Ultimo dell’anno 2022

ULTIMO DELL’ANNO 2022
(Cattedrale di S. Zeno, 31 dicembre 2022)

 

Non è stato davvero un bell’anno quello che abbiamo appena trascorso. No. Non è stato buono. Non sto qui ad elencare le situazioni difficili che si sono susseguite l’una all’altra senza soluzione di continuità: le abbiamo ben presenti. E la cosa drammatica è che siamo ancora pienamente dentro a questa serie di difficoltà che ostacolano il nostro irrefrenabile desiderio di vivere con gioia la vita. Anche la morte del nostro amato Papa emerito Benedetto XVI° conclude con un dolore tutto particolare questo 2022.

Di fronte alle angustie dell’esistenza e alle piaghe della storia, come pure di fronte a disastri che coinvolgono la vita di tante persone, anticamente si faceva una considerazione elementare ma direi profondamente ingiusta. Si diceva che tutto il male che capitava nel mondo, non era che una specie di castigo divino per la ribellione dell’uomo di fronte alle leggi sante di Dio.
Abbiamo – e meno male – abbandonato definitivamente questa concezione sbagliata della giustizia divina e abbiamo smesso da tempo di parlare di punizione per i peccati dell’umanità. Giustamente, direi, dal momento che conosciamo il volto misericordioso del Padre che ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo non per condannare il mondo ma per salvarlo.

Eppure, ho come l’impressione che, come dice il detto popolare, con l’acqua sporca, si sia a volte buttato via anche il bambino che si voleva lavare. E dico questo per un motivo preciso. Non ci si è semplicemente limitati a buttar via la pessima idea del castigo divino: a sparire dal nostro orizzonte di pensiero e di pratica di vita, come pure dalle valutazioni sul vivere sociale, è stata addirittura l’idea stessa di “peccato”. Chi oggi parla più di peccato? C’è forse qualche comportamento che venga riconosciuto come “peccaminoso”? Rientra mai questa categoria nelle analisi dei mali della società? Direi proprio di no. Al suo posto si sono fatti strada ben altri concetti e modi di pensare. Ecco per es. un concetto molto in voga: non peccato ma reato. Il reato, quello si, è esecrabile. Ma attenzione: il reato lo stabilisce la legge umana, non quella divina e c’è sempre distinzione tra reato e reato. Quello che a me torna è sempre gravissimo – e in genere i rei sono sempre gli altri – quello che a me invece non torna è puro legalismo che vuole imbrigliare la libertà. Altra parola che ha preso ormai preso il posto del concetto di peccato è “discriminazione”. Veramente il male sopra ogni altro male. Laddove però spesso essa è intesa come il disaccordo degli altri con quello che noi facciamo e diciamo, anzi, con quello che a noi piace fare e dire.

Mi pare infine che un altro concetto abbia ormai preso il posto del “peccato”: quello di turba psicologica o più genericamente disturbo di carattere psicologico o psichiatrico. Anche in questo caso, se applicato a se stessi, è un modo ben collaudato per togliersi di dosso ogni responsabilità; se applicato agli altri, diventa comunque un alibi per giustificare ogni tipo di comportamento.
Siamo dunque – come vediamo – ben lungi dal concetto di “peccato”, direi ormai quasi del tutto scomparso dalla percezione della coscienza individuale e collettiva. Quel peccato che il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce con Sant’Agostino «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna» (sant’Agostino). Offesa a Dio, nella disobbedienza al suo amore che ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana (compendio 392), che può riguardare direttamente Dio, il prossimo o noi stessi. (compendio 393). Che distrugge in noi la carità, ci priva della grazia santificante, ci conduce alla morte eterna dell’inferno se non ci si pente (compendio 395). Che si condensa spesso nelle strutture di peccato, situazioni sociali o istituzioni contrarie cioè alla legge divina. (compendio 400).

Carissimi fratelli ed amici, a me pare davvero urgente recuperare il senso autentico del peccato, riconoscerlo in noi e nel mondo e, al termine di questo anno, imparare a chiedere sinceramente perdono per i nostri peccati. Per i peccati degli uomini e delle donne del nostro tempo; per i numerosi peccati dell’umanità. Riconoscendo con coraggio che i nostri peccati personali finiscono per coagularsi in strutture di peccato che rovinano la società. Le sofferenze del mondo, le profonde ingiustizie, le violenze e le guerre, come ogni negazione della dignità della persona umana fin dal suo concepimento, sono peccato; sono manifestazione del peccato di ciascuno di noi. I mali del mondo non sono certo il castigo di Dio che invece è Padre giusto e infinitamente misericordioso: essi sono però la conseguenza amara delle nostre scelte scellerate, delle scelte che poniamo nella nostra libertà.

Con il salmo Miserere diciamo allora stasera con convinzione: “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto”.
Certamente però il recupero dell’dea di peccato nella coscienza personale e nel vivere sociale non può che essere accompagnato e direi preceduto, dalla percezione dell’amore misericordioso di Dio per noi. Se l’acuta coscienza del nostro peccato non si accompagnasse e non fosse preceduta dalla straordinaria e stupefacente certezza che Dio ci è venuto a cercare, che si è fatto piccolo bambino per noi; che per noi ha assunto la nostra condizione umana, in tutto fuorché nel peccato, fino ad abbracciare l’umiliazione di una condanna e della morte di croce; se non fosse così, la coscienza del peccato diventerebbe un peso insopportabile e angoscia mortale, desiderio di autodistruzione oppure sfida contro tutti e contro tutto. In preda al peccato, senza via di uscita, l’uomo è portato a distruggersi, distruggendo gli altri e il mondo in cui abita.

Ma noi possiamo cantare stasera con Maria, la Vergine Santa, la Madre di Dio, “grandi cose ha fatto in noi l’Onnipotente e santo è il suo nome”. Con Maria meditiamo nel cuore tutto quello che il Signore ci ha dato e ci ha detto anche in questo anno. Con Maria, Madre di Dio, siamo pronti anche noi a riconoscere il dono grande che Dio ci ha fatto nel chiamarci a collaborare con Lui alla diffusione della sua misericordia nel mondo, nonostante tutti i nostri peccati. Maria SS.ma è nostra madre, madre di Dio e madre nostra, più grande di tutti noi, ma creatura come noi, senza macchia di peccato, emblema e aurora di una umanità nuova possibile per la grazia di Cristo.

Ecco allora che con animo grato riconosciamo i segni dell’amore di Dio che egli non ha smesso di darci nella nostra vita anche in quest’anno. Sono tanti i doni che ancora egli ci ha fatto, se ci pensiamo bene. Tanti sono i suoi gesti di premura e di attenzione; infinita la sua pazienza con la quale ha raccolto le nostre fragili volontà e ci ha rimesso in piedi. Ecco perché tradizionalmente, alla fine dell’anno, cantiamo a cuore pieno e voce aperta il Te Deum: un antico inno della chiesa che è un inno di grazie e di riconoscenza, per tutti i doni ricevuti ma soprattutto per il dono più grande di tutti: che per noi e la nostra salvezza Egli discese dal cielo e ha preso dimora in mezzo a noi.




Ordinazione presbiterale di Alessio Biagioni e Maximilien Baldi

ORDINAZIONE PRESBITERALE
Alessio Biagioni e Maximilien Baldi
Cattedrale di S. Zeno (domenica, 25 settembre 2022)

«Ma tu, uomo di Dio, tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni».
Queste raccomandazioni dell’apostolo Paolo a Timoteo stasera sono rivolte a voi, carissimi Alessio e Maximilien. Sono per voi. Per voi che state per diventare presbiteri, che ricevete dal Signore un mandato speciale, una consacrazione, per essere immagine viva di Lui Buon Pastore in mezzo al popolo di Dio e anche tra chi non fa parte di questo popolo.

