Ordinazione presbiterale di Andrea Torrigiani (5 gennaio 2024)

venerdì 5 gennaio 2024
Epifania del Signore
Ordinazione presbiterale di Andrea Torrigiani

Come i magi d’oriente, anche tu, carissimo Andrea, ad un certo punto della tua ancor giovane vita hai alzato gli occhi al cielo e hai visto una stella più luminosa delle altre. Quella stella che brillava già dentro di te ma di cui ancora non ti eri accorto.
E l’hai seguita. Così, passo dopo passo, hai incontrato il Signore. Lui ti ha conquistato e tu ti sei lasciato conquistare. Lo hai potuto stringere tra le tue braccia perché il Signore si è presentato al mondo così, come un piccolo bambino da abbracciare. Lo hai adorato. La sua gioia ha inondato la tua vita.
In quell’incontro hai trovato altri amici che erano giunti anch’essi per adorare il bambino. Sono stati i tuoi compagni di viaggio, con i quali hai condiviso la bellezza di seguire il Signore.
Poi anche tu, come i santi magi, hai offerto al Signore quello che avevi, la tua vita, quell’oro, quell’incenso e quella mirra che erano la tua vita fatta di talenti preziosi e di debolezze e incertezze, fatta di gioie ma anche di sofferenza acuta e spiazzante.
Nell’incontro col Signore hai sentito infine la sua voce che ti chiamava. Hai cercato di capire meglio: si, era proprio la sua voce, convalidata dalla Chiesa. Era Lui che ti chiedeva di diventare pescatore di uomini; di lasciare tutto per essere ministro del suo amore presso le genti; di essere suo amico e collaboratore come operaio nella sua vigna.
Quella voce ti ha fatto sentire la compassione del Signore per la moltitudine che vaga come pecore senza pastore e ti ha chiesto di condividere la sua vita donata per la salvezza del mondo. E tu hai detto si. Pur con tutte le tue incertezze e paure, con il peso dei dubbi ma confidando nel Signore, ti sei messo alla scuola del Maestro imitando gli apostoli nei tre anni della sua vita pubblica.
Adesso, come ai magi dopo aver incontrato il re del mondo, anche a te è chiesto di tornare in mezzo alla gente, di incamminarti nei sentieri del mondo per esercitare in nome di Cristo il sacro ministero e innanzitutto annunciare le meraviglie della sua Misericordia che vuole raggiungere tutti gli uomini.
Ora ti è chiesto di andare ad annunciare il Regno di Dio. Ti è chiesto di farti tutto a tutti sull’esempio del Buon Pastore; ti è chiesto di salire il calvario della croce con Lui, significato nel sacrificio eucaristico della Messa, per testimoniare a tutti la potenza della risurrezione. Ti è chiesto di essere al servizio della comunità cristiana perché sia sempre di più popolo santo di Dio, corpo di Cristo, sale e luce del mondo.
Ma bada bene: non ti è chiesto di essere un funzionario o un mestierante a tempo; non ti è chiesto di svolgere semplicemente una missione, bensì di essere tu stesso “missione”, unito a Cristo e con la forza del suo Santo Spirito.
Coltiva perciò nel tuo cuore e nella tuia mente quella convinzione forte che era in S. Paolo e che abbiamo ascoltato nella seconda lettura dalle sue parole: “che tutte le genti cioè sono chiamate in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo”. Sappi che sei stato scelto per essere uno strumento di Dio al fine di realizzare questo disegno. Un disegno di unità e di amore di cui oggi si fa fatica con gli occhi solo umani a vederne la possibilità perché, come ci ha detto il profeta Isaia, “la tenebra ricopre la terra e nebbia fitta avvolge i popoli”, ma che con gli occhi della fede se ne scoprono i segni e lo si vede pian piano realizzarsi come il granello di senape che diventa albero grande.
Tu quindi non ti scoraggiare. Fai attenzione proprio alla tentazione dello scoraggiamento. La più terribile di tutte le tentazioni. Cerca di fare in modo che le incertezze nel cammino, le varie difficoltà, l’aridità nelle risposte alla tua azione, i tuoi stessi peccati e debolezze, l’opacità di una chiesa non sempre nelle sue membra all’altezza del proprio compito di testimonianza, la stanchezza e i richiami del mondo ad una vita comoda ed individualista, la solitudine di certi momenti e il vuoto di affetti, ecco, cerca di fare in modo che tutto questo non generi mai in te scoraggiamento e ti faccia cadere le braccia preso dallo sconforto.
Anche qui la vicenda dei santi magi risulta molto istruttiva: essi, avvisati in sogno, se ne vanno via da Betlemme per altra via, evitando Erode e tutte le sue tentazioni. È l’invito anche per te a fare attenzione a tutte le tentazioni che incontrerai per la strada. È l’invito ad un cammino di conversione, a percorrere cioè non la strada larga e spaziosa del mondo ma l’altra strada, quella della conversione e della vita vera. E ti sosterrà nel cammino, stanne certo, il ricordo di quella madre che anche i magi incontrarono a Betlemme e che offrì loro il bambino perché lo adorassero. La memoria e la presenza della Madonna nella tua vita ti sarà di conforto e di concreto sostegno in ogni istante. Porta con te sempre il suo ricordo e ritroverai in ogni istante anche di smarrimento la strada di casa, quella del Signore.
E a noi tutti che questa sera attorniamo il nostro Andrea nella festa dell’Epifania che cosa dice il Signore?
Ci dice – secondo me – esattamente quanto abbiamo ascoltato all’inizio della prima lettura dal profeta Isaia: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te”.
Si, carissimi fratelli e sorelle: Alziamoci – è questo l’invito autorevole e amorevole di Dio. Lasciamoci rivestire di luce, accesi al fuoco vivo del Signore. Non cediamo al lamento, non abbandoniamo l’impegno, non annacquiamo la nostra fede, non accettiamo troppo facilmente i compromessi, non giustifichiamoci per la difficoltà dei giorni che stiamo sperimentando nel mondo e nella chiesa! Rinnoviamo piuttosto la nostra fede. Adoriamo anche noi il bambino e stringiamolo con amore tra le braccia, stringendolo anche presente nei nostri fratelli e sorelle bisognosi di attenzione e di amore. Dio ci ha messo a vivere in questo mondo e in questo tempo. Egli, nella sua insondabile sapienza, ha pensato che fossimo noi a dover dare testimonianza di Lui in questo frangente della storia. Siamone orgogliosi, pur riconoscendo tutte le nostre incapacità. Cerchiamo allora di essere fedeli nel poco che ci è dato e di adempiere al meglio la nostra missione nel mondo. Il cammino sinodale che stiamo percorrendo e nel quale siamo impegnati a fondo, nella sua sostanza intende essere proprio questo: un invito pressante del Signore ad alzarci, a rivestirci della sua luce, per dare, insieme, attraverso una comunione riaffermata e vissuta fatta di condivisone e partecipazione, testimonianza della vicinanza amorevole di Dio ad ogni creatura.
E in ultimo una raccomandazione: preghiamo e continuiamo a pregare perché il Signore mandi ancora operai nella sua messe e molti giovani o meno giovani rispondano alla chiamata. Ma non per deresponsabilizzare tutti gli altri membri del popolo di Dio pagando tributo ad un’abitudine clericale dura a morire. Piuttosto per essere, nella pluralità dei doni e dei ministri, un popolo tutto quanto sacerdotale, regale e profetico.




Lettera alla Diocesi in occasione della nomina a Vescovo di Pescia (14 ottobre 2023)

Carissimi presbiteri e diaconi, religiosi, religiose e fedeli tutti della diocesi pistoiese,

con questa mia lettera vi comunico una novità che coinvolge me in prima persona ma sicuramente anche tutti voi.
Il Santo Padre Francesco mi ha nominato Vescovo di Pescia, chiedendomi di diventare a tutti gli effetti il Pastore di quella chiesa sorella, mantenendo però nello stesso tempo il servizio alla diocesi di Pistoia.
Quindi d’ora innanzi sono vescovo di Pistoia e Vescovo di Pescia.

Mi sono reso disponibile alla richiesta del Papa perché questa disponibilità racconta la storia di tutta la mia vita, nonostante i miei numerosi limiti: non saprei fare altrimenti.
La decisione del Santo Padre porta sulle mie spalle indubbiamente un carico nuovo quando, tra l’ altro, l’ età si comincia a far sentire. Confido però nella certezza di fare la volontà del Signore e non la mia. Mi conforta anche il fatto – come i semplici credo ai piccoli segnali della Provvidenza – che la prima comunicazione di questa eventualità e poi la comunicazione definitiva mi sono giunte, l’una mentre ero a Lourdes durante la Messa internazionale e l’altra, il giorno della Madonna del Rosario.

