Le donne oggi: nella Chiesa, nel lavoro, al centro del nostro tempo

di Daniela Raspollini

PISTOIA – Selma Ferrali, direttrice dell’Ufficio per la pastorale sociale del lavoro racconta la sua esperienza nel Consiglio delle donne voluto dal vescovo Tardelli e la situazione della donna nel mondo del lavoro e nella chiesa di oggi.

Come membro del Consiglio delle donne in diocesi, come procede questa iniziativa? Secondo te è importante per la vita della nostra chiesa locale? 

Dopo quasi due anni di esperienza del “nostro” Consilium Mulierum la prima e più notevole considerazione è quella di una sincera e profonda gratitudine a monsignor vescovo perché ha pensato e voluto questo organismo: l’idea di istituire un Consilium Mulierum, nella sua originalità e singolarità, non dipende dal nuovo clima di “apertura” nei confronti della donna promosso dall’attuale Pontefice. Ritengo, infatti, di poter affermare che l’attenzione per le caratteristiche, per le sensibilità, per le “doti femminili”, per l’importanza del “punto di vista” delle donne, sia connaturata al nostro vescovo e da lui espressa in più occasioni, a partire dal  suo primo incontro con gli operatori, i dipendenti della Curia, i direttori degli uffici pastorali ecc, in occasione dello scambio di auguri del Natale 2014 – il suo primo Natale a Pistoia – occasione in cui, come prima cosa ebbe a compiacersi per il fatto di vedere fra noi numerose presenze femminili perché, aggiunse, «la “visione femminile” delle cose è molto importante!».

Ritornando al Consilium Mulierum, mi sento di affermare che ogni incontro, oltre ad arricchirci spiritualmente, genera una sensazione di piacevole stupore per la molteplicità e la intensità delle esperienze messe in condivisione, per i punti di vista espressi a conferma della varietà dei carismi presenti nel popolo di Dio, grazie all’opera dello Spirito Santo.

Il Papa afferma che le donne sono forza d’amore per il mondo; come vuoi commentare questo bel pensiero del santo padre?

Nel volume “Papa Francesco e le donne”, la storica e giornalista Lucetta Scaraffia definisce Bergoglio «rivoluzionario per tanti aspetti, anche per quanto riguarda la questione delle donne». Non si può che concordare pienamente con il punto di vista della giornalista: nessun Papa aveva parlato con un linguaggio così esplicito e chiaro su questi temi. Ripensiamo, per esempio, a quando ha invitato ad individuare «nuovi e significativi spazi da offrire alle donne nella vita della Chiesa», raccomandando al tempo stesso di «stare attenti a non confondere servizio con servitù». In pratica con questa breve frase è stato chiaro, concreto efficace, incisivo: ha detto tutto!

In tutte le circostanze non ha mai mancato di far sentire la considerazione profonda che ha delle donne per esempio quando ha auspicato «una presenza femminile più capillare ed incisiva nelle Comunità» e al tempo stesso, ha raccomandato di valorizzare e non dimenticare «il ruolo insostituibile della donna nella famiglia». Le doti femminili, infatti, «rappresentano non solo una genuina forza per la vita delle famiglie, per l’irradiazione di un clima di serenità e di armonia, ma anche una realtà senza la quale la vocazione umana sarebbe irrealizzabile». È un Papa che ci ama, ci capisce e ci fa sentire che gli stiamo a cuore.

Quale rapporto tra donna e lavoro, quali sono oggi le sfide e le difficoltà? 

La donna ha sempre dovuto “dimostrare” le sue capacità, conquistandole sul terreno della preparazione e della formazione: sono le statistiche a dirci che le bambine, le ragazze, le giovani nei vari livelli di istruzione e formazione sono sempre più brave dei maschi. Tuttavia, benché oltre il 50% dei laureati nel nostro paese sia donna con votazioni mediamente più alte dei colleghi uomini, i dati del mondo del lavoro mostrano ancora oggi un tasso di occupazione femminile in Italia fermo al 46,2%, rispetto ad una media europea del 58,6%.