Quello che mi sento di dirvi oggi, proprio sulla scia dell’apostolo Paolo, è che siate uomini dai grandi desideri. Sì: uomini dai grandi desideri. Non desideri di piccolo cabotaggio, limitati, sbiaditi, bensì grandi come l’orizzonte sul mare. Non quei desideri che sono soltanto capricci di un io malato di delirio di onnipotenza. No. Quei desideri invece che solo Dio sa mettere nel nostro cuore e suscitare in noi per la sua misericordia.
Che siate dunque uomini animati da questi desideri potenti, forti; che siate sempre in cammino, tesi a vivere il presente ma con l’ardore del cuore che vi fa guardare avanti in una tensione continua e gioiosa. Animati da desideri capaci di smuovervi, che originano impegni concreti e un modo di vedere il presente carico di speranza. Animati in particolare da tre grandi desideri direi, di cui stasera vi voglio parlare. Imparate a coltivarli; che non si affievoliscano mai dentro di voi ma che anzi si approfondiscano sempre di più nel corso degli anni.
Il primo di questi desideri da coltivare è di essere una cosa solo con Cristo, di configurarsi pienamente a lui in tutto, di partecipare con ogni fibra del vostro essere, alla morte e alla resurrezione del Signore. Per arrivare a dire, ancora con Paolo nella lettera ai Galati: «non vivo più io ma Cristo vive in me».

Ecco il primo grande desiderio che deve bruciare dentro le vostre anime ogni giorno. Questo il vostro anelito, questo la vostra prospettiva che si rinnova ogni volta che celebrerete l’eucaristia: diventare pane donato nel Pane che viene dal cielo; divenire ogni giorno di più vino versato per amore insieme al sangue di Cristo. Acquisire ogni giorno di più i sentimenti che furono in Gesù Cristo, il quale venne per servire e non per essere servito.
Sia questo il vostro primo grandissimo, rinnovato desiderio: quello di un amore sempre più intenso e profondo a Cristo morto e risorto, così da essere sempre più lui, nei pensieri, negli atteggiamenti, nelle scelte, nel ministero. Un desiderio che, certo, si accompagnerà sempre anche alla consapevolezza che tutto è dono di Grazia e che la vostra partecipazione alla vita di Cristo rimane su questa terra sempre imperfetta e lacunosa. Ma proprio per questo, il desidero di una piena comunione con Cristo si farà sempre più intenso e struggente.

C’è però anche un secondo grande desiderio che deve abitare il vostro cuore e tutta la vostra vita: è il desiderio dell’apostolo. E cioè che ogni persona possa incontrare e conoscere il Signore Gesù e trovare la pienezza della vita. Dovete imparare a bruciare per questo desiderio perchè infiammi la vostra esistenza di ministri del Signore. Tutto in voi e nel vostro operare deve mirare a questo: che le persone possano incontrarsi col Signore, che possano riconoscere la sua presenza amorevole di salvatore nella loro vita; che possano sentire la gioia che produce la sua sequela. Voi siete al servizio di questo incontro. Come Giovanni Battista, voi siete gli amici dello sposo, non lo sposo. Non dovrete portare avanti la vostra persona, ma solo Lui, invitando a scoprirlo e a lasciarsi incontrare ed amare. Siete chiamati a preparare la strada al Signore per lasciare poi a lui l’incontro con le persone che cambia loro la vita e che salva.
Questo desiderio grande e forte vi porterà ad amare tutte le persone che incontrerete con un amore pienamente umano ma che è quello di Cristo perché le vedrete coi suoi occhi; vi porterà a spendervi per distribuire il pane per i bisogni degli uomini e delle donne, vi spingerà a fare tutto ciò che è fattibile per il bene delle persone ma sempre con questa grande prospettiva nel cuore: che oltre il pane materiale, conoscano il Pane della vita; che oltre i bisogni terreni, possano scoprire colui che dona la vita eterna in modo che i loro giorni divengano un canto di lode al Signore.

Se questo desiderio si affievolisse in voi, diventereste magari dei bravi operatori sociali, ma verreste meno a quella che è la missione propria che vi è stata affidata, ciò per cui siete ordinati, ciò per cui il Signore vi ha chiamato.
E questo desiderio, sappiatelo, vi porterà inevitabilmente a piangere, qualche volta. Constatando la vostra opacità, il vostro essere strumenti inefficaci a causa dei vostri peccati, oppure scontrandovi – impotenti – con la durezza dei cuori e la refrattarietà alle parole di Cristo. Questo desiderio vi procurerà sicuramente dolore, nel vedere l’ostinazione nel male che c’è nel mondo, la chiusura di quelli che la prima lettura di oggi dal profeta Amos chiama “gli spensierati di Sion”, che «bevono il vino in larghe coppe e si ungono con unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano». Le vostre lacrime non si dovranno però trasformare in rabbia o sconforto ma in preghiera, in supplica al Signore, in intercessione come quella di Mosè per quel popolo eletto dalla dura cervice che gli era stato affidato. Soprattutto dovrete continuare ad amare; ad amare tutti; anche coloro che magari in qualche modo vi crocifiggeranno. Anche nei loro confronti il vostro amore vi porterà non solo a sopportare con pazienza ma a desiderare per essi la conoscenza della misericordia di Cristo salvatore.

Infine, ecco anche il terzo grande desiderio che dovete coltivare: quello cioè di un mondo che diventa regno di Dio. Quello cioè di un mondo trasformato e trasfigurato dall’amore. «Venga il tuo regno», ci fa pregare Gesù, spingendoci a coltivare questo desiderio. Una preghiera che si ripete ogni giorno, per chiedere ogni giorno che si realizzi il suo «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Voi, carissimi, siete chiamati a far crescere sempre di più questo desiderio ardente e operoso nel vostro cuore, di fronte a un mondo che è ancora così lontano da ciò che dovrebbe essere. La parabola del povero Lazzaro, ascoltata nel Vangelo, non è semplicemente un invito alla elemosina. Essa denuncia una situazione di grave ingiustizia che c’è nel mondo e che solo la misericordia di Dio sa compensare in modo straordinario. Purtroppo, questa nostra società è segnato da ingiustizie e strutture di peccato; è segnato in larga misura dalla violenza e dalla guerra; il dio denaro spadroneggia su uomini e cose, mentre il malaffare e la corruzione sono diffusi. Stiamo rovinando la casa comune per noi e per chi verrà dopo di noi. Voi dovete essere uomini che sentono forte il desiderio che le cose siano diverse, che le cose cambino, che l’umanità diventi luogo di pace e di fraternità. E dovrete cominciare a vivere, a dare concretezza a questo desiderio, nel piccolo della vostra vita, all’interno della vostra realtà, dentro gli spazi di vita che abiterete per il vostro ministero. E questo desiderio di un mondo nuovo e migliore, dovrete cercare anche di trasmetterlo alle persone che vi saranno affidate, educando le coscienze, perchè le nostre comunità cristiane siano luoghi dove si impara a mettersi al servizio e ad impegnarsi per il bene comune e non ci si accontenti di curare individualisticamente la propria anima.

Sì, carissimi Alessio e Max, ecco ciò che mi sento di raccomandarvi stasera mentre rendo grazie al Signore per il dono che siete per me e per la nostra chiesa: siate dunque uomini dai grandi desideri. Osate ciò che umanamente sembra impossibile, confidando però sempre non nelle vostre povere forze ma nel dono dello Spirito che oggi vi consacra come ministri di Dio.