Vi scrivo come a fratelli ed amici, nonché figli, perché d’ ora innanzi abbiate ancor più pazienza nei miei confronti. Dovrò infatti necessariamente essere presente alla vita della diocesi pesciatina ed anche in un modo del tutto particolare perché la decisione del Santo Padre arreca senz’ altro un po’ di amarezza al suo clero e a i suoi fedeli. Insieme ad un di più di pazienza, vi chiedo anche un maggior impegno carico di responsabilità.

La vita della diocesi di Pistoia non deve avere a soffrire da questa novità e, anzi, rimboccandosi le maniche, deve saper affrontare con animo concorde la nuova situazione. Aprendosi anche – e questo sarà senz’altro un grande arricchimento – alla vita della Chiesa sorella di Pescia. Il cammino della nostra Diocesi continua, soprattutto per portare a termine la splendida avventura sinodale che stiamo vivendo.

Cerchiamo di fare in modo che non venga meno lo sforzo ma prima di tutto la preghiera allo Spirito perché ci consoli e ci guidi verso quel rinnovamento fraterno e missionario che ci è chiesto.

Vi abbraccio tutti con affetto. Il prossimo otto dicembre saranno nove anni che sono tra voi. Il nostro legame si è approfondito e vi porto davvero nel cuore con gratitudine e gioia.
Non sono mancate e non mancano prove e tensioni . È la vita. È la vita cristiana non si sovrappone o affianca ad essa ma la assume e la trasfigura.

Vi voglio bene e che il Signore vi benedica.
Pistoia 14 ottobre 2023
Fausto Tardelli




Conclusione prima sessione del Sinodo Diocesano

Conclusione prima sessione del Sinodo Diocesano
(sabato 24 giugno – Cattedrale di San Zeno)

 

Si conclude questa sera la prima sessione del sinodo diocesano. Vogliamo innanzitutto rendere grazie a Dio per quello che è avvenuto e sta avvenendo: l’aver cioè cominciato, sotto l’impulso dello Spirito Santo, ad assumere uno stile sinodale nella nostra chiesa che vuol dire camminare insieme come popolo di Dio, corresponsabili della missione del Vangelo; l’aver inoltre ascoltato e individuato attraverso un discernimento comunitario, guidato sempre dallo Spirito Santo, quelle che sono le principali attese di Vangelo presenti in noi e nelle persone dei nostri territori; quelle sfide che lo Spirito Santo ci mette davanti e alle quali occorre rispondere.

Abbiamo sperimentato di essere chiesa, popolo santo di Dio, pur con tutti i nostri limiti; popolo radunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Abbiamo sicuramente provato anche la fatica e la lentezza necessaria per ascoltarci e ascoltare. Tutto questo però è stato ed è salutare perché appunto si tratta di una conversione in atto che lo Spirito Santo sta ispirando a tutta la nostra chiesa.

Insieme abbiamo cercato di ascoltare le attese di Vangelo presenti nella nostra vita e in quella delle persone che vivono nei nostri territori. Abbiamo individuato quindi alcune sfide che lo Spirito del Signore ci mette davanti e alle quali occorrerà rispondere con generosità e fantasia. Le elenco semplicemente: l’attesa di Vangelo e di nuovi cammini educativi; il nostro tempo come occasione di speranza; l’attesa di relazioni umane significative; l’attesa di fraternità; la famiglia e i suoi bisogni; la donna come dono e responsabilità; l’ascolto, la cura e l’intergenerazionalità tra giovani e anziani; i migranti e le loro attese; il bisogno di una Chiesa “nuova”, rinnovata profondamente dallo Spirito. Su queste strade, lo Spirito del Signore ci sta spingendo e sarà il discernimento comunitario ancora da svolgere nell’anno prossimo a portarci, con la celebrazione della seconda sessione finale del Sinodo diocesano, ad alcune fondamentali scelte pastorali di conversione che riguarderanno tutta la diocesi e le singole parrocchie, i gruppi, le associazioni e i movimenti.

Il tempo della responsabilità che non viene mai meno e il confronto con le nostre miserie, non ci impediscono però di dire grazie con tutto il cuore a Dio per ciò che ci è stato dato di comprendere e per l’esperienza viva di chiesa che abbiamo fatto e che stiamo facendo.

Siamo forse privi di difetti? Assolutamente no? Siamo davvero una risposta credibile all’amore del Signore? Credo di no, tante volte. Però abbiamo tentato di essere docili allo Spirito ed Egli ci ha preso sul serio e ci ha portato avanti. L’esperienza che abbiamo fatto insieme e che ripeteremo ancora non passerà facilmente nel dimenticatoio della nostra Chiesa. Rimarrà anzi come una pietra miliare che l’ha segnata in un passaggio storico decisivo ed epocale.

La prima lettura ci ha detto che siamo un popolo in cammino; tante volte in mezzo all’aridità del deserto provocato dal nostro peccato e dal peccato del mondo. Ma è un cammino di liberazione, di rinascita, di vita nuova, lungo il quale si sperimentano le grandi opere di Dio. Siamo allora invitati a non dimenticare. “Non dimenticare”: importantissimo, per noi smemorati e per questo tempo così spesso privo di memoria. “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio, ti ha fatto percorre nella tua storia”, ci ripete il Signore. È stato anche un cammino di prova, segnato da debolezze e peccati. Ma il Signore ci chiede di guardare avanti e di non fermarci a piangerci addosso. Ci chiede di considerare il suo amore e di capire che noi possiamo vivere e vivere in pienezza se ci nutriamo di quanto esce dalla sua bocca.

La seconda lettura parla ancora di noi e ci dice che siamo tutti diversi e che questa diversità e varietà è un bene, una ricchezza. Ma ci dice anche che siamo un “corpo”, un organismo vivente e unito. Anzi, noi non siamo un corpo qualsiasi, bensì il Corpo di Cristo. Questa è la nostra identità. Lo siamo come chiesa diocesana unita alle altre chiese sparse nel mondo a formare la Cattolica; lo sono tutte le comunità parrocchiali, interconnesse l’una alle altre dentro la chiesa diocesana. Così le comunità religiose, i gruppi, i movimenti. È l’ora veramente di finirla di andare avanti ognuno per conto suo, come se fossimo un organismo sezionato in mille pezzi. Pensiamo forse di poter vivere, staccandosi e non relazionandosi con gli altri? La morte dell’organismo è il destino di un organismo sezionato e disperso! L’esperienza sinodale che stiamo facendo è illuminante in proposito: conta il camminare insieme. Conta il mettersi insieme in ascolto dello Spirito che parla a noi in tanti modi, anche nella storia, nella vita dei nostri fratelli e di noi stessi, come nella chiesa universale guidata dal santo Padre. Che questo stile sinodale caratterizzi d’ora in avanti tutta la nostra chiesa, nel rispetto naturalmente della specificità dei ruoli e dei compiti, ma forti del dono del battesimo che ci ha fatto tutti in Cristo, sacerdoti, re e profeti. “ora noi siamo il corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte”.

Il brano evangelico di questa sera, ripreso da domenica scorsa è particolarmente bello e significativo per noi. È il brano che sta alla base del nostro cammino sinodale. Ci siamo mossi infatti per ascoltare le attese di Vangelo presenti in noi e nei nostri territori, per essere poi strumenti efficaci dell’amore di Cristo.

In sostanza, ho chiesto a tutta la diocesi convocandola in Sinodo di imparare ad assumere lo sguardo di Cristo sull’umanità e sul mondo. Quello sguardo pieno di misericordia e di tenerezza che commuove il cuore di Cristo e lo spinge alla missione di salvezza. “Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”. E a questo sguardo pieno di amore e di tenerezza segue la risposta: la ricerca di operai per la messe che gli occhi del Signore vede abbondante. Ed ecco la chiamata dei dodici.

Noi ci vogliamo proprio muovere sulle orme del nostro Redentore. Vogliamo fare esattamente come Lui. Anzi, lo abbiamo già anche fatto, almeno nel tentativo e nell’impegno: guardare in noi e attorno a noi la messe abbondante che attende di essere mietuta; ascoltare la stanchezza e la sfinitezza dell’umanità; il disorientamento e la confusione di chi non ha un pastore giusto e buono che lo guidi.

