MARTEDI 5 GENNAIO DUE NUOVI SACERDOTI

Martedì 5 gennaio, alle ore 18, presso la Cattedrale di San Zeno di Pistoia Mons. Fausto Tardelli celebrerà la Santa Messa della Solennità dell’Epifania con il rito dell’ordinazione presbiterale di Don Gildas Sangou d’Aquin e di Don Ugo Feraci, diaconi seminaristi della Diocesi di Pistoia.

Abbiamo incontrato entrambi per conoscere i loro sentimenti e i loro pensieri ormai in prossimità dell’ordinazione presbiterale.

Gildas: Il 5 gennaio è la vigilia dell’Epifania del Signore, cioè la vigilia della manifestazione del Signore al mondo. La celebrazione di questa festa nella nostra diocesi ha un altro sapore, perché la chiesa pistoiese avrà in dono dal Signore due nuovi sacerdoti. Per me è una grande gioia e una grande emozione. Questo significa per me che il Signore non si manifesta solo ai potenti o ai sapienti o ai forti della terra, ma si manifesta anche ai deboli come me. Forse il Signore fa questa scelta per confondere i forti, forse perché sa lavorare anche con mezzi insufficienti. Non merito di arrivare dove sono arrivato senza la sua grazia.

Diventerai sacerdote proprio nell’anno Santo della Misericordia voluto da papa Francesco. Che significato ha per te questa circostanza?

Gildas. È una gioia immensa e una grazia particolare che non capita spesso nella vita. Abbiamo questa grazia e ringraziamo il Signore per questo. Sono contento doppiamente perché l’anno Santo ha avuto inizio nella mia terra di origine, con l’apertura della porta Santa a Bangui nella Repubblica Centrafricana per mano di papa Francesco. Una terra martoriata dalla violenza, dove avevano anche sconsigliato al papa di andare. Eppure il papa è voluto andare lo stesso per condividere la sofferenza di questo popolo abbandonato a sè stesso. È un evento che mi sembra non abbia precedenti nella storia della Chiesa, per questo mi vieene da dire: “grazie Francesco”. Pensare all’anno della misericordia per me significa guardare il corso della storia in modo diverso, con occhio diverso, cioè con l’occhio della fede. Significa non guardare sempre le cose in negativo. L’anno della misericordia è un anno di speranza per un mondo nuovo che ciascuno di noi deve impegnarsi a costruire in diversi luoghi: in famiglia, sul luogo di lavoro e anche a Scuola. L’anno santo ci permette di costruire un mondo di pace, di amore fraterno; è un momento di grazia che Dio concede ai suoi figli perché si riconcilino tra di loro e con Lui.

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Il vostro cammino è un bella esperienza di fede; anche una bella testimonianza che può fare nascere altre vocazioni. Che cosa puoi dire ai giovani che si stanno mettendo in cammino verso il sacerdozio o a coloro che esitano?

Gildas. Il nostro cammino può essere una bella testimonianza per gli altri, così come lo è la testimonianza di tanti sacerdoti della nostra diocesi che lavorano nel silenzio, alcune volte anche in condizioni difficili, senza cercare visibilità attraverso i mass media. Questi sacerdoti sono vicini a coloro che soffrono, aiutano ogni giorno tante persone e questa è una bella testimonianza che può far nascere delle vocazioni. Siamo tutti al servizio del Signore, ma serviamo il Signore attraverso gli uomini. La sequela di Cristo è fatta di momenti di esitazione, di dubbi: questo è normale. La cosa più importante in tutto questo è abbandonarsi nelle Sue mani.

In questo momento, in un mondo sordo al linguaggio dell’amore sarà possibile attuare una pastorale a tutto campo che possa porre attenzione agli scartati, a coloro che hanno maggiormente bisogno?