Esequie di don Leonildo Toni (19 settembre 2022)

Esequie di don Leonildo Toni
PISTOIA, CHIESA CATTEDRALE DI SAN ZENO (9 APRILE 2022)

 

LETTURE: Gal 6,14-18; Sal Cfr Gal 2; Fil 1; Lc 9, 23-26

 

Ho scelto le letture che abbiamo ascoltato per un motivo ben preciso: sono le letture della memoria liturgica delle sacre stimmate di San Francesco, che si celebra il 17 di settembre, giorno in cui San Francesco le ricevette.
Non credo al caso. Il 17 settembre è proprio il giorno in cui don Leonildo ha terminato il suo cammino terreno.
Mi è parso che queste letture e la memoria stessa delle stimmate, fossero significative e che illuminassero questa morte che tutti ci addolora; me personalmente, l’intero presbiterio, la diocesi, ma anche tante persone che hanno conosciuto e apprezzato don Leonildo, come l’intera città di Pistoia, direi.

Don Leonildo, da quando gli fu diagnosticato il male, ha vissuto un lento ma progressivo calvario, faticoso, debilitante, frustrante che lo ha costretto a venir via dalla sua amata chiesa e a rimanere a letto.
Le parole di Paolo nella lettera ai Galati ben si addicono alla vicenda di don Leonildo. Anch’egli oggi può dire: “D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stimmate di Gesù nel mio corpo. Possiamo davvero ben dire che le stimmate di Gesù crocifisso si sono piano piano stampate in lui, nella sua carne, in quel suo corpo fattosi ogni giorno di più, più sottile e diafano.
Ha vissuto con grande fede il sentiero di questa sua via crucis. Vorrei dire anzi, nonostante il disagio e la fatica, con leggerezza. Non gli è infatti mai venuta meno quella leggerezza che gli faceva parlare con lucidità e serenità del suo male. Una leggerezza, animata da una fede profonda che gli faceva sopportare – direi con letizia francescana – la sua non facile condizione di vita.
Davvero ha portato le stimmate di Gesù nel suo corpo. Si sono formate piano piano e in quel letto della sua cameretta in seminario, ha concluso la sua configurazione a Cristo crocifisso e risorto. Quel Gesù che lo aveva affascinato e chiamato a seguirlo per farlo pescatore di uomini.

Ci mancherà don Leonildo. La sua presenza nel cuore della città era significativa, amorevole, originale, simpatica. Intelligente ed arguto, dietro una patina di ironia pronta alla battuta colorata e quasi scanzonata, celava una fede solida, una calda umanità, il gusto dell’amicizia, un affettuoso attaccamento alle persone che anche io ho potuto sperimentare personalmente. Ci mancheranno anche i suoi brontolii che ogni tanto venivano fuori ma che non si faceva fatica a riconoscerne la matrice in una grande bontà d’animo.

Oggi però non siamo qui per fare degli elogi funebri. Con il realismo della fede cristiana, sappiamo che ognuno di noi ha da farsi perdonare dal buon Dio tante mancanze. Per questo preghiamo oggi per il nostro fratello Leonildo, affidandolo appunto alla misericordia di Dio, perché ogni sua eventuale mancanza gli sia perdonata e possa contemplare da subito la gloria di Dio.
Siamo consapevoli delle nostre fragilità perché la misura della nostra vita è alta. Ci dobbiamo misurare infatti tutti quanti con le parole del vangelo che abbiamo ascoltato. Esse ci indicano quale è il nostro impegno e la responsabilità; quel cammino che don Leonildo ha cercato di percorre nella sua vita e che ha compiuto pienamente in questi suoi ultimi mesi. Dice Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, renda la sua croce ogni giorno e mi segua”.
Questa è la strada. Questo è il percorso, questa è la via della pienezza della vita!

È la strada dell’amore autentico, dell’attenzione e del servizio agli altri,; è la strada degli operatori di pace, dei misericordiosi; di coloro che hanno fame e sete di giustizia; di coloro che come poveri si affidano a Dio.
È la strada che, davanti alle spoglie mortali del nostro fratello Leonildo, noi sentiamo di dover percorrere, così che anche noi possiamo essere pienamente configurati a Cristo crocifisso e risorto e godere in terno la beatitudine dei santi.




Messa Crismale (13 aprile 2022)

Messa Crismale

Cattedrale di San Zeno (13 aprile 2022)

Carissimi amici presbiteri, diaconi, ministri; carissimi laici e religiose qui riuniti; carissimi ragazzi che riceverete la Cresima in quest’anno: convocati tutti dalla Misericordia di Dio, ci sentiamo questa sera depositari di un messaggio di pace per il mondo intero.

È necessario che sentiamo questa responsabilità in modo forte, proprio nel momento in cui crepitano le armi così vicine a noi, l’odio scorre a fiumi e un’immensa sofferenza travolge intere popolazioni. Oggi più che mai dobbiamo sentirci chiamati senza poterci sottrarre, ad essere operatori di pace; oggi, quando purtroppo proprio tra cristiani ci si uccide e da parte di membri autorevoli delle chiese, si sostengono guerra e ideologie nefaste.

L’unità visibile, che stasera sperimentiamo attorno alla mensa della Parola e del Pane di vita, è segno e testimonianza a un tempo, del comando esigente del Signore: «Amatevi come io ho amato voi». Siamo ben consapevoli della complessità della storia, delle sue contraddizioni e delle dure necessità. Ma siamo chiamati ad essere dentro la storia allo stesso modo in cui c’è stato Nostro Signore, del quale siamo seguaci, discepoli ed amici: e cioè col suo amore, la sua pazienza e la sua fortezza.

Del resto, stiamo vivendo la Settimana Santa, segnata dal racconto ripetuto della Passione del Signore. Da quel racconto emergono tutte le nefandezze della storia. Si manifestano tutte le bassezze a cui l’uomo può arrivare. È una vicenda drammatica, quella che domina la Settimana Santa, piena di malvagità, incomprensioni, vigliaccherie, piena di odio, di ingiustizia, di sangue. È la storia del mondo, concentrata in una settimana. Il Signore Gesù c’è entrato dentro con tutto se stesso, si è caricato di tutto il dolore del mondo, di tutte le peggiori cose di cui è capace l’umanità e per questo ha provato angoscia mortale nell’orto degli ulivi. Per amore, senza venir meno all’amore, ha bevuto il calice amaro dei peccati del mondo e ha invitato i suoi discepoli a seguirlo sulla via della croce. Una proposta sconvolgente, di fronte alla quale i suoi stessi amici sul momento non hanno retto. Si sono dileguati. Lo hanno rinnegato. Torneranno poi sui loro passi solo nell’incontro col Risorto e, solo col dono dello Spirito Santo, troveranno la forza di seguire il Signore Gesù fino all’estremo, annunciando la buona notizia del Regno di Dio, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace.

Così noi oggi, proprio in questo frangente della storia, siamo chiamati ad essere discepoli del Signore, superando lo smarrimento che produce la sua esigente proposta. Siamo chiamati ad essere operatori di pace, seminatori di pace, artigiani della pace che viene dall’alto per diffondersi nei cuori ma che ha bisogno della nostra collaborazione per estendersi nel mondo.

A questo siamo chiamati noi, innanzitutto, carissimi presbiteri e diaconi. In quanto ministri del Signore, dobbiamo essere operatori di pace. Gli oli santi che stasera si consacrano servono per i sacramenti che donano la pace. Come l’eucaristia che è affidata alle nostre mani per edificare i cuori nel corpo del Signore. Sono segni efficaci dell’amore di Cristo. Noi ne siamo gli amministratori. Lo Spirito del Signore è sceso su di noi e ci ha consacrato per portare ai “poveri il lieto annunzio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”.

Impegniamoci dunque, carissimi amici e fratelli, a costruire la pace dentro i nostri cuori, tra di noi, con la nostra gente, nella società. È una testimonianza necessaria oggi al mondo come l’acqua per un assetato. Cerchiamo di diventare instancabili e infaticabili operai di comunione. Cerchiamo il dialogo, nella stima reciproca, nell’ascolto premuroso dell’altro. Non cediamo mai al rancore, all’invidia, al risentimento ma nemmeno alla tentazione di chiuderci in noi stessi, all’indifferenza, all’individualismo. Reagiamo a questi rischi e, attingendo al dono che viene dall’alto, all’amicizia con Cristo e al dono del suo Santo Spirito, cerchiamo veramente di amarci come Lui ci ha amato e ci ama.

