamente in questo contesto di fiacchezza della nostra fede che diventano facili i tradimenti della legge del Signore, le ottusità nei confronti dei fratelli; i compromessi con i nostri vizi, l’accomodamento alle logiche egoistiche del mondo».

Anche per questo abbiamo bisogno di entrare dentro il suo sguardo. Di farci contemplare con amore e lasciarci toccare dalla sua misericordia, perché il suo sguardo risani i nostri occhi.

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QUANDO GESÙ SIEDE STANCO PER CERCARMI. LE PAROLE DEL VESCOVO PER LA TERZA STAZIONE QUARESIMALE

La chiesetta di Santa Maria del Soccorso, nota anche come Santa Maria in Borgo Bambini o Santa Liberata, è sconosciuta a molti pistoiesi, ma ospita da qualche anno la comunità cristiano ortodossa rumena. L’interno, tappezzato di icone, riflette il timbro tutto orientale della spiritualità ortodossa. Da qui si muove, fino alla Chiesa di San Bartolomeo, la processione della stazione quaresimale, guidata dal vescovo. In alto, sopra l’altare della chiesetta, si custodisce un antico affresco con la Madonna “in umiltà”, seduta per terra, con in braccio il suo bambino. Un dipinto arrivato qui dalla vicina chiesa dei Gesuati, oggi distrutta, che ha dato il nome di Santa Maria del Soccorso. Un titolo che ha il sapore del “pronto soccorso”, forse per via dell’attenzione alla medicina e al servizio ai malati proprio dell’ordine dei Gesuati. L’efficacia del “soccorso” che reca la Vergine è tutto nel bambino che stringe al petto. Un Dio bambino protagonista assoluto di quell’ospedale da campo che dovrebbe essere la Chiesa. Gesù è entrato nelle difficoltà della condizione umana: ha sperimentato la fame e la sete, ha provato stanchezza, ha “gustato” la morte. Ha portato soccorso, dalla posizione, tutta inedita, di salvatore affaticato e ferito.

Il Vangelo pronunciato venerdì 9 marzo proponeva il dialogo tra Gesù e la Samaritana. Gesù, ricordava il vescovo Tardelli nella sua omelia «è lì, al pozzo, stanco, affaticato, affamato – i suoi erano andati a cercare del cibo. Si è seduto e anch’egli ha sete. Una profonda sete. Ma non dell’acqua del pozzo. Egli ha sete dell’anima di quella donna; ha sete dell’anima di ognuno di noi; ha sete di me e della mia vita».

Forse non lo ricordiamo spesso così, eppure, prosegue il Vescovo, Gesù giunge stremato alle porte della nostra umanità: «Egli, stanco, sta cercando me, come canta un antico e ingiustamente abbandonato inno liturgico: “quaerens me sedisti lassus” Tu, signore sedesti stanco per cercare me, per darmi il tuo amore, per salvarmi dal non senso della mia vita, dal male nel quale spesso sono incatenato».

«La stanchezza del Signore Gesù  -ha precisato Mons. Tardelli- è la sua croce d’amore, è la fatica del buon pastore che va per dirupi e rovi a cercare la pecora perduta e caricarsela sulle spalle». Alla stanchezza si accompagna una sete divina: «La richiesta che Gesù fa alla donna, rileva questa sua sete: “dammi da bere”, cioè, dammi la tua anima, dammi la tua persona, lasciati amare, lasciati salvare, apri il tuo cuore a me e sarai salva». Il grande fascino di questa pagina evangelica risiede proprio nell’incontro tra la sete di Dio e quella dell’uomo. «Che la nostra sete e quella di Cristo si incontrino: questo allora c’è da augurarsi stasera, per la nostra vita, per il nostro cammino quaresimale che ci conduce alla Pasqua».