Con la seconda sessione del Sinodo che si apre tra poco, il 25 di luglio, nella festa solenne di San Jacopo nostro Patrono, cercheremo anche noi di fare esattamente quello che fece Gesù: rispondere cioè alle sfide, con la missione di tutta la nostra chiesa; con una conversione missionaria. Riscoprendo di essere mandati Lui come gli apostoli che abbiamo ascoltato nel Vangelo essere stati chiamati da Lui. Anche noi saremo chiamati per nome dal Signore che ci rinnoverà il mandato e ci inviterà a lasciarci guidare ancora dallo Spirito santo per rispondere alle sfide che abbiamo individuato in questa prima sessione sinodale.

Nella gratitudine, col cuore pieno di riconoscenza, continuiamo a chiedere il dono dello Spirito, l’assistenza materna della Vergine Maria e del nostro amico e fratello San Jacopo.

+ Fausto Tardelli




Solennità di Pentecoste 2023

Veglia della Solennità di Pentecoste  (27 maggio 2023)

Chiesa di San Francesco d’Assisi – Pistoia

Per i discepoli di Cristo, l’evento della Pentecoste fu sicuramente qualcosa di dirompente. La narrazione biblica lo evidenzia con chiarezza introducendo segni di particolare effetto. Lo abbiamo ascoltato.

Aldilà però delle modalità narrative dell’evento, che si trattò di qualcosa di estremamente significativo, lo si può constatare dall’inaspettato e di per sè incomprensibile espandersi della comunità apostolica, avvenuta attraverso la testimonianza e la predicazione di uomini che fino a poco tempo prima non avevano certo dato buona prova di sè.

Fuggiti via al momento della cattura di Gesù e della sua crocifissione, li ritroviamo improvvisamente estroversi, lanciati fuori dal chiuso del cenacolo, “in uscita”, diremmo noi oggi con Papa Francesco. Coinvolti in un movimento espansivo inarrestabile che li portò anche lontano da Gerusalemme e che costò anche la vita a gran parte di loro. Qualcosa certamente di umanamente inspiegabile, se misurato con le corte possibilità di quegli uomini.

L’evento della Pentecoste però non si esaurisce in quel lontano momento. Accompagna la chiesa nei secoli e ne siamo personalmente coinvolti. Come già gli apostoli e i discepoli del Signore, anche noi chiesa di Pistoia, con la festa di Pentecoste riceviamo nuovamente e con abbondanza il dono dello Spirito.

In questo tempo sinodale stiamo imparando a camminare insieme. Con fatica e lentezze; tra tentennamenti e difficoltà; ma anche con entusiasmo e gioia, dovuti alla certezza che lo Spirito Santo ci sta guidando, perché ci siamo affidati a Lui e abbiamo espresso la volontà di lasciarci guidare da Lui, sospinti dal suo soffio vitale. Sulle ali dello Spirito, ci siamo messi insieme alla scoperta di un Dio che è Padre misericordioso, per imparare a servire da poveri i poveri e dar vita a comunità cristiane davvero fraterne e missionarie. Il soffio dello Spirito si sente. Lo percepiamo concretamente. Nel percorso che siamo facendo, nel nostro incontrarci, nel nostro metterci in ascolto, lo Spirito Santo opera e oggi, giorno di Pentecoste, lo vogliamo riconoscere e ringraziarlo. Si tratterà certo di restare docili al suo soffio ancora, percorrendo con coraggio le strade che ci sta indicando. Intanto però lo sentiamo presente, lo percepiamo, ne siamo gioiosamente ripieni.

Col Sinodo diocesano ci siamo posti in ascolto del Signore e l’uno dell’altro. E’ ben giusto che, sinodalmente, a Pentecoste, padri e madri sinodali, rappresentanti di tutte le parrocchie, associazioni e movimenti, presbiteri, diaconi, religiose e religiosi, invochiamo ancora una volta il dono dello Spirito, testimoniando il suo passaggio nella nostra vita e verificando il cammino compiuto.

Rinfranchiamo così il passo, perché sia più spedito lungo le strade dove fratelli e sorelle feriti nel corpo e nello spirito attendono il Vangelo della speranza, e nella storia si anticipino quei segni del Regno che ci sarà donato in pienezza alla fine dei tempi.

Sono tre in particolare le cose che lo Spirito Santo realizza coinvolgendoci e chiedendoci piena disponibilità: il miracolo dell’unità nella diversità, il rinnovamento della faccia della terra e la guida verso la verità tutta intera attraverso il discernimento della sapienza.

E’ innanzitutto opera dello Spirito che genti diverse, persone e popoli differenti possano trovare armonia articolata e complessa ma vera. Lo Spirito Santo crea comunione; le differenze di ciascuno non sono umiliate e negate, bensì valorizzate e accolte, allacciate in solidi legami di fraternità, fino al compiersi del miracolo della unità molteplice. La chiesa, del resto, che prima di essere di uomini è opera dello Spirito, si manifesta esattamente così: popolo variegato nei doni, nei carismi e nei ministeri; unita però in un solo corpo, quello di Cristo. Questo miracolo è ben sotto i nostri occhi quando vediamo oggi una colorata pluralità di uomini, etnie, culture e popoli far parte a pieno diritto della chiesa, in un modo che nemmeno gli apostoli avrebbero mai immaginato. Ad esso si contrappone – ed è peccato contro lo Spirito – l’ostinato individualismo di alcuni, la pretesa solipsistica di pensare di poter fare da sè e la caparbia volontà della ricerca del proprio esclusivo interesse. Nella chiesa come nel mondo.

La seconda cosa che dobbiamo dire dello Spirito è che Egli è dentro la storia, la anima, la rinnova, ispirando nel cuore delle persone il bene operare per l’utilità comune. Nonostante ogni vento contrario, anche in questo terribile frangente della storia, quando il futuro è pieno di incertezza, la casa comune va in rovina e gli umici si consumano nel fratricidio, lo Spirito continua ad operare e non si allontana dal mondo.

Egli sospinge la creazione verso il suo compimento e suscita ogni pensiero e gesto d’amore, anche il più piccolo dandogli forza; ogni anelito di giustizia, ogni speranza di un mondo migliore, ogni conoscenza che si volge alla pace, ogni ricerca scientifica che sia per il bene dell’umanità.

Egli ispira gli artisti col fascino della bellezza; muove alla generosità chi si dona alla causa degli altri; sostiene la testimonianza degli operatori di pace, dando forza a coloro che offrono letteralmente la vita per un mondo migliore. Così lo Spirito Santo rinnova la faccia della terra e prepara cieli e terre nuove in cui abita la giustizia. Lo Spirito Santo opera instancabilmente ma attende la nostra collaborazione, il nostro pieno coinvolgimento. Come dicevo, nel creare unità fraterna e anche nella trasformazione del mondo nel Regno di Dio.

La terza azione dello Spirito è – secondo la promessa di Gesù – di guidarci alla verità tutta intera attraverso il discernimento sapienziale. E’ esattamente quello che stiamo sperimentando e che si esprime nel camminare insieme nel sinodo. Stiamo imparando a discernere le attese di vangelo presenti nel mondo e a individuare le strade per rispondere a queste attese. E la cosa davvero significativa è che lo Spirito non ci sta guidando per qualcosa che si esaurisce con la celebrazione del Sinodo ma ci sta indicando uno stile, un modo di essere chiesa in comunione, nella partecipazione, nella gioia e nella missione. Si tratta di uno stile sinodale da acquisire come modalità permanente del nostro essere chiesa, profezia di unità e di amore nel mondo di oggi. Chi si fa guidare da Lui e si lascia sospingere dalla brezza leggera dello Spirito che parla di pace e d’amore, diventa, dentro la chiesa e anche oltre i suoi confini visibili, un vero costruttore di umanità che nessun ostacolo può veramente fermare. Così sia per tutta la nostra chiesa.




Diaconato Andrea Torrigiani

III° Domenica di Pasqua (Cattedrale di San Zeno Pistoia, 23 aprile 2023)

Diaconato Andrea Torrigiani

La terza domenica di Pasqua con le sue letture bibliche ci accompagna nel cammino in compagnia del Risorto e ci permette di continuare ad assaporare la gioia luminosa della Risurrezione di Cristo. La festa si contorna quest’oggi di circostanze che ne fanno apparire ancora di più la bellezza: il fatto del Sinodo diocesano che stiamo celebrando e l’Ordinazione di Andrea al diaconato.