Questo impegno però vale anche per tutti voi, carissimi fratelli e sorelle che riempite questa cattedrale. Laici, religiose, ragazzi, famiglie. Tutti quanti, come chiesa santa di Dio, come popolo regale, sacerdotale e profetico, in forza dell’unico battesimo ricevuto, dobbiamo risplendere nel mondo come segno e strumento di unità di tutto il genere umano. In questa ora tristissima del mondo, lo Spirito Santo ci spinge con forza a camminare insieme, ad essere una chiesa unita nell’amore, ad essere un’oasi di pace dentro la società; ci spinge ad essere profezia di fraternità, di servizio, di amore disinteressato; spazio umano accogliente e premuroso. A partire dalle nostre parrocchie, che devono arrivare ad essere esemplari nella testimonianza della carità fraterna che si apre alle necessità degli ultimi.

Abbiamo iniziato il cammino sinodale insieme alle chiese che sono in Italia e nel mondo. Il prossimo 4 giugno, vigilia di Pentecoste, tutta la diocesi sarà convocata in assemblea eucaristica per invocare il dono dello Spirito per una rinnovata Pentecoste e dare così l’avvio ufficiale anche al nostro sinodo diocesano.

Fare sinodo – vorrei che fosse chiaro a tutti – è oggi davvero un gesto profetico. In questo nostro mondo lacerato da contese e discordie, frantumato nelle ingiustizie e in preda a un grande individualismo, la testimonianza dei discepoli del Signore, quella della sua Chiesa, che fa unità nella comunione e cammina insieme, è fondamentale. Un’unità fraterna, variegata e molteplice, segno nel mondo di quel progetto di comunione e di amore che Dio ha sull’umanità. Sinodalità vuol dire riscoprire il mandato originario della Chiesa che il Signore ha ben espresso nella sua preghiera al Padre, riportata nel vangelo di Giovanni: che siano una cosa sola perché il mondo creda. E si tratta di una urgenza, di qualcosa che sicuramente lo Spirito Santo sta chiedendo con forza alla Chiesa, perché gli uomini e le donne del nostro tempo hanno bisogno di fiducia, di speranza, di amore vero e solo un’umile ma gioiosa fraternità di uomini e donne che hanno sperimentato la misericordia del Signore, può essere un’oasi di pace e di resurrezione della vita.

Un’ultima breve parola la rivolgo a voi ragazzi presenti qui stasera che riceverete la Cresima con il sacro Crisma che tra poco consacreremo: Innanzitutto voglio manifestarvi tutto il mio affetto e la vicinanza a voi e alle vostre famiglie, di tutta la chiesa. Con la Cresima diventerete testimoni e apostoli di Gesù: siatene degni e orgogliosi: mettete in gioco la vostra giovane vita per essere generosi aiutanti di Gesù affinchè la pace di Cristo regni nei cuori delle persone, nella società e nel mondo.




Domenica delle Palme (9 aprile 2022)

Domenica delle Palme

Pistoia, Chiesa Cattedrale di San Zeno (9 aprile 2022)

 

La Settimana Santa è parabola della vita; anzi, paradigma della vita; percorso cioè che sintetizza il cammino che siamo chiamati a compiere per rispondere alla nostra vocazione. La nostra esistenza in fondo e una grande “settimana santa”. Come in sette giorni fu creato il mondo e in una settimana si concentro la redenzione dell’umanità, cosi gli anni della nostra vita si dipanano come in una unica, dilatata, Settimana Santa. Questo è ciò che ci ricorda la liturgia ogni anno, facendoci celebrare il mistero della nostra redenzione. Davanti ai nostri occhi pone la vita di Cristo nel suo momento supremo, ma e la nostra vita in Lui, l’obiettivo a cui essa punta. Quest’anno poi la Settimana Santa vive l’angoscia del mondo. Quella che stiamo sperimentando in questi tristi tempi. Giorno dopo giorno, la Settimana Santa ci conduce fino all’abisso del dolore e della tragedia. Dalla domenica delle palme, dal momento trionfale dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme, le cose peggiorano sempre di più. Si scende nell’abisso della crudeltà e della barbarie. Tradimento, condanna, calunnia, tortura e infine la morte crudele della croce con il silenzio assordante della tomba. Un’escalation di dolore disumano, quello che si vive nella settimana santa che fu la settimana atroce del sacrificio supremo del Cristo. La stessa escalation la stiamo vivendo nel dramma della guerra. Ogni giorno qualche orrore in più, verso un abisso che sembra un vicolo cieco senza speranza. Ma la Settimana Santa si apre alla fine alla speranza. Nel giorno dopo il sabato ecco l’inaudito giorno della risurrezione. Per questo vogliamo continuare a sperare.

Il Cristo entra come Re – Messia ma va, sapendo che sarà immolato. Entra in Gerusalemme e con questa azione abbraccia consapevolmente il suo destino per la salvezza di Gerusalemme e di tutto il popolo. L’entrata in Gerusalemme e un’accettazione piena e consapevole della sua missione, fino in fondo. E osannato – ma sa bene che poi sarà condannato.

Credo che anche per noi sia il momento di prendere dentro il cuore insieme con Cristo il dolore del mondo e di accettare fino in fondo di entrare con lui a Gerusalemme, perchè piangendo con chi piange, piangendo per i nostri peccati e quelli dell’umanità, partecipiamo alla redenzione del mondo. Forse questa partecipazione e già avvenuta altre volte nella nostra vita – senz’altro. Ma oggi occorre rinnovarla. Saggiamente la Chiesa ci fa rivivere ogni anno il mistero pasquale, perchè la nostra partecipazione si rinnovi. Oggi è particolarmente necessario in questo buio dolore della storia. Con la fede però nel cuore che ci fa dire che tanta sofferenza portata con Cristo non sarà vana. Con la fede che vede la luce della risurrezione anche dove sembra esserci solo tenebra. Celebrando l’ingresso a Gerusalemme del Signore Gesù, giunge l’ora di togliere di mezzo ogni indugio e di accettare di seguirlo; occorre “entrare”, buttarsi, decidersi di stare con lui – costi quello che costi – perchè il mondo ha da essere salvato – e se e Cristo che lo salva, Egli vuole che facciamo la nostra parte con Lui. Accogliendo la sofferenza di questo terribile momento, continuando però ad amare e a cercare sentieri di riconciliazione e di pace.




Ordinazione Diaconale (13 marzo 2022)

Ordinazione diaconale dei seminaristi Alessio Biagioni e Maximilien Baldi

Pistoia, Cattedrale di San Zeno, 13 marzo 2022

 

Il Signore prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo. Li prese con sé e li portò sul monte, dove manifestò loro la sua gloria, il suo splendore di Unigenito del Padre, di figlio eletto, compimento della legge e dei profeti, da ascoltare e da seguire.
Allo stesso modo, carissimi Alessio e Maximilien, il Signore ha preso anche voi e vi ha portato sul monte per manifestarvi la sua gloria. E’ la storia della vostra vocazione: il Signore a un certo punto si è fatto sentire; è entrato nel vostro cuore, vi ha chiamato per nome – cosa di cui oggi avete la certezza attraverso il riconoscimento della chiesa da parte del vescovo. Ma non vi ha soltanto chiamato – vi ha preso con sé e vi ha portato a salire il monte della sua conoscenza: sono stati gli anni del seminario, degli studi, dell’approfondimento spirituale, del cammino interiore. Vi ha condotti così sul monte e si è rivelato a voi.
E’ evidente che si sia fatto conoscere a voi, altrimenti non sareste qui stasera. Voi lo avete visto, lo avete sentito e lo portate nel cuore. Se non lo aveste incontrato, se Lui non si fosse rivelato a voi, se voi non aveste visto la sua gloria di Unigenito del Padre, che merita di essere ascoltato e seguito, davvero qui stasera non ci sareste.