Il Vescovo, rileggendo le parole del Vangelo  parla di stanchezza e di sete, di esigenze interiori ed esteriori, molto concrete, dell’uomo di oggi. Manca l’acqua che disseta l’anima e quella che disseta il corpo. «“In quei giorni, il popolo soffriva per la mancanza di acqua”. Parole antiche, dell’esodo… Ma quanto attuali! Quanto contemporanee, quanto dolorosamente vere. Perché, anche materialmente è proprio così: oggi un sacco di persone soffrono per la mancanza di acqua. “Sono circa 900 milioni le persone che non hanno accesso ad acqua potabilmente sicura. Sono almeno 1,8 milioni i bambini sotto i cinque anni che muoiono ogni anno per malattie collegate alla qualità dell’acqua: uno ogni 20 secondi.”»

La verità del Vangelo non dimentica mai la concretezza dell’esistenza. Per questo la stanchezza di Gesù non è una posa teatrale, non è finzione edificante, ma stanchezza concreta, sete reale e spirituale insieme. Una sete che parla all’uomo dei suoi bisogni più profondi e “integrali”. «Non è difficile riconoscere che siamo tutti degli assetati, che abbiamo sete di vita e di amore, sete di gioia e di bene, sete di felicità e di pace (…) non è difficile riconoscerla, questa sete, dentro di noi e nel cuore dell’umanità». È una sete che conduce a conseguenze molto concrete.  «Spesso – continua mons. Tardelli – la nostra sete, la si soddisfa bevendo acqua putrida, di pozzanghere sudice e maleodoranti, acqua velenosa; all’apparenza cristallina e pura ma in realtà piena di germi mortiferi (…) Domandiamoci inoltre se per soddisfare la nostra sete, invece di amare e donare come ci ha insegnato il Signore, sfruttiamo gli altri, utilizzandoli per i nostri fini».

Di fronte al nostro profondo desiderio di salvezza integrale, di fronte alla sete dell’uomo, il  Signore ripete: «L’acqua che cerchi “sono io, che parlo con te”. E ce lo dice anche questa sera, qui, in questa celebrazione eucaristica dove l’altare è per tutti noi, il pozzo di Giacobbe dove egli ci attende».

Il cammino delle stazioni quaresimali prosegue venerdì 16 marzo presso la Chiesa di San Paolo Apostolo, per la celebrazione delle 24 ore per il Signore. Un’occasione di preghiera di adorazione e misericordia che si prolungherà ininterrottamente dal pomeriggio di venerdì 16 fino alla sera di sabato 17. Alle 21 di venerdì 16, la messa presieduta dal vescovo Tardelli.

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VENERDÌ 16 LE 24ORE PER IL SIGNORE A SAN PAOLO

Venerdì 16 marzo si celebra a Pistoia la 24 ore per il Signore

«Mi auguro che le nostre chiese possano rimanere aperte a lungo per accogliere quanti vorranno prepararsi alla Santa Pasqua, celebrando il sacramento della Riconciliazione, e sperimentare in questo modo la misericordia di Dio». Così l’annuncio di papa Francesco al termine dell’udienza generale di mercoledì 7 marzo, in Aula Paolo VI in Vaticano.

“L’obiettivo della 24 Ore per il Signore – ha spiegato l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, in un’intervista a Vatican News – è quello di offrire a tutti, soprattutto a quanti sentono ancora disagio all’idea di entrare in una chiesa, di cercare l’abbraccio misericordioso di Dio, un’occasione al di fuori degli usuali tempi e modi per fare ritorno al Padre”.

Programma

Ore 18:00: Esposizione eucaristica presso la Chiesa di San Paolo Apostolo (Pistoia)

Ore 18:30 Vespri. Segue adorazione eucaristica

Ore 21.00 Santa Messa presieduta da Mons. Vescovo Fausto Tardelli

Dalle ore 22.00 confessioni

L’adorazione si prolungherà, notte e giorno fino a sabato 17 alle ore 16.30. La conclusione è affidata alla Santa Messa presieduta da don Pierluigi Biagioni della Fraternità Apostolica di Gerusalemme.