Quanto al nostro sinodo, mi fa oltremodo piacere leggervi il saluto benedicente che il Santo Padre in persona ci ha voluto inviare, incoraggiandoci a proseguire nel cammino intrapreso… (lettura della lettera). Con la benedizione del Santo Padre, nei prossimi giorni entreremo nel vivo dei lavori sinodali. Con l’Eucaristia di stasera rendiamo grazie a Dio per il dono del suo Spirito e insieme invochiamo ancora con grande fiducia l’assistenza di questo Santo Spirito.
Quanto al diaconato che verrà conferito a un figlio della nostra chiesa, non possiamo che raddoppiare la nostra gratitudine al Signore per il dono che ci fa. E proprio sul diaconato vorrei fare una prima riflessione.

Diacono vuol dire servitore. Domandiamoci però quale sia il servizio a cui il diacono è chiamato, tanto da essere segno di quello a cui è chiamata tutta la chiesa. Mi pare necessario precisarlo perché a volte, di questo servizio, si danno interpretazioni che rischiano di perdere di vista il significato vero del ministero a cui il diacono e l’intera chiesa è chiamata.

Dovrebbe dunque essere chiara una cosa: il servizio a cui il diacono è chiamato è sempre ed unicamente a Cristo Signore: a Lui che nasce e che cresce, a lui che predica e compie i miracoli, a lui che muore sulla croce, è deposto in un sepolcro e risorge vittorioso dalla morte. Significa aiutarlo a portare la sua croce, raccoglierlo esanime tra le braccia, deporlo amorevolmente nel sepolcro per annunciarlo risorto, predisponendo la mensa su cui Egli si dona come pane della vita.

Servire Cristo Signore però – qui sta il punto – è sempre anche servire con amore tutto il suo corpo di cui Egli è il capo, quel corpo fatto di membra concretissime e diverse. Non c’è mai dicotomia nel servizio del vangelo: si è chiamati a servire sempre e innanzitutto Cristo ma lo si fa concretamente servendo anche le pecorelle del Signore, soprattutto direi quelle che non appartengono al gregge o che si sono ferite, smarrite o perdute.
La celebrazione eucaristica è esattamente il momento in cui il mistero di Cristo e del suo corpo si rende evidente, si vive e se ne è sempre più partecipi: servendo al mistero eucaristico, il diacono serve Cristo Signore e, proprio per questo, nello stesso tempo si pone al servizio di quel corpo che Dio ha costituito come suo popolo. Non ci può dunque mai essere dicotomia tra celebrazione e vita: la celebrazione liturgica significa, alimenta e impegna la vita mentre la vita si feconda nella celebrazione liturgica del mistero pasquale.

La prima lettura di stasera che ci propone l’annuncio fatto da Pietro di Cristo Salvatore, l’annuncio cioè della salvezza in Cristo, è l’esempio di questo servizio apostolico del diacono e della Chiesa tutta. Ci fa capire che se servire il prossimo vuol dire si, come ha fatto Gesù, guarire i malati, sanare gli storpi e i lebbrosi, ridare la vista ai ciechi o dar da mangiare a chi ha fame, esso vuol dire anche annunciare Gesù Cristo morto e risorto come unico salvatore del mondo e annunciare in Lui la remissione di ogni peccato. Sempre con la chiara coscienza, come lo stesso Pietro ci dice nella sua lettera da cui è tratta la seconda lettura della Messa odierna, di essere dei salvati, gente a cui è stata usata misericordia e che quindi non può accampare diritti perchè tutto nella sua vita è grazia: “voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia”.

Lo stupendo brano evangelico ci richiama infine esso stesso al compito della chiesa nel mondo. Vi vedo adombrato anche quello del diacono. Questi, infatti, immagine di Cristo servo, è chiamato ad accompagnare gli uomini e le donne delusi e amareggiati, sconfortati dall’infrangersi sulla durezza della vita dei sogni di bene portati nel cuore, persone smarrite similmente ai discepoli di Emmaus. Come il divino maestro, il diacono è chiamato a farsi compagno di strada delle persone e a rincuorarle con l’annuncio della parola e la luce del vangelo, da offrirsi non dall’alto di un piedistallo di superiorità clericale ma in una fraterna compagnia che susciti alla fine in chi viene accompagnato, il desiderio di ascoltare ancora e di conoscere qualcosa di più sul destino della propria vita. Chiamato a far ardere il cuore di coloro a cui si accompagna, il diacono diviene segno dell’opera stessa della chiesa, chiamata appunto a farsi compagna di strada delle varie generazioni che si susseguono nel tempo, suscitando una commozione nel cuore che lo faccia ardere di speranza e aprire all’incontro con il Signore crocifisso e risorto.

C’è però una regola in tutto questo: che per primo cioè il diacono, come ogni cristiano, si sia fatto accompagnare lui stesso e si faccia accompagnare ogni giorno lui stesso dal Maestro che istruisce sul senso della vita, comunica il suo amore senza limiti e spezza il pane per lui. Solo da questo continuo camminare insieme a Gesù, la Chiesa trova la forza di essere annunciatrice della buona notizia del Regno di Dio e di servire ogni uomo e donna, specie i più poveri, nel nome del Signore. Solo da questa assidua frequentazione del divino e misterioso viandante, per cui ogni giorno il cuore arde nel petto, il diacono come ogni cristiano, potrà adempiere in modo autentico la propria missione a lode e gloria di Dio.

È questo che auguro con tutto il cuore a te stasera, carissimo Andrea e che auguro all’intera nostra chiesa pistoiese in sinodo.




Pasqua di Risurrezione – Veglia pasquale Sabato

Pasqua di Risurrezione

(Domenica 9 aprile 2023 – Cattedrale di San Zeno Pistoia)

Cosa cerchiamo tutti noi in fondo nella vita, carissimi fratelli e sorelle? Che cosa cerca ogni uomo e donna di questa terra, appartenga a un popolo o all’altro, sia ricco o indigente, acculturato o semplice?
Domande a cui forse non è poi così difficile rispondere se ci guardiamo appena un po’ dentro di noi. Cerchiamo felicità, star bene, in salute e avendo a disposizione dei beni per una vita dignitosa e libera; desideriamo libertà e pace ma soprattutto rispetto, attenzione, comprensione. Quello che vorremmo è di essere riconosciuti, amati, considerati; di stare a cuore a qualcuno che non ci tradisca e di cui ci si possa fidare; desideriamo di poter amare qualcuno ed essere nel contempo riamati. In una parola, potremmo dire che tutti gli uomini, tutti noi cerchiamo una vita piena, armoniosa, bella, affrancata dalla miseria e dalla fragilità, piena di amore donato e ricevuto.
Però, sta di fatto, che tutto poi alla fine si infrange nella ineluttabilità della morte che viene a spezzare ogni sogno, ogni legame, ogni prospettiva. E con la morte, le mille cose che ne sono un segno chiaro e ci rendono infelici: la violenza, le guerre, le malattie, gli odi, i rancori, le ingiustizie. Mille e mille bastoni fra le ruote vengono a far cadere i nostri sogni e più profondi desideri di bene. La vecchiaia macina gli anni e nessun trattamento estetico riesce a fermarla. La povertà segna disperatamente la situazione di vita di tanti e le ristrettezze economiche insidiano quella di molti altri.

Di fronte a tutto questo, si è escogitata una soluzione, si è individuata una via d’uscita che ha indubbiamente il suo fascino. La troviamo già ben espressa in antico da un formidabile poeta come Orazio: “carpe diem, quam minimum credula postero”; “Afferra cioè l’attimo che ti è dato e non attenderti granché dal domani”. Ripresa poi nel pieno rinascimento nel famoso componimento carnascialesco di Lorenzo il Magnifico: “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza”. Questa soluzione è la via dell’accontentarsi, senza farsi troppi problemi. La via rinunciataria che con il non pensarci, mira all’indifferenza, a farsi una corazza talmente spessa per cui ogni cosa ci passa sopra senza scalfirci più di tanto.

E la morte? Che avvenga rapidamente e senza dolore. Che neanche ci se n’accorga. Come si dice spesso: questa sarebbe la migliore morte. E se la vita si mette male, non risponde a ciò che ci aspettavamo oppure rimane ferita in modo troppo doloroso, perché prolungarla? Perché non concluderla lì, chiedendo solo di essere assistiti per evitare il dolore?