Allora vi dico innanzitutto questo: sentitevi sempre persone che il Signore ha preso con sé, chiamati a seguirlo, chiamati con amore a sperimentare la sua bellezza, la sua grandezza, la sua umile misericordiosa potenza. Custodite questo rapporto vivo con il Signore Gesù. Non dimenticate mai questo incontro decisivo con Lui: rinnovatelo ogni giorno, perché ogni giorno avvenga il miracolo della “trasfigurazione”. Con gli occhi della fede, contemplate ogni giorno la luce del risorto trasfigurato nella gloria e fatelo anche e soprattutto nei momenti bui e difficili della vita e del mondo come quelli che ci è dato oggi di sperimentare.

Questo contatto vivo col Signore risorto, questo “stare nel mondo col Signore” contemplando la sua gloria, è fondamentale per ogni cristiano, e particolarmente per i ministri del Signore. E’ fondamentale per tutta la Chiesa, proprio oggi direi, quando dense nubi di distruzione e di morte si addensano sul mondo. Oggi, quando la speranza sembra davvero impossibile; quando tutto parla di morte e davanti agli occhi si presentano orizzonti vuoti di speranza, proprio oggi, quello sguardo di fede che ci fa vedere il Signore ammantato di gloria e ce lo fa sperimentare risorto e vittorioso sulla morte, diventa essenziale per sperare contro ogni speranza. Non per una facile e mistificatoria consolazione ma perché quella è la verità del Regno di Dio che – aldilà di ogni apparenza – avanza e cresce nella storia del mondo.

Il racconto evangelico della trasfigurazione però ci insegna un’altra cosa: che non ci si può fermare, anche se sarebbe bello restare sul monte a contemplare la luce sfolgorante della gloria del Signore. Finché siamo su questa terra, occorre andare. Occorre camminare verso Gerusalemme e combattere ogni giorno la buona battaglia dell’amore di Dio. Occorre riprendere continuamente la strada, ben sapendo che non saranno sempre rose e fiori, ma anzi, che il cammino ci condurrà necessariamente al dono di tutta la nostra vita, per il bene e la salvezza degli uomini. Ma il cammino lo facciamo con lo sguardo trasfigurato della fede, sempre in compagnia di Gesù.

Quindi, carissimi Alessio e Maximilien, camminate senza timore, con coraggio: il Signore oggi con voi stipula un’alleanza che non verrà meno. Come con Abramo – di cui abbiamo sentito nella prima lettura – oggi, con il sacramento dell’Ordine il Signore stipula con voi una duratura alleanza di amore. Si dona a voi col suo Santo Spirito e vi fa suoi ad un titolo speciale che si aggiunge al Battesimo; in un patto d’amore che non verrà meno: l’Ordine sacro infatti non è a tempo: è un dono permanente che vi abilita ad essere Lui in mezzo al popolo ad un titolo speciale. Un dono permanente e stupendo che investe tutta la vostra vita, tutto il vostro essere, tutto il vostro tempo; che non annienta – sia ben inteso – la vostra umanità, anzi, la esalta, perché proprio di questa il Signore ha bisogno per essere concretamente presente ancora oggi in mezzo agli uomini. La vostra vita rimarrà e dovrà rimanere una vita pienamente umana, fatta di cose umane, capace di apprezzare e vivere anche tutte le cose della terra: il riso, il pianto, gli affetti, l’amicizia, la bellezza del mondo, i drammi e la sofferenza che la vita porta sempre con sé. Però, tutta questa vostra umanità, per la potenza dello Spirito Santo, diventerà strumento dell’amore misericordioso del Signore, presenza amorevole di Lui, segno della sua vicinanza ad ogni uomo o donna in questi tempi difficili.

Ricordatelo sempre, dunque: oggi il Signore stabilisce con voi un’alleanza speciale con la quale vi assicura il dono permanente del suo Spirito perché siate suoi ministri in ogni momento della vostra esistenza, con tutta la vostra persona. L’Ordine sacro non è un vestito che si mette nelle ore di lavoro e poi si smette nel tempo libero. No! E’ un dono che pur riversandosi in fragili vasi di argilla trasforma la persona e la rende, in quanto tale, segno di Lui.

Fortificati dal dono dello Spirito Santo, in quanto diaconi, voi sarete di aiuto a me, vostro vescovo e al presbiterio nel ministero della parola, dell’altare e della carità, mettendovi al servizio di tutti i fratelli, quali custodi del servizio nella chiesa.
Divenuti ministri dell’altare, annunzierete il Vangelo, preparerete ciò che è necessario per il sacrificio eucaristico, distribuirete ai fedeli il sacramento del corpo e del sangue del Signore. Inoltre, secondo la missione che vi conferirò, avrete il compito di esortare e istruire nella dottrina di Cristo i fedeli e quanti sono alla ricerca della fede, guidare le preghiere, amministrare il Battesimo, assistere e benedire il Matrimonio, portare il Viatico ai moribondi, presiedere il rito delle Esequie. Consacrati con l’imposizione delle mani secondo l’uso trasmesso dagli Apostoli e uniti più strettamente all’altare, eserciterete particolarmente il ministero della carità in nome del vescovo o del parroco.

Questi compiti esigono una dedizione totale, perché il popolo di Dio vi riconosca veri discepoli del Cristo, che non è venuto per essere servito, ma per servire.
Carissimi Alessio e Maximilien, il Signore vi ha dato l’esempio, perché come egli ha fatto così facciate anche voi. Come ministri di Gesù Cristo che in mezzo ai discepoli si mostrò come un servo, siate sempre pronti e disponibili per compiere la volontà di Dio e servite con gioia e generosità il Signore e i fratelli.
Ricordate che nessuno può servire a due padroni e, mettendo la vostra vita a servizio del Signore, rifiutate gli idoli di ogni impurità e dell’avarizia, che rendono schiavi gli uomini.
Poiché vi accostate liberamente all’ordine del diaconato, seguendo l’esempio dei diaconi scelti dagli Apostoli al ministero della carità, siate degni della stima del popolo di Dio, pieni di Spirito Santo e di sapienza. Voi avete scelto di consacrare il vostro celibato per farne segno e richiamo alla carità pastorale, sorgente di fecondità spirituale nel mondo. Animati dal desiderio di un sincero amore per Cristo e vivendo con totale dedizione in questo stato di vita, vi consacrate al Signore a un titolo nuovo e sublime; e aderendo a lui con cuore indiviso, sarete più liberi di dedicarvi al servizio di Dio e dei fratelli, e più disponibili all’opera della salvezza.
Fondati e radicati nella fede, siate sempre irreprensibili e senza macchia davanti a Dio e agli uomini, come devono essere i ministri di Cristo, dispensatori dei misteri di Dio. Non venga mai meno in voi la speranza del Vangelo, di cui sarete non solo ascoltatori, ma araldi e testimoni. Custodite il mistero della fede in una coscienza pura, manifestate con le opere la parola di Dio che predicate, perché il popolo cristiano, animato dallo Spirito Santo, diventi una oblazione pura, gradita a Dio. E quando andrete incontro al Signore nell’ultimo giorno, ciascuno di voi possa udire da lui: «Vieni, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo Signore».

 




Mercoledì delle Ceneri (2 marzo 2022)

Mercoledì delle Ceneri

2 marzo 2022 – Pistoia, Cattedrale di San Zeno

«“Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!”. È questo il momento favorevole per la nostra conversione. La Quaresima ci ricorda che siamo peccatori, ci ricorda che ognuno di noi ha tradito il Signore, che ognuno di noi è venuto meno alle promesse del Battesimo, all’amore di Dio in mille modi. La Quaresima ci ricorda che siamo peccatori bisognosi di essere salvati che hanno bisogno di rinnovamento profondo».