Con la collaborazione dell’Adorazione Eucaristica Perpetua di Pistoia




LASCIATI GUARDARE DA CHI HAI UCCISO. L’OMELIA DEL VESCOVO TARDELLI NELLA SECONDA STAZIONE QUARESIMALE

La Bibbia non è un libro per vecchi. Uno di quei testi rassicuranti e ammorbiditi che possono conciliarci il sonno o la pensione. La vicenda di Giuseppe.venduto dai fratelli o alcune parabole di Gesù, come quella di Vignaioli omicidi ci inquietano e ricordano anche molto da vicino episodi di cronaca nera. Con la.differenza, per restare vaghi, che le pagine bibliche restano li da millenni ad.interrogarci sulle eterne miserie dell’uomo in cui trova spazio l’azione di Dio.

«Il sacro tempo della quaresima – ricorda il vescovo Tardelli nella seconda stazione quaresimale, presso la chiesa di san Paolo apostolo– ci richiama ad altre considerazioni; a cambiare mente e mentalità (…) magari accompagnata da un lamento per i tempi tristi che stiamo vivendo. Troppo facile cavarcela così!».

Siamo proprio sicuri di non essere.un po’ simili ai fratelli di Giuseppe? Di non essere come loro almeno un po’ invidiosi, gelosi, senza scrupoli? La questione è ancora più profonda e ci interessa da vicino, ci coinvolge personalmente. «È chiaro infatti, che la figura di Giuseppe rimanda a quella di Cristo, venduto dai suoi stessi amici ai capi del popolo di Israele; non accolto, anzi rifiutato proprio da coloro che erano il suo popolo; da coloro – come i discepoli – che per primi avrebbero dovuto riconoscerlo. Questa sera allora, ognuno di noi è messo davanti a Cristo».

Stare.di fronte.a Cristo, come.sostare.di fronte alla.pagine bibliche non è cosi facile e indolore. Gesù ci guarda. Scruta il nostro cuore. Un’atteggiamento che in San Paolo, prima e dopo la messa, è assicurato da alcuni momenti di adorazione del Santissimo Sacramento. Un’esperienza che dice un po’ la cifra di questa chiesa cittadina, da tanti anni accompagnata, sotto il campanile. dalla cappella dell’adorazione perpetua. Un piccolo spazio, che guarda la città che passa. Un’occhio aperto sul cuore dell’uomo che circola distratto e pensieroso davanti alla porticina a vetri della cappella.
«È Lui, il Signore Gesù che si pone davanti a noi e ci fissa coi suoi occhi che vedono ogni cosa, anche le profondità della nostra anima. E davanti a lui siamo invitati a scegliere nuovamente: o con Lui o contro di Lui.(…) stasera Lui ci invita a identificarci coi fratelli che hanno venduto Giuseppe; coi contadini che hanno ucciso il figlio del vignaiolo. Si, proprio noi; si, proprio io, ho venduto, ho ucciso. Ho venduto, ho ucciso Lui, Gesù, con la mia indifferenza, con la mediocrità della mia fede, con la mia indolenza, con la mia superficialità, con il mio cedere sempre di nuovo agli impulsi dell’uomo vecchio fatto di gelosie, di invidie, di rancori, di pigrizia, di lussuria, di ipocrisia».

Il vescovo Tardelli smonta, uno ad uno, i nostri fraintendimenti e le nostre mancanze con un catalogo impietoso: «Abbiamo venduto e ucciso Lui, quando non abbiamo obbedito ai suoi comandamenti, quando ci siamo voltati da un’altra parte di fronte al fratello, quando non abbiamo servito, amato, abbracciato chi era nel dolore, o abbiamo insultato, maledetto, offeso l’altro».

