Museo Diocesano Palazzo Rospigliosi

 

Nella Ripa del Sale, lo sdrucciolo che separa la Cattedrale dal Palazzo del Comune, sul lato della chiesa, si trova Palazzo Rospigliosi; il palazzo, nacque alla metà del XVI secolo per volontà di Giovan Battista Rospigliosi, detto Bati, che accorpò vari fabbricati preesistenti, nell’area della prima cinta muraria cittadina. L’elemento architettonico più significativo della facciata, perfettamente in linea con i modelli del tardo manierismo fiorentino, è costituito dal portale d’ingresso che, sormontato dallo stemma dei Rospigliosi, si apre sulla via con un’elegante scala a doppia rampa.

Percorso il corridoio d’ingresso nel quale troneggia un antico stemma della casata, in legno dipinto, si sale al primo piano dell’edificio dove a destra si ha l’ingresso a due distinte, se pur contigue, unità museali: il Museo Clemente Rospigliosi e il Museo Diocesano.

Museo Clemente Rospigliosi

La famiglia di Bati Rospigliosi, confluita poi nei Sozzifanti, che dal 1831 ne acquisirono il cognome e l’eredità, conservò sempre la sua residenza in questo edificio, che l’ultimo discendente, Clemente, morto nel 1981, lasciò per testamento alla Cattedrale di Pistoia con l’onere di destinare in perpetuo a Museo l’appartamento denominato di Papa Clemente IX (1667-1669). È questo l’appartamento situato al piano nobile che conserva, praticamente intatto, il sontuoso arredo seicentesco che si vuole sia stato allestito per ospitare degnamente il papa pistoiese, al secolo Giulio Rospigliosi (1600-1669), di passaggio in città; tale soggiorno nel palazzo non è però documentato e sembra improbabile poiché il ramo della famiglia da cui discendeva il pontefice aveva la propria residenza in un’altra zona del centro cittadino, in via del Duca. Certo è che le quattro sale che si aprono allo sguardo del visitatore mostrano una notevole ricchezza e cura nell’omogeneità dell’arredo seicentesco, con mobili elaborati, preziose suppellettili e una pregiata raccolta di dipinti, il tutto conservato tra le pareti tappezzate di damasco, i soffitti a cassettoni e gli affreschi del sei-settecento che decorano in alto le sale. La visita dell’appartamento ci fa conoscere il gusto e le preferenze artistiche di una committenza nobiliare che, pur sentendo l’influsso di Roma e di Firenze, si manteneva legata alla produzione di artisti locali, come si evidenzia nel più cospicuo nucleo della quadreria costituito dalle tele eseguite del pittore pistoiese Giacinto Gimignani (1606-1681).

Nella raccolta mancano invece dipinti antichi, ad eccezione della tavola con I Progenitori, del terzo decennio del XVI secolo, attribuita a Fra Paolino, e della tela con Betsabea al bagno, di Sebastiano Vini, della seconda metà del Cinquecento.

La sala d’ingresso, nella quale campeggia un grande lampadario in ferro battuto a diciotto luci, conserva oltre ad alcune armi da fuoco del XVIII-XIX secolo, a quattro busti in marmo del XVII secolo e a quattro ritratti di cavalieri qui pervenuti dalla famiglia Cellesi alla metà dell’Ottocento, alcune delle tele più significative della produzione del Gimignani come Giuseppe e la moglie di Putifarre, del 1654 e altre con soggetti tratti dalla mitologia (Ercole che libera Esione e Alfeo e Aretusa) o dall’Antico Testamento (Adamo ed Eva con Caino e Abele; I fratelli mostrano la veste di Giuseppe e Giuseppe spiega i sogni al Faraone).

La visita prosegue con due salotti con consolle dorate, stipi preziosi e cineserie, le pareti occupate da numerose tele con altri episodi ispirati alla mitologia e alla Bibbia, si tratta di opere del Gimignani e di esponenti del Seicento fiorentino, come Jacopo Vignali (1592-1664), Lorenzo Lippi (1606-1665) e Felice Ficarelli (1605-1669). Nel secondo salotto, quello d’angolo, è da notare il Ritratto di papa Clemente IX, entro una monumentale cornice a racemi dorati sormontata da una corona. Nello stesso ambiente si trova anche una dipinto raffigurante la Morte di Germanico, giunto alla collezione dopo il 1828, in precedenza era in casa Bracciolini proveniente dalla famiglia Puccini; secondo la tradizione l’opera sarebbe stata eseguita a Roma da Nicolas Pussin (1594-1665) che vi replicò un soggetto già eseguito per i Barberini, tra il 1626 e il 1628, e lo inviò alla famiglia Puccini in ringraziamento dell’assistenza a lui prestata quando, passando da Pistoia durante il suo primo viaggio in Italia, vi si era ammalato.