Questo modo di pensare ha sicuramente il suo fascino, come ho detto, perché, almeno all’apparenza, toglie il disagio e la sofferenza dell’amaro confronto tra le aspettative e i desideri e quello che invece la vita ci offre. Appare anche una soluzione nobile, perché accetta la vita così come è, cercando di fare il meglio possibile in ogni istante e accettando stoicamente che non ci sia un senso per la nostra esistenza. Come cantava qualche anno fa un noto cantautore italiano: “Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha… e se non ce là, domani arriverà lo stesso”. Perché arrovellarci il cervello e il cuore per tentare di risolvere una contraddizione che è impossibile risolvere? Meglio accontentarsi. Ma non lo dico in senso dispregiativo.

E’ una posizione anche dignitosa, lo ripeto, come l’esprime in un celebre aforisma un grande uomo come Tiziano Terzani: “Trovo che vi sia una bella parola in italiano che è molto più calzante della parola felice, ed è contento, accontentarsi: uno che si accontenta è un uomo felice”.

Il messaggio cristiano però è un altro. Va detto. La via, la soluzione cristiana è un’altra ed è esattamente quella che promana dal mattino di Pasqua e che noi oggi annunciamo al mondo: Cristo è risorto! È veramente risorto!
L’annuncio della Pasqua cristiana è tutto racchiuso dentro questo fatto reale e concreto ma affidato esclusivamente alla fede. Che cosa crediamo, in definitiva, noi cristiani? In qualcosa che sfida la stessa ragione e che può sembrare assurdo. Qualcosa che va contro la nostra evidenza quotidiana. Qualcosa che ci provoca e in qualche modo ci sfida ma che ci offre anche una prospettiva che da senso a tutta la nostra esistenza.

Gesù, uomo di Palestina che passò per le strade di quella terra operando guarigioni ed annunciando la venuta di un Regno non alla pari con quelli del mondo ma nuovo ed eterno; proclamatosi figlio unigenito di Dio venuto a cercare chi si era perduto, finì la sua vita terrena come un malfattore, appeso al legno di una croce. Aveva preannunciato questa sua morte, nell’umiliazione e nel disprezzo di tanti, ma aveva anche preannunciato anche qualcosa di inaudito e cioè che la morte non lo avrebbe tenuto prigioniero per molto tempo. Al mattino di un giorno dopo il sabato di 2000 anni fa, alcune donne trovarono il sepolcro dove era stato sepolto quell’uomo, vuoto. Di lì a poco, esse stesse e i suoi discepoli lo incontrarono, vivo di una vita nuova e splendente. Con i segni della passione subita sul corpo; non un fantasma, non un’idea, un’immaginazione ma una persona concreta, luminosa e bella ma palpabile, sperimentabile ai sensi, capace di toccare ed essere toccato, di condividere un pasto. Come aveva predetto, i suoi lo hanno incontrato e ascoltato ancora per quaranta giorni dopo i fatti della Pasqua, prima di chiudere definitivamente la sua presenza terrena e stabilirsi in una condizione di presenza diversa ma ugualmente reale. Tanto che noi crediamo essere qui anche stanotte in mezzo a noi, Signore della vita, vincitore della morte e di ogni cattiveria umana.

Una storia questa che ha certo dell’incredibile, ma che noi annunciamo ancora al mondo e alla quale noi crediamo con tutto noi stessi perché ci ha conquistato il cuore e ci ha fatto sentire che essa parla di me e di voi, di ogni uomo e donna della terra, offrendo ad ogni uomo o donna del mondo una prospettiva assolutamente nuova ma che corrisponde pienamente alle aspettative profonde del cuore umano.

Sì, perché quell’uomo Gesù, che noi crediamo essere Dio venuto sulla terra, morto e risorto, ci ha detto che la sua vicenda anticipa la nostra, che la vittoria sulla morte è anche per noi, che nessuna cattiveria, umiliazione o sconfitta potrà renderci impossibile la pienezza della vita, che i nostri desideri infiniti di felicità e di amore possono essere appagati. Ad una condizione però. C’è una condizione fondamentale: che cerchiamo cioè di vivere come Lui ha vissuto, con Lui, per Lui e in Lui. Se cerchiamo di vivere secondo la sua parola, secondo quanto ci ha insegnato, amando con piena generosità Dio e il nostro prossimo, cercando prima di tutto quel regno di giustizia e di pace che egli ha iniziato, dimenticando in poche parole noi stessi e il nostro io per ritrovarlo nell’amore donato senza aspettarsi contraccambio. Paradossalmente, Egli ci ha insegnato che la felicità che cerchiamo, la potremo raggiungere non cercandola ma impegnandoci per fare gli altri felici.

La risurrezione di Cristo da speranza agli uomini e alle donne che desiderano vivere in pienezza, dando un senso anche alle contraddizioni dell’esistenza. Non ci fa essere dei rassegnati, che si accontentano o si ubriacano dell’attimo che fugge, rendendoci indifferenti. Ci fa invece addirittura guardare in faccia la morte e chiamarla sorella. Anche quella cruenta che altri possono procuraci.

Chi nella storia ha ascoltato il Signore Gesù crocifisso e risorto, chi ha vissuto al suo modo, chi ha donato la sua vita per seguirlo nell’amore dei fratelli ma anche chi, non conoscendolo, ha seguito con sincerità la propria coscienza dove risuona la voce di Dio, sta qui oggi davanti a noi a testimoniarci la verità delle promesse di Cristo, mentre la luminosità e bellezza della loro vita, anche se ha conosciuto sofferenza e morte, rischiara la scena del mondo e da speranza all’umanità.




Messa Crismale 2023

Omelia per la Messa Crismale

(Mercoledì santo, 5 aprile 2023, ore 21 – Cattedrale di San Zeno Pistoia)

 

A pochi giorni dall’Eucaristia che ha segnato l’inizio del nostro Sinodo diocesano, ci ritroviamo qui per rendere grazie al Signore in quella che giustamente è ritenuta l’Eucaristia fontale della vita di Grazia dell’intera chiesa particolare. Dove massimamente si manifesta la presenza dello Spirito che ci unisce in popolo santo di Dio, munendoci dei segni sacramentali che operano la trasformazione dell’uomo in nuova creatura.

Tutto il presbiterio è convocato. Attorno al Vescovo, successore degli apostoli, insieme ai diaconi. Si visibilizza così la comunione dell’unico sacro ministero. Unitamente ai religiosi ed ai laici, secondo la diversità dei carismi, si rende evidente la variegata bellezza di quel popolo eletto che è adunato “nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo”.

È la “Messa degli oli” e con la loro consacrazione si comunica concretamente la misericordia divina che raggiunge ogni uomo per santificarlo e renderlo sacrificio di lode. Con l’olio dei catecumeni si fortificano coloro che ricevono il Battesimo contro lo spirito del male. L’olio degli infermi ci conduce invece accanto a chi soffre, a chi è affranto dalla malattia. Il più santo degli oli poi, il sacro Crisma, compie meraviglie consacrando col dono dello Spirito Santo quali veri figli di Dio e suoi testimoni i battezzati, segnando sulla fronte centinaia e centinaia di ragazzi, nel momento entusiasmante ed inquieto dell’aprirsi alla giovinezza.

Carissimi tutti membri del popolo santo di Dio, questa sera vorrei brevemente meditare con voi una verità alquanto paradossale ma che davvero ci scuote e ci commuove: Dio ha bisogno di noi. E’ una affermazione che ha dell’incredibile ma che esprime un fatto: Dio ha “voluto” aver bisogno di noi, dandoci così un segno mirabile del suo straordinario amore. Come nell’economia sacramentale la Grazia divina passa attraverso i segni del pane, del vino e dell’olio, e lo vediamo specialmente stasera, così Dio si serve di noi, si vuol servire di noi.

Poteva far a meno di noi? Certo. Avrebbe potuto far tutto da sè, ma non l’ha fatto. O meglio. Dio ha si compiuto tutto col suo amore e solo l’Unigenito Figlio di Dio, salendo sulla croce e risorgendo dal sepolcro, ha operato la salvezza del mondo. Come ci ricordava infatti la seconda lettura dal libro dell’Apocalisse.