Siamo bravi a puntare il dito, a commentare che le cose vanno a rotoli, che gli altri meriterebbero una lezione pesante. Eppure quel che condanniamo è talvolta anche «ciò che abbiamo fatto», che «unito al peccato di altri, ha reso possibile i drammi che riempiono le cronache di ogni giorno. Senza che neanche ce ne rendiamo conto. (…) Gesù parla di noi, parla a noi e noi siamo davanti a lui. Lui, con calma, fissandoci negli occhi e dentro il cuore, ci racconta la storia di Giuseppe venduto dai fratelli. Non ci accusa; non ci condanna; semplicemente ci racconta quella storia e ci chiede di ascoltarla; è sicuro che ne capiamo il significato. E, come se non bastasse, con la stessa calma, ci racconta anche la parabola dei contadini malvagi. Scandisce le parole, perché entrino in noi e ancora, perché noi capiamo da soli; continuando a fissarci negli occhi, mentre noi facciamo fatica a sostenere il suo sguardo; non c’è rabbia nel suo sguardo, non c’è risentimento, solo infinito amore, ma proprio per questo non riusciamo a sostenerlo».

Il suo sguardo è lo sguardo che recuperiamo nella presenza muta e indifesa, fragile e umile del suo corpo eucaristico offerto in sacrificio per noi. Con la Sua presenza e le Sue parole «il Signore Gesù svela la radice del male che è in ognuno di noi, la necessità di vigilare perché l’uomo vecchio non prenda il sopravvento, perché guardando in faccia il male che ci attacca, lo possiamo prevenire confidando in Lui. È questo alla fine ciò che conta e ciò che il Signore vuole da noi. Che smettiamo l’atteggiamento farisaico di chi si crede giusto e di non aver bisogno di guarigione e assumiamo invece l’atteggiamento che onora la verità, facendoci prendere coscienza di avere un assoluto bisogno del tocco della mano di Dio per la nostra salvezza».

Non è un libro per vecchi la Bibbia. Anche se spesso i suoi racconti hanno il lieto fine. Un finale che rivela principalmente la misericordia di Dio, la sua alleanza fedele, aldilà del nostro merito. Giuseppe, «odiato dai fratelli, sarà quello che salverà i fratelli, quando, mossi dalla carestia, cercheranno rifugio in Egitto dove Giuseppe è diventato importante. Lo scartato diventa il salvatore (…) Così la parabola dei contadini ci dice che il figlio ucciso, Gesù, darà salvezza agli uomini».

Sì il Signore ci conosce e sa che abbiamo bisogno di lieto fine. Anche se non a buon mercato. Desidera, in primo luogo che ci conosciamo, nella nostra reale misura e miseria.per costruire «la nuova umanità che inizia dal nostro cuore pentito e redento. A partire da stasera».

Prossimo appuntamento venerdì 9 marzo, con la Stazione Quaresimale dalla Madonna del Soccorso fino alla Chiesa di San Bartolomeo Apostolo.

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«QUANTO CI MANCA AD ESSERE COME DIO VUOLE?» L’OMELIA DEL VESCOVO TARDELLI PER LA STAZIONE QUARESIMALE

«Quanto ci manca ad essere come Dio vuole?»

Piove e soffia freddo il vento che preannuncia la tempesta siberiana. Dalla chiesa del Carmine la processione avanza piano al canto delle litanie. Un corteo non troppo numeroso ricorda a chi passa il tempo della Quaresima, mentre il freddo invernale ricorda a chi prega la fragilità di chi vive esposto alle intemperie della storia e del peccato. Si entra, poi, nell’antica pieve di Sant’Andrea, attraverso il portone spalancato come una ferita. Anche il pulpito di Giovanni Pisano esibisce la propria fragilità, con una colonna e un capitello stretti da una fascia come un braccio rotto.

Nella prima stazione quaresimale 2018, venerdì 22 febbraio, l’omelia del vescovo Fausto Tardelli ricorda che «solo ascoltando con attenzione il Signore che ci parla, solo contemplando il suo amore misericordioso che si è manifestato sulla croce, noi siamo spinti a guardare alla nostra vita in profondità».

Dietro l’altare in Sant’Andrea svetta una croce dipinta con il volto santo di Lucca. Avvolto nella sua dignità regale contempla muto, in un silenzio pensieroso, l’umanità di chi passa e prega. Davanti al crocifisso, continua il vescovo, «abbiamo la luce necessaria per scandagliare il male che è in noi, riconoscere che abbiamo peccato, anzi, che siamo nel peccato, che abbiamo una mentalità sbagliata, un modo di vedere le cose che non è quello di Dio, un modo di ragionare lontano dal vangelo e che ci manca ancora molto ad essere come Dio ci vuole».