Gildas. Non penso che il mondo sia così sordo al linguaggio dell’amore. Si parla di amore ogni giorno alla televisione, nei giornali, alla radio. Secondo me il problema è sapere di quale amore si parla. È l’amore che ha il suo fondamento in Cristo? Perché l’amore dell’interesse non è amore; l’amore non è sfruttare l’altro, ma è avere compassione dell’altro, gioire con l’altro nei momenti di gioia e condividere con l’altro i momenti di dolore. Secondo me non c’è bisogno di attuare una nuova pastorale a tutto campo per porre attenzione agli scartati, perché nella Chiesa abbiamo tutto quello che ci serve per essere vicino all’altro non solo materialmente, ma anche spiritualmente. Basta fare quello che facciamo nella Chiesa, nelle parrocchie con fede e amore, mettendo Cristo al centro di ogni cosa e non l’interesse personale.

Secondo te il valore della testimonianza della fede oggi è importante?

Gildas. Il mondo di oggi ha bisogno della testimonianza perché è assettato di Dio, perché tutte le novità di oggi non riescono a saziare l’uomo, la ricchezza e altre cose non riescono a colmare il vuoto che è in noi oggi. Per questo c’è bisogno di una testimonianza vera.

In questo anno, grazia al Giubileo, ci sarà una riscoperta del sacramento della riconciliazione e quindi voi tutti sacerdoti sarete impegnati all’ascolto e alla confessione dei fedeli. Che cosa rappresenta questo sacramento nella vita di un sacerdote?

Gildas. Il sacerdote è il testimone della riconciliazione tra Dio e il suo popolo. Penso che è una bella esperienza, che fa nascere la fiducia e l’amore in ogni credente. È sempre bello assistere alla riconciliazione di un figlio con il suo babbo. La confessione è una riconciliazione che passa attraverso il mistero della Chiesa.

Nel tuo cammino di fede e di formazione quale è la figura di prete o di santo che ti ha particolarmente colpito?

Gildas: mi ha sempre colpito la semplicità di tanti preti nello svolgimento del loro ministero. Nella mia vita, inoltre, mi ha sempre colpito la figura di Papa Giovanni Paolo II e ultimamente quella di papa Francesco.

Che messaggio vorresti dare?

Gildas. Vorrei solo dire grazie a questa bella città che è Pistoia e che mi ha accolto come suo figlio. Un grazie a tutte le persone che mi hanno dato una mano e mi hanno aiutato ad essere quello che sono, cioè un discepolo di Cristo. Grazie alla diocesi di Pistoia!

Insieme a Gildas il 5 gennaio diventerà sacerdote anche Ugo. Entrambi sarete ordinati nell’anno giubilare della Misericordia. Che significato ha per te vivere l’ordinazione sacerdotale in questo momento?

Ugo. In primo luogo mi viene da pensare che il Signore ha usato davvero misericordia nei miei confronti. E mai si stanca di “recuperarmi”, di donarmi la forza del Suo amore. Come prete dovrò essere tramite della misericordia di Dio. Soltanto a scriverlo mi fa un certo effetto. Però mi ripeto spesso che si è misericordiosi non perché più bravi o portati per storia personale e carattere, ma proprio perché ci è stata usata misericordia. Si può essere misericordiosi come il Padre, perché abbiamo fatto esperienza della Sua misericordia. Questo vale certamente per tutti, ma soprattutto per un prete. Ogni suo gesto (specialmenti quelli legati ai sacramenti), ogni sua parola (ma soprattutto quelle della Scrittura e della predicazione), infatti, possono aprire la porta della misericordia, condurre gli uomini al contatto con Dio. L’esistenza del sacerdote assume dunque una densità straordinaria, è aperta ai doni della santificazione, alla consapevolezza del perdono da accogliere e comunicare, costantemente condotta, attraverso la ripetizione del sacrificio eucaristico e delle preghiere, a scoprire e testimoniare il volto misericordioso di Dio. C’è -mi domando- qualcosa di più bello?

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In questo momento in un mondo sordo al linguaggio dell’amore sarà possibile attuare una pastorale a tutto campo che possa porre attenzione agli scartati, a coloro che hanno maggiormente bisogno?