Però, nello stesso tempo, Egli ha voluto coinvolgere gli uomini nella sua opera, ha voluto aver bisogno di noi facendoci suo popolo. E dentro questo popolo, ha voluto aver bisogno di noi presbiteri. Gesù ha costituito la chiesa come suo corpo. Attorno a sè ha radunato uomini e donne come suoi discepoli e amici. Ha chiesto loro di compiere i suoi gesti in sua memoria; ha dato loro un’effusione speciale dello Spirito per consacrarli e abilitarli ad agire in nome suo. Quello Spirito Santo che abbiamo sentito dalla prima lettura e dal Vangelo essere su Gesù per il compimento della sua missione di salvezza è stato riversato su tutta la chiesa ed in particolare sugli apostoli perché potessero continuare la sua opera.

Dio, dunque, si è per così dire affidato alle nostre povere mani e ci chiede con insistenza, ci ripete accoratamente: Io ho bisogno di te. Ho bisogno di voi, insieme. Ho bisogno delle tue mani, del tuo cuore della tua testa. Ho bisogno della tua voce, del tuo tempo, di tutto di te. Ho bisogno che siate una cosa sola, perché il mondo creda. Ne ho un bisogno assoluto, urgente.

Tutto ciò deve essere in noi, carissimi fratelli, convinzione profonda e sentita, motivo del nostro impegno e della nostra gioia, nostro onore e nostro vanto. Questa consapevolezza è anche ciò che guida i lavori sinodali e da senso all’impegno per essere una chiesa sinodale.

Ma non ce lo dice soltanto il Signore. Ci implorano anche i ragazzi, i giovani, gli uomini e le donne del nostro tempo. Ci implorano coloro che soffrono nel corpo e nello spirito e attendono speranza: i poveri, gli ultimi della terra, gli scartati del mondo, quelli che non trovano più un significato alla loro vita e sono disperati, che sono soli e sconsolati, che sono vittime innocenti e scandalizzati dalle ingiustizie e dalle cattiverie del mondo. Quelli che vivono nel peccato, lontano da Dio, gli indifferenti, i criminali, i senza Dio. Hanno bisogno di noi i giovani per districarsi nella selva delle proposte allettanti e spesso fuorvianti del mondo. Hanno bisogno di noi gli sposi per dare stabilita al loro amore, le coppie in crisi, gli anziani, i malati. Ne ha bisogno il mondo, lacerato dall’odio e dalla guerra.

Qualcuno forse potrebbe dire che in realtà tanti oggi non sembrano affatto chiederci aiuto. Sembrano indifferenti, se non ostili, alla proposta cristiana, alla chiesa, ai preti. Ed appare così, non c’è dubbio. Non dobbiamo però lasciarci trarre in inganno o lasciarci impressionare dall’apparenza. Anche al tempo di Gesù molti ebbero nei suoi confronti le stesse reazioni che noi riscontriamo. Non tutti applaudirono, anzi. Nè molti parvero aver bisogno di Lui. Molti restarono indifferenti senza dare l’impressione di capire la sete di Lui che portavano dentro. Eppure, di Lui ne avevano, eccome, bisogno! Così accade anche oggi, aldilà di ogni apparenza contraria, e noi dobbiamo saper andare avanti con fiducia, continuando a seminare a piene mani la Parola del Signore.

Qui si apre però, carissimi fratelli e sorelle, anche il campo della nostra responsabilità come chiesa, come popolo di Dio e come sacerdoti del Signore in particolare. Perché se Dio ha voluto aver bisogno di noi, noi, la nostra parte, per piccola che sia, dobbiamo cercare di farla nel migliore dei modi. E questo vuol dire cercare di essere uomini e donne dalla ricca umanità, capaci di dialogo aperto e maturo, formati e temprati dall’ascolto assiduo della sua Parola. Che la sanno annunciare fedelmente, esattamente così com’è stata consegnata nelle Sacre Scritture e nella Tradizione vivente della chiesa, perché dalla nostra vita traspaia il Cristo. E’ questo il compito della Chiesa nel mondo; la missione che Dio affida anche alla nostra chiesa di Pistoia e che con il sinodo vogliamo riscoprire e attuare nella gioia.

Il Signore innanzitutto e poi gli uomini e le donne del mondo, vorrebbero trovare in noi non dei supereroi ma persone che credono a ciò che proclamano, che insegnano ciò che credono e vivono ciò che insegnano. Persone vere e sincere, che comunicano Gesù Cristo con tutta la propria umanità toccata dalla Grazia e resa veicolo di amore autentico. Persone che sanno trasmettere il messaggio della salvezza, annunciando con gioia la verità sulla vita e sul suo destino.

Ben conosciamo naturalmente le nostre debolezze e fragilità, quelle in particolare di noi presbiteri. Capiamo benissimo quanto sia difficile morire a noi stessi, permettendo alla Parola di Dio di impregnare tutta la nostra umanità e di trasformarla in una umanità gioiosa capace di relazioni autentiche. Cosa che sarebbe assolutamente impossibile se trascurassimo la fedeltà alla parola del Signore, l’assidua frequentazione di Gesù nella preghiera, se non ci applicassimo a studiare con rigore e serietà la dottrina autentica della fede e quello che il Magistero della Chiesa afferma, se non sottoponessimo la nostra vita ogni giorno al vaglio del Vangelo e non ci lasciassimo docilmente guidare dallo Spirito Santo in un cammino di conversione e vita nuova.

Allora, come l’olio che stasera consacriamo sarà sparso per tutta la diocesi e serve all’opera della Redenzione del Signore, così noi – non dimentichiamolo mai – siamo mandati a portare ai poveri il lieto annunzio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore. Ma per far questo occorre che sappiamo dare spazio allo Spirito Santo dentro di noi.




Omelia per l’apertura del Sinodo Diocesano

Omelia per l’apertura del Sinodo Diocesano. V° Domenica di Quaresima anno A

(Cattedrale di San Zeno, 25 marzo 2023)

 

“Lazzaro, vieni fuori!”. Il grido a gran voce di Gesù squarcia le tenebre della morte e preannuncia la Pasqua.

L’amico è morto; è già nella tomba da quattro giorni e ogni speranza sembra totalmente persa. Invece quel grido cambia le carte in tavola: Lazzaro esce fuori dalla tomba, richiamato in vita dalla potenza dell’amore di Cristo. Di lì a poco Cristo stesso verrà catturato, processato e crocifisso. Morto, sarà anch’egli deposto in un sepolcro. Ma tra pochi giorni, nella notte della grande Veglia pasquale grideremo: Alleluia, Cristo è Risorto; Cristo nostra speranza è risorto; vittorioso sul peccato, su ogni male, sulla morte!

Ma il grido di Gesù, carissimi amici e fratelli, questa sera è rivolto a ciascuno di noi e alla nostra chiesa. Gesù ci vede bisognosi di salvezza. Bisognosi di uscire fuori dalle nostre paure e chiusure. Con il sinodo Diocesano, ci dice di alzarci, di risorgere a vita nuova, di intraprendere con coraggio la vita nella testimonianza del suo amore.

Il Sinodo diocesano è un atto d’amore del Padre per la nostra Chiesa. Un atto d’amore di Dio Padre per mezzo del Figlio unigenito, mediante una speciale effusione dello Spirito Santo. È un dono d’amore innanzitutto perché ci riunisce insieme, noi così tante volte dispersi e frantumati; perchè ci fa essere un corpo solo che voi sinodali ben rappresentate, investiti stasera dal soffio dello Spirito, per vivere giorni indimenticabili di unità e di speranza; è un dono d’amore perché ci insegna ad essere una chiesa sinodale che cammina insieme e insieme testimonia l’amore del Signore. È un dono d’amore, inoltre, perché ci invita a guardare avanti, verso gli altri, verso tutti gli uomini e le donne del nostro tempo e dei nostri territori, ai quali siamo inviati come debitori di amore e come testimoni che rispondono alle attese di Vangelo presenti nel cuore di tutti e della società. Ma questo sinodo è un dono d’amore di Dio anche per la nostra terra e per i suoi abitanti che possono incontrare una chiesa rinnovata, amica e più disponibile al servizio del Vangelo e quindi risorsa importante per il bene stesso di tutti.

Una cosa vorrei però che faceste attenzione: è un fatto che merita la nostra attenzione: il grido pieno di vita e di speranza di Cristo verso l’amico Lazzaro è preceduto dal pianto di Gesù. Raramente si ricorda nei racconti evangelici il pianto del Signore. Nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, si dice addirittura che Gesù “scoppiò in pianto”, commosso profondamente e molto turbato dalle parole piene di lacrime di Maria. Gesù piange per la morte dell’amico. Ma possiamo vedere in questo pianto qualcosa di simbolico che rimanda a Gesù che piange davanti alla città santa Gerusalemme, che non ha compreso la via della pace (Luca 19, 41-42) o a Gesù che piange ancora drammaticamente mentre suda sangue nella notte terribile del Getsemani. Il pianto di Gesù è dunque per la morte dell’amico ma soprattutto per quello che la morte significa: il peccato degli uomini.