(foto di David Dolci)

Sono tante le croci in Sant’Andrea. Due crocifissi lignei di Giovanni Pisano raccontano tutto il dramma del Salvatore crocifisso, descrivono tutto il prezzo della nostra salvezza: «è il Signore che ci guida a riconoscere i nostri mali. Noi non siamo in grado di fare una diagnosi vera».

Per tale diagnosi il Vescovo Tardelli suggerisce un’adeguata terapia: «ciò che dobbiamo fare innanzitutto in questo sacro tempo di Quaresima è lasciarci raggiungere dalla parola di Dio; lasciarci contestare dall’amore di Dio; lasciarci scuotere da lui, ascoltando con cuore aperto e piena attenzione le Sacre Scritture e mettendoci di fronte a Cristo crocifisso; a Cristo che ci apre le sue braccia come risorto con i segni della passione e della croce».

Mons. Tardelli ricorda che anche Gesù sa non essere tenero: «Gesù afferma che si può uccidere il nostro prossimo anche con la nostra ira, la nostra rabbia; che è condannabile chi offende il prossimo; che addirittura, se tu sai che il tuo fratello ha lui, qualcosa contro di te, devi esser tu a cercare di riconciliarti per primo».

Basta scorrere i commenti sui social di tanta gente perbene, che sembra perdere la testa di fronte ai fatti di cronaca e moraleggia su video di violenza e sconvenienza. «Queste parole di Gesù toccano davvero dei nervi scoperti della nostra anima, specialmente di noi oggi così inclini, anche attraverso i cosiddetti social, a offenderci, a dirci le peggio cosa, ad augurare ai nostri nemici le peggiori disgrazie; oggi, quando sembra di moda essere violenti e arroganti».

Parole che bruciano anche a chi getta lo sguardo dentro la Chiesa: «Dentro le nostre comunità, dentro la chiesa, quante chiusure, quanti giudizi malevoli, quante offese, maldicenze, rabbia, invidie e gelosie!»

È dunque il tempo della resa? Il momento di alzare bandiera bianca o cedere al martellamento di male che viene dalle notizie in televisione e dal nostro cuore?
Il tempo quaresimale è il momento di «accettare di buon grado che il Signore ci contesti e ci metta in crisi; che ci faccia capire i mali che abbiamo dentro … E consapevoli della nostra debolezza, preghiamo levando la nostra supplica, accorata e sincera: convertici a te Signore con la grazia del tuo amore e noi ci convertiremo».

(Leggi l’intera omelia)




STAZIONI QUARESIMALI 2018: TORNANO LE ‘SOSTE’ IN CITTÀ PER RIPARTIRE NELLA FEDE

Anche quest’anno, in prossimità della Pasqua, nella nostra diocesi riprende l’antico rito delle “statio”, cinque soste guidate dal vescovo nelle chiese del centro città. Ci introduce a questo appuntamento Alessio Bartolini, maestro delle celebrazioni liturgiche episcopali.

Quando avrà inizio il cammino delle stazioni quaresimali e quale invito puoi rivolgere alla comunità per partecipare e vivere questo momento forte dell’anno?

Il cammino delle Stazioni Quaresimali avrà inizio come gli scorsi anni il venerdì della prima settimana di Quaresima, quest’anno il 23 febbraio. Il primo appuntamento sarà presso la Parrocchia di Sant’Andrea, con il rito stazionale nella bellissima Chiesa del Carmine, gioiello dell’arte barocca, e la processione, al canto delle Litanie dei Santi, verso la Pieve dove si celebrerà l’eucarestia.

L’invito che sicuramente posso rivolgere ai fedeli della nostra diocesi è quello a partecipare a questa bella occasione di preghiera liturgica e di vita della comunità cristiana che ci consentirà come ogni anno di fermarsi (da qui il termine statio in latino) per riflettere, guidati dal vescovo Fausto, sulla Parola di Dio e sull’itinerario di fede che la liturgia ci offre in questo tempo di Quaresima.