Si passa infine alla camera del Papa dove colpisce il grande letto a baldacchino in damasco rosso sormontato da un cartiglio a motivi vegetali fiancheggiato da due putti che reggono una corona ducale; è questo il letto in cui avrebbe dormito il pontefice durante il suo soggiorno pistoiese.

Museo Diocesano

Nei locali attigui alle sale monumentali da alcuni anni ha trovato idonea collocazione il Museo Diocesano, ove sono esposte opere provenienti dalle chiese della Diocesi di Pistoia; vi si ammirano arredi liturgici e paramenti sacri oltre a dipinti di scuola pistoiese. La consapevolezza che gli oggetti d’arte sacra sono testimonianze insostituibili di civiltà, particolarmente esposti al degrado e al furto, anche per l’impossibilità di avere clero residente in tutte le chiese, in particolare in quelle extraurbane, da anni ha spinto a raccogliere gli oggetti più significativi e preziosi e quelli a maggior rischio, in una sede unica; tale azione si è resa indispensabile proprio per la salvaguardia delle opere, pur nella consapevolezza che la musealizzazione di oggetti di culto, tolti dal proprio contesto originario, fa perdere loro l’identità storica e la sacralità che ne sono gli aspetti connotativi, per diventare solo testimonianze di un passato che senza gli opportuni strumenti può essere difficile da comprendere.

Agli oggetti ritirati dalle chiese fu dato un primo ordinamento nel 1968, anno di istituzione del Museo Diocesano, in alcune sale del Palazzo Vescovile, in via Puccini. Una sede più idonea, per fruibilità e area espositiva, è stata poi trovata negli spazi attuali dove insieme ad un nucleo stabile di oggetti, se ne alternano altri secondo le necessità del momento. Il museo quindi mostra non solo i pezzi più raffinati del patrimonio diocesano, testimonianza significativa della qualità artistica assai alta delle opere diffuse nel pistoiese, ma offre anche la possibilità di seguire il mutare dello stile attraverso i secoli nei differenti oggetti destinati alle esigenze di uso, di culto e di decoro della comunità ecclesiale.

Esempio di tale evoluzione si può avere osservando le preziose croci astili, le più antiche sono di ambito umbro-toscano, in bronzo dorato e risalgono al XII-XIII secolo; una proviene dalla chiesa cittadina di S. Michele in Cioncio, è graffita su ambo i lati, sul recto vi era applicato il Cristo, alle quattro estremità vi sono incise la figure del Dio Padre (in alto), della Madonna (a sinistra) e di San Giovanni (a destra), in basso è la raffigurazione simbolica della Resurrezione; sull’altro lato sono incisi la figura del Cristo morto e, nelle terminazioni, i quattro Evangelisti. L’altra croce viene da S. Pietro ad Albiano (Montemurlo), in essa si conserva la figura a tutto tondo del Cristo rappresentato con notevole espressività, secondo l’iconografia del “Christus Triunphans”, cioè vivente, trionfante sulla morte; anche in questo caso le terminazioni sono decorate con le figure di Maria e degli Evangelisti, secondo lo schema decorativo che perdurerà per secoli nelle croci astili. Legato alla produzione di Limoges, della seconda metà del ‘200 è la croce di S. Michele a Baggio, in bronzo con tracce degli originari smalti, anche qui il Cristo è applicato, rappresentato vivente e incoronato. Databile verso il 1370-1380 è la croce processionale in argento della chiesa dei SS. Maria e Biagio a Piuvica, che nelle forme richiama lo stile dell’orafo Piero d’Arrigo Tedesco che nel decennio successivo lavorò anche all’altare di San Jacopo. Al secolo XV risalgono le croci in argento delle pievi di Vinacciano (1420) e di Valdibure, nonché di Faltognano (Vinci) e di Serra Pistoiese (Marliana). Mentre alla prima metà del ‘500 si data la bella croce in argento parzialmente dorato di Masiano che nel modellato si collega alle forme più elaborate tipiche del manierismo fiorentino.