Questa sera, allora, carissimi amici dobbiamo sapere che il Signore Gesù piange anche sulla nostra chiesa, su di noi, perché ci vede spesso morti o feriti mortalmente. A lui sono noti tutti i nostri peccati; Egli conosce le nostre divisioni, le nostre faziosità, le gelosie, le invidie; conosce i nostri tradimenti, le inadempienze della nostra chiesa; vede e conosce tutte le fragilità delle nostre parrocchie, la povertà della nostra fede, il nostro poco entusiasmo nell’annunciare il vangelo, la chiusura del cuore e della mente nei confronti dei fratelli e sorelle del mondo. Vede tutte le rughe della nostra Chiesa e piange. Il pianto sull’amico Lazzaro è stasera il pianto di Cristo anche su di noi, morti a causa delle nostre infedeltà. Ma è proprio per questo che Egli ci convoca in sinodo: perchè riconosciamo i nostri mali, li confessiamo e per essere da Lui perdonati e riprendere il cammino in novità di vita. E celebrando il nostro sinodo, noi sentiamo le lacrime di Cristo scorrere su di noi, per farci pentire dei nostri peccati e purificarci, lavandoci dalle nostre sozzure.

Non vorrei però che sfuggisse ancora un’altra circostanza nell’episodio narrato dal Vangelo; molto importante per completare la nostra riflessione di questa sera: il grido che richiama alla vita Lazzaro è preceduto dal pianto di Gesù ma questo è a sua volta preceduto e causato dal grande affetto di Gesù per Lazzaro e le sue sorelle Marta e Maria. Quella dei tre fratelli era infatti anche la casa di Gesù. Dove Egli spesso si è riposato dalle fatiche dell’annuncio del Regno. Lì ha trovato conforto, il calore dell’amicizia, la fraterna condivisione di un pasto tra amici. A loro aveva donato più volte la sua amicizia. Sottolineo questo fatto perché ci riguarda molto da vicino e dobbiamo esserne consapevoli, proprio nel momento in cui celebriamo il nostro Sinodo.

Cosa voglio dire? Che saremmo davvero degli ingrati e prima di tutto dei ciechi se ci fermassimo questa sera e durante la celebrazione del sinodo a guardare soltanto ai nostri mali in un lamento che non ha fine e che non è che sterile rimpianto che nasce dall’orgoglio. Innanzitutto, dobbiamo invece riconoscere l’amore che Dio ha mostrato a noi e alla nostra Chiesa. Dobbiamo piuttosto saper rendere grazie per quanto lo Spirito Santo ha operato e va operando in mezzo a noi. Lo Spirito infatti ha operato e suscitato ministeri e carismi, spinto alla conversione e compiuto meraviglie nei cuori di tanti di noi. Egli ci ha riempito di doni preziosi di santità, quella della porta accanto ma anche quella di figure eminenti e particolarmente significative; ci ha riempito di doni preziosi di carità feconda e gioiosa. Ne dobbiamo essere consapevoli e dire, con San Paolo: lo Spirito Santo abita in noi e ci dà la vita. Abbiamo alle spalle una storia nella quale, come in quella del popolo di Israele, non possiamo non riconoscere i magnalia dei, cioè gli interventi premurosi e teneri del Signore. Anche i suoi scossoni forti, ma sempre con la sovrabbondanza della misericordia e della sua tenerezza. Non siamo qui provenienti dal nulla. Abbiamo alle spalle un cammino di salvezza che di anno in anno ci ha condotto a conoscere il Signore e a sperimentare la grandezza del suo amore. Si, spesso siamo stati ingrati e peccatori. Ma ciò non toglie che dobbiamo riconoscere anche tutte le cose buone che ci sono in mezzo a noi, nelle nostre parrocchie, nelle nostre varie realtà, dono premuroso dello Spirito Santo. E un sinodo si fa anche per rendere grazie a Dio di quanto Egli ha fatto per noi, perché Egli ci ha condotto e continua a soffiare nelle ali della nostra vita e della nostra chiesa perchè siamo testimoni coraggiosi e fedeli del suo amore.

È proprio in questa scia di bene e di doni che si inserisce il nostro Sinodo, tenerezza dello Spirito, consolazione del suo soffio vitale. Siamone riconoscenti e viviamo questo sinodo che iniziamo oggi e che chiuderemo, a Dio piacendo l’anno prossimo, con impegno ma soprattutto con gratitudine. Ne usciremo una chiesa più sinodale, che cammina insieme e che, insieme, si fa attenta alle attese, alle gioie e alle angosce, alle sofferenze e alle speranze delle persone in mezzo alle quali vive.

Nell’ampia consultazione che ha preceduto questa prima sessione del Sinodo diocesano e che in parte ha trovato sintesi nello Strumento di Lavoro che oggi vi viene messo tra le mani come base del lavoro sinodale, sono emersi alcuni bisogni, alcune attese, alcune importanti aspettative dentro il cuore delle persone. Riconosciamo in tutto questo la voce dello Spirito. Attraverso i lavori sinodali questa voce si farà più chiara e capiremo ciò che lo Spirito dice alla nostra chiesa, quelle che sono le sfide principali da affrontare per essere chiesa fra la gente, ospedale da campo, tenda della fraternità che fa respirare già fin d’ora pezzi di cielo.

Mi pare che si possa allora concludere al meglio questa riflessione, riportando le parole della prima lettura tratta dal profeta Ezechiele, dove Dio stesso, rivolto a noi, chiesa di Pistoia, stasera ci dice: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò».

 




Conferimento ministeri dell’Accolitato e del Lettorato

Conferimento ministeri dell’Accolitato e del Lettorato
Festa del Battesimo del Signore (Cattedrale di San Zeno, 8 gennaio 2023)

 

La festa del Battesimo del Signore ci fa comprendere la missione redentrice del Verbo incarnato e conseguentemente, quella della Chiesa, suo corpo nel tempo della storia.

La missione redentrice del Figlio di Dio è manifestata con un gesto, senza tante parole. Poi c’è la conferma da parte del Padre. E’ però il gesto a parlare: Gesù scende nelle acque del Giordano come un peccatore e di fronte alla resistenza del Battista Egli insiste perché è con quel gesto che Egli fa capire che è venuto per prendere su di sè i peccati del mondo e aprire così all’umanità le porte del paradiso.

La discesa poi dello Spirito Santo su Gesù, come la voce del Padre, vengono a confermare quella che è la missione del Salvatore, espressione della volontà del Padre, sostenuta dall’opera dello Spirito: ridare speranza all’umanità peccatrice.

Col Battesimo inizia la vita pubblica di Gesù, la manifestazione in parole e opere del Regno presente nel mondo. Ma i tre anni della vita pubblica sono fondati sui 30 anni di vita nascosta a Nazaret. Con il Battesimo nelle acque del Giordano inizia la vita pubblica ma non l’opera della redenzione dell’umanità. Questa, inizia con l’incarnazione del Verbo e prosegue con i trent’anni della vita nascosta, dove il verbo di Dio ha semplicemente vissuto la vita umana nella sua ordinarietà, assumendola e santificandola.

Da questa festa odierna scaturiscono alcune considerazioni importanti circa il conferimento stasera dei ministeri dell’accolitato e del lettorato ad alcuni nostri fratelli, e per la prima volta anche a una donna, a Beatrice.

Innanzitutto, nella festa di oggi troviamo il senso dei ministeri: essi sono per la salvezza dell’umanità; sono espressione della missione di Cristo e della Chiesa che è quella di aiutare gli uomini a ritrovare la via della salvezza che li fa veri figli di Dio e fratelli veri gli uni degli altri. I ministeri istituiti esprimono la missione che però è di tutta la Chiesa nel suo complesso. Essi sono al servizio della missione di tutta la chiesa. Non assorbono cioè la missionarietà della chiesa, che resta di ogni battezzato, uomo o donna che sia; essi sono dati invece per l’animazione, il sostegno, la crescita di tutto il popolo di Dio. Non sono sopra il popolo ma in mezzo al popolo, per aiutarlo nella sua risposta al mandato missionario del Signore. Essi non sostituiscono il mandato di tutti né ne sono l’espressione più alta: sono invece al servizio, un servizio da svolgersi mai da sopra un piedistallo ma dall’ultimo posto.