Quale significato ha questo antico rito voluto e riscoperto dal Vescovo Fausto come è stato vissuto?

Le Stationes hanno la loro origine nei riti che il Papa celebrava in antichità nelle chiese urbane di Roma, in cui si custodivano le reliquie dei primi martiri della Chiesa Romana. Tuttora il Messale Romano raccomanda che anche a livello Diocesano si mantenga l’usanza delle celebrazioni stazionali come segno di unità della Chiesa Diocesana attorno al suo Pastore; sono occasioni importanti per la nostra comunità diocesana e per la nostra città, in questo tempo forte di Quaresima in cui anche noi come l’antico Israele siamo chiamati ad incamminarci in quel deserto che è oggi la città degli uomini, con tutti i suoi problemi e le sue fragilità; deserto in cui Dio parla al nostro cuore.

Il cammino proposto dalle stazioni quaresimali permette anche di visitare le chiese del centro dove si fa memoria di testimoni e martiri della fede, a partire dalla cattedrale, dove si conserva la reliquia di san Giacomo apostolo. Questo fare memoria ci interpella sulla forza della nostra fede e ci provoca sul nostro essere pronti alla sequela… 

Certamente! Anche nel nostro tempo le figure dei santi, dei martiri in particolare, sono sicuramente una grande provocazione per tutti i battezzati che vivono alla sequela di Gesù. Nel nostro tempo, è sempre in agguato il rischio della tiepidezza. Torna alla mente quanto si legge nel libro dell’Apocalisse nella lettera alla Chiesa di Laodicea:« Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15-16).

Oggi noi cristiani cadiamo spesso nel rischio di sentirsi a posto, di calcolare la convenienza, di abbandonarsi al «comodo criterio pastorale del si è sempre fatto così»( Evangelii Gaudium n.33), per non essere scalfiti da nulla e da nessuno, per continuare a pensare di bastare a noi stessi. Discernere il nostro cammino alla luce della testimonianza di chi per la fede ha speso la vita fino all’effusione del sangue può sicuramente spronarci a testimoniare anche oggi nel 2018 a Pistoia la bellezza dell’annuncio del Vangelo.

Momento forte in programma sono le 24 ore per il Signore, che si ripropone come un momento di preghiera, conversione e meditazione sull’amore misericordioso del Padre..

Si, anche quest’anno proponiamo le 24 ore per il Signore, una bella iniziativa fortemente voluta da Papa Francesco. Sarà davvero una splendida occasione per tutti noi per ripensare al nostro essere cristiani e per esaminare la nostra vita alla luce della Parola di Dio, e di quelle pratiche che da sempre la Chiesa raccomanda nel tempo di Quaresima.

In questo tempo favorevole di conversione e penitenza, potremo interrogarci profondamente, sulle nostre relazioni con Dio (preghiera), con noi stessi (digiuno) e con gli altri (carità), per prepararci a celebrare il mistero Pasquale.

 

Questo il programma delle stazioni quaresimali 2018:

Venerdì 23 Febbraio ore 21: Processione dalla Chiesa del Carmine – Messa a S. Andrea

Venerdì 2 Marzo ore 21: Processione dalla Chiesa della Misericordia – Messa nella Chiesa di San Paolo

Venerdì 9 Marzo ore 21: Processione dalla Madonna del Soccorso – Messa nella Chiesa di San Bartolomeo

Venerdì 16 Marzo ore 21: Chiesa di San Paolo – 24 Ore per il Signore. Ore 18: Adorazione Eucaristica; ore 21: Messa e Confessioni

Venerdì 23 Marzo ore 21: Processione dal Battistero – Messa nella Chiesa di S. Giovanni Fuorcivitas

Sabato 24 Marzo ore 17,30: Chiesa di S. Ignazio di Loyola. Benedizione dell’ulivo e processione verso la Cattedrale; ore 18: Messa

Daniela Raspollini