E se avessimo dei dubbi sul nostro essere peccatori le drammatiche vicende che stiamo vivendo in questi giorni ce lo ricordano, perché la guerra, terribile, orribile, schifosa, ci dice che noi uomini siamo capaci delle peggiori cose: di odio, di violenza, cattiveria, sopraffazione. Siamo capaci di mettere sotto i piedi i comandi del Signore, per la nostra presunzione, per la nostra convinta superiorità. Di questa guerra abbiamo paura. In un mondo globalizzato come il nostro non c’è niente di circoscritto, niente che può restare limitato a un punto del globo. Il tutto si ripercuote su tutti. E dunque sentiamo il pericolo di reazioni a catena che producano un irrimediabile disastro. La guerra ci ricorda che siamo dei peccatori, che noi uomini non sappiamo trovare altra via di soluzione ai nostri problemi se non con la violenza e la morte.

È quanto mai opportuna questa Quaresima, che ci invita a riconoscere che siamo peccatori, ma non per puntare il dito sugli altri che sarebbero più peccatori di noi e dunque meritevoli del nostro biasimo. La Quaresima ci invita a guardare il nostro peccato, il nostro individuale peccato. Il nostro individuale peccato si assomma a quello degli altri e distrugge il mondo. Non esiste un peccato privato che non abbia ripercussioni sociali, che non abbiano ripercussioni sull’andamento del mondo.

Le situazioni drammatiche del mondo sono tra popoli, tra nazioni, ma la radice è sempre nel cuore, nel cuore di ogni uomo e quindi anche nel nostro. Dobbiamo sentirci tutti responsabili delle cose che avvengono nel mondo. Nessuno può dire, “non dipende da me”. “Non in mio nome”, si dice. Ridicola affermazione, perché siamo uniti nell’umanità, siamo uniti dalla responsabilità. Ecco allora quanto è importante che ci sottoponiamo al giudizio della parola di Dio, che con sincerità ci apra il cuore la spada tagliente della parola di Dio, che discerne, distingue, pota.

La Quaresima è il tempo propizio per questo cammino di riconciliazione. Cammino di purificazione durante il quale siamo chiamati a rivedere la nostra vita, a vedere come ci poniamo nelle nostre relazioni, davanti al mondo, davanti a Dio; a vedere le nostre relazioni, a capire se Dio resta per noi un cartellone pubblicitario o se, invece, il Signore Gesù Cristo entra davvero nella nostra esistenza e determina la nostra vita. Un cammino che ci invita a capire se davvero siamo impegnati a rispondere al suo amore con la radicalità del nostro amore per lui.

Il Santo Padre ci ha invitato a vivere il giorno di oggi nel digiuno. Ma il Papa vuole dare anche un particolare significato al digiuno, per la riconciliazione con Dio e tra noi. È un digiuno, una penitenza per fare pace, con Dio e con gli uomini. Perché cessi questa maledetta guerra che ha già fatto tante rovine, tanti morti, tanti lutti, ha creato uno sconquasso umano incredibile. Questa guerra deve cessare! Dobbiamo digiunare e  pregare perché cessi questa guerra e si ritrovi la via — difficile certo — ma l’unica via percorribile: quella del dialogo.

La Quaresima è indicata anche come un combattimento, ce lo ricordava la preghiera colletta di oggi. Il linguaggio della guerra ritorna nella liturgia quaresimale. È un combattimento contro le forze del male che sono dentro di noi e condizionano il mondo. Le si combatte con armi spirituali: la preghiera, il digiuno, l’elemosina, la carità.

Termino richiamando un passaggio del Vangelo. Un Vangelo curioso, perché proprio nel giorno del digiuno ci invita  a profumarci il capo e a sorridere. Ci invita a non fare le cose per essere visti, a non fare le cose per pubblicità. Noi oggi siamo maestri anche in questo, nel far apparire ciò che non è, nel presentarci in un modo diverso da quello che siamo. Siamo in un mondo di manipolazione delle informazioni dove cerchiamo continuamente di apparire meglio di quello che siamo. Il Vangelo ci invita a fare un cammino serio, interiore.

Non ce ne facciamo nulla delle ceneri che riceviamo in testa, di questo segno esteriore, se non cadono nel nostro cuore, se non avviano un processo di rinnovamento interiore della nostra vita. Non possiamo accontentarci dell’esteriorità. Dobbiamo camminare nella profondità di noi stessi, del nostro animo, davanti a Dio. Ecco perché il Vangelo ci dice: chiuditi in camera tua, dove solo il Padre Tuo ti vede. Lì prega il Signore. A indicare che ognuno deve tornare nella stanza della propria vita, nella camera del proprio cuore. Lì è il combattimento, lì il confronto con Dio, lì è l’ascolto della sua parola, lì è il cambiamento dell’esistenza.

Approfittiamo di questi giorni che ci separano dalla Pasqua: che siano giorni preziosi, giorni favorevoli. Ogni giorno di Quaresima è il giorno favorevole per accogliere il nome del Signore e rinnovare la nostra vita. E continuiamo a pregare con insistenza per la pace nel mondo, perché cessi la guerra e si ritrovi la via della pace.




Epifania (6 gennaio 2022)

Solennità dell’Epifania
Pistoia, Cattedrale di San Zeno, 6 gennaio 2022

 

Come si fa a non rimanere colpiti dalla bellezza della prima lettura di questa Messa? Un brano – quello tratto dal profeta Isaia – che ci riempie il cuore di gioia. Che parla di luce. Di luce più forte di ogni tenebra. Anche se tenebre e nebbia ricoprono la terra e avvolgono i popoli, la luce del Signore risplende e illumina ogni cosa. E la visione gioiosa di Isaia si completa con l’immagine dell’affluire di popoli e ricchezze di ogni tipo a Gerusalemme, alla città santa.

Quello che la lettura di Isaia ci vuol far capire è che, aldilà di ogni apparenza contraria, nella mente di Dio c’è un progetto di luce e di gioia per l’umanità. E che se il Verbo si è fatto carne, come noi affermiamo e crediamo, è esattamente per portare a compimento questo progetto di luce, di gioia e di pace.

Come ci fa bene allora riascoltare l’annuncio di questo progetto, a noi uomini così spesso divisi e in lotta l’uno contro l’altro! Ci fa bene ascoltare le parole del profeta Isaia, assaporarle, gustarle in tutta la loro bellezza. Esse ci confermano la volontà di Dio, il suo progetto, il suo disegno. E siamone certi: il Signore Dio è di parola e non torna indietro. Lo porterà avanti e lo condurrà in porto. A noi è chiesto di credere. E’ chiesto di non dubitare, di non lasciarci sopraffare dalle apparenze contrarie, di non lasciarci convincere dalle tenebre e dalla nebbia che avvolgono i popoli del mondo. A noi è chiesto di avere una fede grande, nutrita di speranza e di operosa carità. A noi è chiesto, nel nostro piccolo, di contribuire come possiamo alla realizzazione del disegno di Dio, diventando ogni giorno, secondo la espressione evangelica, “operatori di pace”, edificando cioè la pace come degli artigiani, secondo l’immagine usata spesso da Papa Francesco.