Altre suppellettili liturgiche che meritano una particolare attenzione per il mutare delle tipologia decorativa nel tempo sono i turiboli, in essi le forme stilizzate evocanti architetture, del XIV e XV secolo, vanno sempre più caratterizzandosi per l’andamento sinuoso, a motivi vegetali. Una parte a forma emisferica lobata poggiante su un gambo conico e una parte superiore vagamente piramidale con sfaccettature che seguono la sezione lobata di quella inferiore caratterizzano il turibolo del XIV secolo proveniente dalla chiesa di Crespole (Piteglio). Stessa datazione hanno anche gli incensieri che vengono da Faltognano, in rame dorato, a forma di tempietto gotico cuspidato, con aperture a trifore, trilobi e monofore, e quello di Vitolini (Vinci), traforato con motivi geometrici e terminante con una cuspide. Maggiormente elaborati sono i turiboli del ‘400, come quello di S. Maria a Colle, a forma di edicola gotica in cui alle trifore aperte si alternano tabernacoli incisi; con struttura ancora più complessa è quello proveniente da Spazzavento, che ricorda un piccolo fortilizio, la parte superiore infatti è poligonale e su due piani ha torri angolari e aperture a quadrifore e trifore. Anticipa già le forme tipiche del secolo successivo il turibolo del 1596 di Masiano, qui il corpo si fa bombato e la parte traforata è decorata a palmette e foglie. I calici più antichi presenti nel Museo sono del XV secolo, ancora legati alla tipologia gotica, in rame dorato; hanno il piede polilobato e il gambo esagonale, l’elemento maggiormente decorato è il nodo che, leggermente schiacciato, reca smalti o incisioni. Si vedano ed esempio quelli provenienti da Pian degli Ontani (Cutigliano), da S. Maria a Colle (Quarrata) e da Collegonzi (Vinci) nei quali l’uso di smalti arricchisce la decorazione del gambo e del nodo.

Nei secoli successivi le forme si fanno più arrotondate e sinuose, la decorazione del piede, che tende ad arrotondarsi, del nodo, che diventa piriforme, e del sottocoppa aumentano progressivamente di esuberanza arrivando ad assumere carattere scultoreo, si vedano i tre esempi di oreficeria settecentesca rappresentati dai calici in argento sbalzato provenienti dalla chiesa di S. Giovanni Fuorcivitas, con festoni, cartigli e volute. Insolito per il territorio toscano è invece il calice, del XVIII secolo, in filigrana d’argento e cristalli colorati.

Nel Museo Diocesano sono esposti molti dipinti di scuola pistoiese fra cui la Madonna in trono, opera su tavola della prima metà del Trecento, da Faltognano e alcune Sacre Conversazioni fra cui quelle di Bernardino del Signoraccio (1460-post 1532) provenienti da S. Felice, da Saturnana e da Porciano, caratterizzate dal disegno netto e dai colori squillanti. Interessante anche lo stendardo a due facce con l’immagine della Madonna dell’Umiltà, opera del Sollazzino (1460 c.-1543), su un lato e quella di San Giuseppe realizzata dallo Scalabrino (1489-1561) sull’altro. Tra gli altri oggetti del Museo vanno inoltre segnalati lo scrigno in rame dorato con quadrilobi con smalti traslucidi, della chiesa di S. Stefano a Serravalle, opera di alto livello artistico legata all’ambito senese del Trecento, e un altro cofanetto, molto più piccolo, con figure a rilievo in avorio realizzato dalla bottega degli Embriachi nella prima metà del Trecento: nato per uso profano fu successivamnte adattato per contenere gli olii santi.Vi sono inoltre due sculture in terracotta, una dipinta, del 1460-1670, raffigura una dolce Vergine orante, l’altra rappresenta S. Rocco ed è un tipico esempio dell’arte robbiana cinquecentesca.

L’esposizione comprende anche esemplari di tessuti e parati sacri, in particolare due pianete, una rosa e una azzurra, hanno decorazione bizzarre (unione di decori astratti e motivi vegetali) dell’inizio del XVIII secolo.

Completano il Museo opere di artigianato ligneo a carattere religioso come i busti reliquiario della chiesa di S. Alessio in Bigiano, curiosità come le lastre in rame per stampare le immaginette sacre del XVII-XVIII secolo; e poi carteglorie, navicelle, ostensori e lampade pensili in argento, reliquiari, pissidi, messali, nonché un frammento architettonico in marmo con decorazione a smalti ambrati che formando un motivo a labirinto rimandano all’epoca gotica e ne fanno un interessante esempio di questa tecnica decorativa.

Dott.ssa Lucia Cecchi
Direttore Ufficio Beni Culturali
Diocesi di Pistoia

*Articolo tratto da Toscana Oggi online