Come dicevo, il Battesimo del Signore da inizio alla vita pubblica di Gesù, ma questa vita pubblica poggia sulla vita nascosta di Nazaret che ne è la base. Ecco la seconda cosa che la festa di oggi ci insegna. Il diventare accoliti o lettori da parte di laici, non può far dimenticare il fatto appunto di essere dei laici, immersi cioè dentro la vita ordinaria e quotidiana dei laici. Questa vita di tutti i giorni, vissuta nelle cose di tutti i giorni, dentro il lavoro, la famiglia, la società deve rimanere il primo e fondamentale campo di testimonianza cristiana. Essere accoliti o lettori non significa diventare uomini o donne di “sagrestia”, separati cioè o distaccati da quella quotidianità dell’esperienza umana che è la vita di un laico. Tutto al contrario, significa portare dentro il servizio ministeriale primariamente la propria condizione di vita laicale vissuta nel mondo.

Infine, la festa di oggi ci richiama al dono dello Spirito, fonte di ogni ministero nella chiesa. L’effusione dello Spirito Santo su Gesù al momento del Battesimo evidenzia che questa missione è divina, è opera di Dio e non si può svolgere che nello Spirito. Così ogni ministero nella Chiesa, come ogni carisma, nasce dallo Spirito Santo, è una fioritura dello Spirito per l’utilità comune e non si può esercitare che nella docilità allo Spirito Santo, attingendo sempre nella preghiera al suo calore e alla sua luce. Ciò è evidente nel ministero ordinato che è conferito da un sacramento. Ma anche nei ministeri istituiti opera lo Spirito di Dio e non possono esercitarsi in definitiva che in riferimento al dono dello Spirito. In essi non sono le nostre capacità che vengono esaltate: è invece il dono dello Spirito che ci rende capaci di svolgere al meglio il ministero. Per questo, ogni ministro deve invocare continuamente il dono dello Spirito e lasciarsi plasmare dal suo soffio vitale, senza mai perdere questo riferimento “dall’alto” del compito che gli è affidato.

Ecco allora che con il cuore pieno di gratitudine al Signore, ci possiamo avviare al conferimento dei ministeri di lettori ne accoliti ai nostri fratelli e sorelle.

 

 




Epifania (6 gennaio 2023)

Epifania
(Cattedrale di San Zeno, 6 gennaio 2023)

 

Nella grotta di Betlemme si è manifestata la Gloria del Signore.  Nel piccolo bambino, si è resa visibile la Vita stessa. Dio Onnipotente si è manifestato come l’amore che non ha paura della debolezza della creatura, per riscattarla da morte ed aprigli la strada della figliolanza divina. Si è rivelato, si è fatto conoscere Dio stesso, e noi abbiamo contemplato la sua Gloria.

Ecco l’Epifania, carissimi fratelli e sorelle.

Epifania significa appunto manifestazione. Manifestazione di Dio e del suo amore per noi, della sua gloria, nascosta nella carne del bambino di Betlemme. Manifestazione che è anche illuminazione, luce che brilla nelle tenebre, luce che rischiara la vita degli uomini:

“alzati, rivestiti di luce, – ci ha detto il profeta Isaia nella prima lettura poco fa – perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore”

La manifestazione di Dio è tale nella fede, però. Gli occhi del corpo continuano a vedere la pochezza di un piccolo bambino. Non vedono la magnificenza della gloria, le vesti del re. I Magi, di cui parla il Vangelo, cercavano il Re dei Giudei, ma non trovano che un piccolo bimbo avvolto in fasce. Inginocchiati però l’adorarono ed offrirono i doni che avevano portato con sé. Il loro è un atto di fede, che supera quanto gli occhi del corpo vedono, quello che i sensi sperimentano. Vedono un bambino e riconoscono il Re. Vedono un piccolo e riconoscono l’onnipotente Dio. Vedono un esserino povero e bisognoso di tutto e riconoscono il salvatore del mondo.

E’ nella fede dunque, che anche noi siamo chiamati ad accostarci al mistero del Dio fatto uomo.

Rinnoviamo allora quest’oggi, fratelli e sorelle, la nostra fede. Crediamo con tutto il cuore, aldilà di quello che ci dicono i nostri sensi e la nostra stessa ragione. Crediamo che Dio è davvero venuto in mezzo a noi 2000 anni fa, veramente tra noi; ci ha visitato e si è fatto uno di noi, per dare salvezza a ciascuno. Crediamo con tutto il cuore alla verità strabiliante del Natale, all’incarnazione di Dio, alla sua presenza nella storia dell’umanità, e che questa presenza è precisamente Gesù di Nazaret, quel Gesù che i vangeli ci raccontano, di cui ci viene presentata la vita, e che muore per noi e risorge il terzo giorno.

In questa fede camminiamo, in essa viviamo, operiamo, con coerenza e impegno fino alla morte.

Ma nella grotta di Betlemme Dio non si è semplicemente fatto conoscere come a colmare una nostra curiosità, o solo per affermare, per così dire, la sua presenza. No. Nel mistero del Natale Dio si è manifestato per tutto quello che è, cioè Amore, si è manifestato allora anche con tutto il suo progetto d’amore, col suo progetto riguardo all’uomo, a ciascun uomo e a tutta l’umanità.

A Natale si è manifestato quindi che Egli è venuto per chiamare tutti gli uomini alla vita piena, perché li vuole tutti salvi dalla morte, vuole fare di tutta l’umanità, di tutti i popoli, di tutti gli uomini e donne della terra una sola, grande famiglia che si ama, un solo grande popolo di fratelli che sanno riconoscersi, volersi bene, rispettarsi e accogliersi, amarsi profondamente. Egli, a Natale si manifesta come luce per illuminare tutte le genti.

Ci dice San Paolo nella seconda lettura di stamani: “Questo (è il) mistero ….. (che) al presente è stato manifestato ….: che i Gentili (cioè anche i non ebrei, i non appartenenti al popolo eletto, tutti, insomma) sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo.”

E l’episodio significativo degli uomini d’oriente, chiamati magi, di cui parla il vangelo di oggi, di uomini che non appartengono al popolo d’Israele ma che, movendosi da lontano, giungono alla casa di Maria e Giuseppe ed adorano il Signore, esprime emblematicamente l’universale chiamata di tutti gli uomini, di ogni etnia e cultura, di ogni lingua e nazione, di ogni tempo e di ogni luogo, a formare un solo corpo, una sola famiglia riunita nell’amore.

Tutti, nessuno escluso, sono amati dal Signore. Per tutti, nessuno escluso, Dio si è fatto uomo, per tutti, nessuno escluso Gesù è morto ed è risorto. Nel progetto di Dio che si manifesta a Natale, nella grotta di Betlemme, nella scena dell’adorazione dei magi, non c’è quindi posto, non ci può essere posto per alcuna forma di razzismo, di discriminazione, di emarginazione, di privilegio per pochi ad esclusione di altri. Non c’è posto per visioni nazionalistiche dei popoli, visioni ristrette e discriminatorie. Non c’è posto per modi di vedere che dividono gli uomini per categorie e li selezionano in classi. Non c’è posto per scontri di civiltà, né per muri di divisione o separazione, né per barriere e confini tra chi è dentro e chi è fuori, né per guerre sempre fratricide. In questo progetto di Dio non ci sono stranieri e forestieri, né extracomunitari, né immigrati, perché tutti sono chiamati ad esser figli del re, figli di Dio altissimo, figli di un solo padre che ama tutti infinitamente. E, se figli, anche fratelli, diversi, certo, diversissimi per carattere e aspetto, ma fratelli veri con la stessa dignità di esseri umani, creati a immagine e somiglianza di Dio.

E la chiesa di questo progetto di Dio sull’umanità è segno bellissimo e anticipatore. E’ il motivo della sua presenza nel mondo. Pur con tutte le ombre dei suoi membri peccatori, la Chiesa di oggi, sparsa in tutto il mondo, coacervo di ogni lingua, cultura, etnia, è “segno” dell’unità di tutto il genere umano; un piccolo segno se volete, ma reale, profetico ed anticipatore che però deve brillare sempre di più nella scena del mondo, attraverso la testimonianza dei credenti. E noi oggi intendiamo dar lode al Signore e rivolgerci a Lui con gratitudine perché lo rende possibile e perché che ce ne ha resi partecipi aggregandoci alla sua santa chiesa.