Nella seconda lettura, tratta dalla lettera di San Paolo agli Efesini, il disegno di Dio, il suo progetto di amore, viene chiamato “mistero” ad indicare non tanto la sua incomprensibilità o misteriosità, quanto piuttosto la profondità e grandezza di un progetto che è nella mente di Dio e che solo da Lui viene rivelato. Questo progetto, San Paolo ci dice con chiarezza in cosa consiste: “le genti sono chiamate in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo”. Eccolo, descritto, esplicitato, il progetto di Dio, il suo disegno di salvezza universale. E San Paolo, con la sua vita dopo la conversione, si è messo totalmente al servizio del compimento di questo disegno di salvezza. Con la sua opera di evangelizzatore, di predicatore, di fondatore di comunità, ha collaborato con Dio alla realizzazione del suo disegno universale di pace e di salvezza. E proprio nella testimonianza dell’apostolo Paolo credo ci sia da rilevare qualcosa che oggi rischia purtroppo di essere equivocato nella società ma a volte anche nella chiesa: come se cioè l’opera del cristiano e della chiesa nel mondo al servizio del Regno di Dio e della realizzazione del progetto di Dio, consistesse esclusivamente nel lavorare alla risoluzione dei problemi della società o delle persone, tra l’altro su un piano sostanzialmente materiale. Senza togliere niente al valore di questa attenzione agli altri a partire dalle necessità più immediate e concrete, la testimonianza di San Paolo ci ricorda però che per la chiesa, collaborare al disegno di Dio, significa innanzitutto annunciare Gesù Cristo, morto e risorto, così anche per il cristiano. Uno specifico compito che solo la chiesa e il cristiano possono portare al mondo. Come ci ricordava già San Paolo VI nella Evagelii Nuntiandi del 1975 (n. 14): “La chiesa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella S. Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione.” E lo stesso documento ancora attualissimo attualissimo aggiunge (n. 18 – 19): “Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità, e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: ……. la Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri. Per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza.”

Tutto quanto sono andato dicendo fin qui, trova poi plastica espressione nella storia misteriosa dei magi d’oriente che giungono a Betlemme da terre lontane, seguendo una stella, per adorare il bambino, portando a lui doni regali. La chiamata dei popoli alla fede qui è resa esplicita dal cammino di questi personaggi misteriosi che non appartengono al popolo di Israele ma simboleggiano tutti i popoli della terra. Si manifesta così l’universalità del disegno di Dio che è per tutti gli uomini e per tutti i popoli e nello stesso tempo si comprende che solo nell’adorazione del bambino, nel riconoscimento cioè della regalità di questo bambino e quindi della misericordia del Dio vivente, l’umanità può trovare pace e comunione, quella fraternità tanto desiderata da ogni uomo ma così difficile da realizzare.

Carissimi amici e fratelli, ora è il momento di fare come hanno fatto i magi. Il vangelo sottolinea che, dopo aver adorato, se ne tornarono alle loro case, portando con sé qualcosa da raccontare, da testimoniare, da far conoscere. Ecco ciò che anche ognuno di noi, dovunque sia la sua casa, è chiamato a fare. Facendo attenzione, come fecero loro, a non ripassare da Erode, come a dire che anche noi, nel nell’impegno di portare l’annuncio del salvatore, speranza di ogni uomo, dove viviamo, non dobbiamo farci distrarre dalle cose del mondo o finire inghiottiti dalle tenebre e dalla nebbia che avvolgono il mondo.




Omelia per l’ultimo giorno dell’anno (31 dicembre 2021)

Omelia per l’ultimo giorno dell’anno
Cattedrale di San Zeno, Pistoia, 31 dicembre 2021

 

Siamo dunque giunti al termine di questo anno difficile; un anno che si va ad aggiungere a quello precedente, non meno difficile. Seppure non possiamo dire di essere al punto di partenza, le preoccupazioni sono ancora grandi. Proprio in questi giorni, siamo di nuovo in mezzo al guado, posti di fronte a qualcosa che sembra non finire; qualcosa che, mi pare un dato evidente, lampante, noi non riusciamo ancora a superare. Tutta l’umanità non riesce ad oggi a sconfiggere il male che ci ha afferrato. Mi sembra che soltanto un cieco non veda questo insuccesso ad oggi, di tutte le risorse di intelligenza, di scienza, di tecnologia di cui siamo capaci.

Certo, qualcosa si è fatto. Forse anche molto, da un certo punto di vista. La situazione infatti non è esattamente quella di quando eravamo in pieno dentro la pandemia. Si sono trovati vaccini che sicuramente hanno fatto e fanno. Si sono trovati e si stanno trovando anche farmaci. Siamo però ancora indietro. Mi pare evidente. Se si considera poi che c’è una grande parte del mondo che ad oggi rimane fuori dalle cure adeguate e dalla prevenzione, credo non si possa misconoscere il dato che sottolineavo: l’uomo, l’umanità fa enorme fatica ed è in affanno nella soluzione di questo problema.

Forse è anche questo dato, magari non colto chiaramente ma comunque percepito nel profondo dell’animo, che ci mette dentro un grande senso di incertezza e di precarietà al quale non eravamo abituati. Ci mette dentro anche un senso di sfiducia, ci abbatte, ci deprime. Col rischio concreto di cadere in uno stato di prostrazione generalizzato e permanente.

A questa situazione si aggiunge anche quella determinata dalla crisi ambientale. Abbiamo tutti ben presente il rischio che stiamo correndo e quanto sia necessario cambiare rotta al mondo. Il clima impazzito testimonia di mutamenti che, in parte almeno, dipendono dal modo in cui viviamo, produciamo, ci sviluppiamo. Consumando energia in modo esagerato, immettendo contemporaneamente nell’atmosfera agenti fortemente inquinanti. Il Santo Padre Francesco ha lanciato un forte grido di allarme nella sua enciclica laudato si, ma vediamo quante difficoltà ci sono da parte degli Stati ad adottare misure davvero efficaci per la risoluzione del problema. Il rischio che, tra un dibattito e l’altro, si stia andando verso un punto di non ritorno è reale.

Alla pandemia e al rischio ambientale, si aggiunge infine la situazione di povertà, di ingiustizia e di mancanza di libertà che spinge intere popolazioni a migrare, a cercare rifugio in posti più sicuri, senza trovare per altro piena accoglienza. Un altro terribile inarrestabile dramma contemporaneo, al quale, ancora una volta, sembriamo incapaci di trovare una soluzione.

Sicuramente si tratta di problemi enormi e di non facile soluzione. Sta di fatto che noi, uomini e donne del 2021 e tra poco del 2022, al momento non siamo in grado di trovare una soluzione a questi tre colossali drammi che io vedo collegati strettamente l’uno all’altro.

Credo comunque che si debba reagire e, soprattutto noi cristiani, ritengo che siamo chiamati in questo tempo, proprio in questo frangente della storia, a rendere testimonianza di speranza e di fiducia. Non per nasconderci i problemi e le oggettive difficoltà del percorso ma per dare concreta visibilità alla certezza che la nostra fede alimenta. E’ difficile interpretare i segni dei tempi ed è sempre rischioso. Ma alla luce della parola di Dio, bisogna pur cercare di capire che cosa Dio stia dicendo all’’umanità, nella ferma convinzione alimentata dalla nostra fede, che Dio vuole il bene per ogni sua creatura come del mondo intero e che “tutto concorre al bene, per coloro che Dio ama”. Certi dunque che l’annuncio degli angeli ai pastori è perennemente attuale: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama”.

Non possiamo allora non metterci nei panni della Madonna. Nei panni di colei che annunciata essere la madre del Messia salvatore di Israele, si trova a partorire quel bambino nel nascondimento, in una stalla, ai margini potremmo dire, della storia. Gli occhi del cuore di Maria SS.ma vedevano nel bambino il compiersi delle promesse di Dio, vedevano le attese soddisfatte, vedevano il Regno di Dio sulla terra. Gli occhi però del suo corpo, vedevano povertà e silenzio, emarginazione e solitudine. Ce ne voleva di fede per vedere in quel piccolo bambino, il salvatore del mondo, l’atteso delle genti! Metterci nei panni di Maria, vuol dire allora assumere il suo sguardo di fede, quello stesso con cui guardò il bambino appena partorito e vide in esso il Salvatore del mondo. Questa fede che è ricolma di speranza è quella che ci è richiesta quest’oggi, carissimi fratelli ed amici.