Ugo. Non credo che il mondo oggi si più sordo di prima al linguaggio dell’amore. Certi limiti attraversano tutta la storia dell’uomo. Di fronte alle tante difficoltà del nostro tempo vorrei fare una considerazione un po’ più ampia. Oggi si parla molto di “formazione”: umana, intellettuale, pastorale, etc. La complessità del nostro tempo chiede tutto questo, ed evidentemente l’esigenza di prepararsi bene nasce dalla consapevolezza di non avere sempre le risposte o gli strumenti di analisi adeguati. Ho l’impressione però, che talvolta, anche per chi è indirizzato al sacerdozio, si presenti un’idea rimpicciolita di formazione, spesso limitata al fatto di acquisire alcune nozioni specifiche. Mi ha impressionato la richiesta di un adolescente a un caro amico oggi diacono, già insegnante di religone: “Prof, come si diventa sapienti?”. Mi pare che la questione sia decisiva, perché la crisi di una sapienza necessaria alla vita è un vero e proprio dramma sperimentato della mia generazione e da quelle di poco precedenti o successive. Le difficoltà maggiori, fuori ma anche dentro i seminari, si misurano spesso, infatti, sulle questioni più elementari: come si ama, come si lavora, come si vive il tempo e la vita in solitudine o in comunità, come si costruisce nella pazienza, come si soffre, come si impara a desiderare ciò che è davvero importante. Chi si avvicina ad un prete vive, molto spesso, una sete terribile di questa sapienza. Ora la sapienza della fede diventa sempre più necessaria, perché è una vera e propria sapienza per la vita.

Spesso mi domando se saprò mai rispondere a questa sete. Anche io, in fondo, non sono diverso dalla mia generazione. Posso consolarmi pensando che la sapienza di cui parla Gesù è sapienza ispirata, che viene dall’alto, che Lui stesso ci dona. La sua sapienza non è assimilabile a quella del mondo, ma è qualcosa di più, una novità che non passa, un segno di contraddizione: è Lui in persona. Il tempo di Avvento ci ha parlato, nella prima delle antifone in “O” di questa sapienza: “O Sapienza, che esci dalla bocca dell’Altissimo,/ ti estendi ai confini del mondo, e tutto disponi con soavità e con forza./ Vieni, insegnaci la via della saggezza.”

In questi anni hai fatto l’eperienza di stare vicino ai disabili come ha segnato la tua vita e la tua vocazione?

Ugo. Credo che proprio i più piccoli siano dei veri maestri di sapienza. In primo luogo perché la sofferenza insegna tante cose. Stare a contatto con i poveri e con i piccoli permette di scoprire la sapienza di cui abbiamo tanto bisogno. Per accogliere questa sapienza dobbiamo sempre avere presente Gesù crocifisso e risorto per noi. Dai piccoli, e specialmente dai disabili, impariamo che la sua sapienza non è nè triste, né malinconica, ma luce gioiosa per gli uomini. Chi li contempla con fede misura la verità del Vangelo.

Quanto alla mia esperienza non ho fatto molto più di altri, anzi. Però il Signore è stato sovrabbondante di grazia con me. Io ho provato soltanto a rendermi disponibile e quando il Signore chiama ..trascina. I ragazzi della Fondazione MAiC mi hanno trascinato con la loro preghiera e il loro affetto. Hanno pregato sempre per me, con una generosità e un trasporto che non saprò mai restituire.

Non posso dimenticare poi, il sostegno della mia famiglia, di tanti amici e soprattutto di Don Diego Pancaldo, per cui non bastano parole di riconoscenza.

Approfitto di questo spazio per ringraziare la Chiesa di Pistoia che in questi anni di formazione mi ha sempre sostenuto e incoraggiato con grande fiducia e generosità nella persona del vescovo Bianchi prima e del vescovo Tardelli oggi. Con loro mi hanno guidato in questo cammino così bello e sorprendente, i rettori del Seminario di Pistoia – don Cesare e don Fausto-, don Stefano Manetti, già rettore del Seminario Arcivescovile fiorentino oggi vescovo di Montepulciano, ma soprattutto Mons. Ermenegildo Manicardi, rettore dell’Almo Collegio Capranica in Roma, dove ho trascorso cinque anni di formazione.

Daniela Raspollini