Nello stesso tempo, mi pare che proprio questa nostra fede in un Dio di amore, ci fa capire che Dio stesso ci sta spingendo con forza a cambiare strada nel mondo. Attraverso l’esperienza drammatica della nostra impotenza e della enormità dei problemi che abbiamo davanti, credo che Egli ci spinga a trovare le strade di una maggiore solidarietà, di una più grande attenzione reciproca e di una più piena assunzione di responsabilità. Tanti anni fa, Papa Paolo VI, un grande profeta del nostro tempo, parlò della necessità di costruire una civiltà dell’amore, che significa una civiltà del prendersi cura l’uno dell’altro, dell’affrontare insieme i problemi condividendo risorse e intelligenze, fatta di responsabilità che da orientamento alla libertà individuale. Dopo tanti anni, è forse giunto il momento di costruirla per davvero, questa civiltà dell’amore, spinti anche dalle avverse circostanze che stiamo sperimentando. L’edificazione di una civiltà dell’amore è diventata ormai una necessità vitale.

Ed è di questa dura lezione, che quest’anno vogliamo ringraziare il buon Dio, pregandolo che continui sempre ad aver misericordia di noi e a benedirci.




Natale del Signore (25 dicembre 2021)

Natale del Signore – Cattedrale di San Zeno, 25 dicembre 2021

In una grotta o in una capanna o in una semplice stalla, perché non c’era posto per loro nella casa: così è nato nel tempo il re dei re, il Verbo unigenito del Padre, il Salvatore del mondo. Deposto in una mangiatoia, tra paglia e animali. Un parto di emergenza direi; alla meglio. Con Giuseppe e Maria, lontani da casa. Avevano dovuto lasciare Nazareth al nord della Palestina e scendere a sud, a causa del censimento ordinato dall’imperatore di Roma – quello si, grande e potente, che governava da ricchi e lussuosi palazzi. Giuseppe e Maria non ebbero nemmeno un posto dove alloggiare a Betlemme, dopo aver affrontato un viaggio sicuramente disagevole.

Nasce così, il Signore Dio, nel silenzio nascosto di una notte. Non ci sono inservienti, camerieri; non c’è gente, men che meno folla a sottolineare la grandezza dell’evento. Nessuno: quello di Dio che si fa uomo è il fatto assolutamente più straordinario della storia, eppure accade nel silenzio più totale, nel nascondimento più grande. Non ci sono giornalisti né troupe televisive. Per eventi di minore importanza, si riempiono stadi e piazze. Qui no. L’evento più incredibile della storia accade e nessuno se ne accorge. E’ Dio stesso che ha scelto questo modo umile e nascosto per entrare nella nostra storia, per entrarvi potremmo dire, in punta di piedi.

Dice San Paolo che il Verbo di Dio annientò se stesso, assumendo la forma del servo. Mistero davvero insondabile quello dell’annichilamento di Dio per amore nostro.

Per la verità, all’evento, qualche spettatore in qualche modo ci fu: i pastori, quei miseri pastori che custodivano le greggi poco distanti dal luogo del parto. Gli angeli del cielo, proprio a loro annunciarono la nascita del Salvatore. Non andarono a suonare la tromba in mezzo alle strade di Gerusalemme o per le contrade d’Israele. No. Annunciarono a quei semplici pastori: “Oggi è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore”. E così i pastori, accorsi dal bambino, furono gli spettatori unici di quell’evento mirabile e straordinario.

Mi sono dilungato nel narrare le modalità della nascita del Salvatore, del Figlio unigenito del Padre, perché in questa modalità è racchiuso il messaggio stesso del Natale e anche una radicale contestazione dei modi sbagliati di sentire e viverlo. Non solo: la modalità scelta da Dio per venire tra noi, ci indica con chiarezza quella che è la strada da percorrere, la strada giusta, quella vera che porta alla pienezza della vita e della gioia.

Credo che non ci sia bisogno di molte parole. La modalità scelta da Dio per incarnarsi è per se stessa molto eloquente e ognuno di noi può facilmente trarne le dovute conclusioni. Accenno quindi ora soltanto ad un paio di cose che a mio parere meritano di essere raccolte perché da esse scaturiscono tante altre considerazioni e propositi di vita.

La prima cosa che sottolineo è la stupefacente e sorprendete rivelazione di un Dio che si fa piccolo, quasi insignificante, debole e fragile; un Dio che per agire, sceglie il silenzio e il nascondimento. Un Dio che possiamo ben dire si annienta per amore della sua creatura. Una creatura, quella umana, che si era perduta nel male e che Egli viene a cercare, facendosi compagno di strada e spesso di sventura. Un Dio così stupisce all’inverosimile, incanta, commuove ma pone anche un sacco di interrogativi alla nostra mente e al nostro modo di vivere. Ci provoca, ci scuote, non ci lascia in pace, anche perché si ripresenta a noi nel volto di tutti gli scartati e i poveri della terra….

Questo è il nostro Dio: questo è il Dio di Gesù Cristo; è il Dio in cui noi cristiani crediamo; l’unico Dio, comunque lo si voglia chiamare. Questo è il suo volto, il suo vero volto. Ogni altra immagine di Lui è falsa e fuorviante. E un Dio così o lo si rifiuta per rabbia, come è accaduto e purtroppo accade anche oggi, oppure lo si ama incondizionatamente, imparando da Lui ad amare e come si amano gli altri. Noi così spesso affannosamente dediti al nostro benessere psicofisico; alla ricerca di mille comodità; noi così speso chiusi nel castello fortificato del nostro io; così protesi alla ricerca del nostro esclusivo e individuale interesse; noi così pronti ad odiarci e ad usarci violenza, di fronte a questo Dio che si fa bambino, dobbiamo scegliere da che parte stare, se continuare a stare dalla parte di Erode che fa strage di innocenti oppure da quella di Giuseppe, di Maria e dei pastori che accolgono e amano. Non si può restare nel mezzo.

Ed ecco allora la seconda cosa che vorrei sottolineare. Il modo di fare di Dio nel Natale, ci mostra anche la strada che siamo invitati a scegliere; ci dice chiaramente come dobbiamo impiegare la nostra libertà: prendendoci cioè cura dei nostri fratelli, avendoli a cuore, senza paura di abbassare il nostro io egocentrico e presuntuoso. E’ semplice, ma quanto difficile capirlo e metterlo in pratica! Paradossalmente, pure la pandemia che sembra non volerci abbandonare, ci sta insegnando la stessa cosa: la situazione si migliora e se ne può uscire, soltanto prendendoci a cuore gli uni degli altri. Soltanto acquisendo, ognuno, un sempre più forte senso di responsabilità per il bene comune.

Il silenzio nascosto del Natale, ci dice anche che per percorre questa strada di giustizia e di pace, di verità e di amore, non occorrono sceneggiate e spettacolarità. Non occorre la grancassa. Non si tratta di apparire ma di essere. Ci vuole invece quell’impegno quotidiano e generoso che non viene meno se anche nessuno lo nota. Occorre la consapevolezza che le scelte di ciascuno di noi, quelle stesse che consideriamo private, tanto private poi non sono, perché sono tutte importanti per il bene comune, noi cristiani diciamo per l’edificazione del Regno di Dio. Pure questo lo stiamo apprendendo, seppur con fatica, nell’attuale frangente della storia: dalle scelte individuali dipende il bene della collettività e una libertà senza responsabilità è solo rovina di sé e della società.

Davanti al Natale del Signore dunque, davanti al presepe, abbiamo innanzitutto da ringraziare il buon Dio per questo suo modo davvero sorprendente di fare che ci mostra tutta la sua tenerezza e permette a noi di avvicinarci a Lui senza timore. Nello stesso tempo davanti al presepe impariamo anche quella che è la strada da percorrere, quella stessa percorsa da Dio, quella dell’autentica umanità: l’unica che ci apre già in terra le porte del Paradiso.