Alla donna non viene mai riconosciuto il continuo doppio ruolo in cui si trova a dover “giocare”, vale a dire il suo continuo altalenare fra impegno familiare e impegno professionale: il gravoso “lavoro di cura” se lo trova come “assegnato”, o meglio aggiunto quasi in automatico, senza che, in alternativa, venga mai pensato ed elaborato un vero e proprio welfare idoneo a essere di supporto per la donna che lavora. Numerose ed attendibili ricerche ci dicono che, al giorno di oggi, diventa, per esempio, quasi impossibile conciliare lavoro e maternità, per cui circa una donna su quattro si vede costretta ad abbandonare il lavoro dopo la nascita dei figli. Per non parlare della necessità di accudimento e cura, sempre da parte della donna nei confronti dei nostri anziani, magari non del tutto autosufficienti. Insomma, la donna è continuamente stressata e compressa fra impegno familiare e impegno professionale in una realtà economico-produttiva difficile da cui è facile essere espulsi e che non mostra di avere una “cultura” di organizzazione aziendale incline alla conciliazione di questi due aspetti della vita della donna.

E allora: quali potrebbero essere le soluzioni auspicate per facilitare la donna nel conciliare, per esempio, il proprio ruolo di mamma e di lavoratrice? Forme organizzative come il part-time o di welfare quali nidi aziendali, risultano in realtà solo parzialmente risolutive.

In un recente documento, che ho potuto esaminare, la proposta più gettonata proprio dalle mamme intervistate appariva la flessibilità, intesa come orari di lavoro flessibili e, ove possibile, il telelavoro.

La flessibilità, intesa dunque come sistema adatto alla conciliazione dei tempi di lavoro e di vita, e che in un concetto più ampio comprenda tutta la cultura organizzativa e di collaborazione dell’azienda verso il dipendente e del dipendente verso l’azienda, una cultura nella quale anche gli uomini perseguono la realizzazione personale su più dimensioni, non solo quella lavorativa ma anche quella ludica, affettiva, spirituale all’insegna di un miglioramento della qualità della vita di tutti e per tutti. L’auspicio è che si possa davvero pensare a un lavoro come continuazione dell’opera creatrice di Dio, un lavoro che, come dice Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, sia «libero, creativo, partecipativo, solidale».

Si parla molto dei migranti della tratta degli esseri umani, ma raramente delle donne schiave, delle donne costrette a lavorare nei marciapiedi dello sfruttamento sessuale; qual è il tuo pensiero in proposito?

Quando riflettiamo sulla condizione delle donne vittime della tratta non parliamo solo di prostituzione, ma di schiavitù e sfruttamento. Osservando il fenomeno migratorio e la composizione di coloro che arrivano alle nostre coste, si può immediatamente notare che la maggior parte delle persone sono uomini giovani. Vi sono tuttavia anche le donne e sono giovanissime, in stato di gravidanza o già con figli. Sappiamo con certezza, dalle molteplici testimonianze raccolte nel tempo, che la maggioranza ha subìto ogni tipo di abuso, prima di tutto sessuale, da parte dei numerosi trafficanti nei quali si sono imbattute e dei quali, frequentemente, rimangono incinte. Ma non solo. Molte donne riescono a raggiungere l’Europa perché inserite in uno specifico traffico di esseri umani, quello della tratta e dello sfruttamento sessuale, in mano ad organizzazioni criminali feroci, senza scrupoli e senza nessuna pietà. Si parla di mafie, mafie che fanno paura e forse è per questo che si lasciano incontrollate e libere di agire e si parla poco dei fenomeni criminosi di cui si rendono colpevoli: anche della tratta di donne si parla poco, si tengono spenti i riflettori. Le donne facenti capo al fenomeno della tratta appartengono a diverse etnie, ma la più consistente è quella delle nigeriane: si conta che ogni anno siano arrivate 1200/1500 nigeriane arrivate in Italia via mare. Indagini sicure ci dicono che per esempio l’80% delle nigeriane che arriva in Italia è già destinata alla tratta e allo sfruttamento sessuale. Le loro drammatiche storie si assomigliano tutte. Molte volte sono gli stessi familiari che si accordano con queste persone, generalmente figure molto stimate dalla famiglia, alle quali affidano la giovane donna per intraprendere il lungo viaggio verso l’Europa. La tratta appare quindi come un fenomeno fortemente organizzato e solido, non presente solo in quei paesi ad alta instabilità politica dove la mancanza di leggi permette a trafficanti e sfruttatori di portare avanti il loro business, ma anche perfettamente collegato con i paesi europei. La sofferenza di queste nostre sorelle è fonte di lucro per le nostre organizzazioni mafiose che intrecciano losche reti di affari con quelle dell’Africa e di altri continenti che hanno fondato ed affermato il loro dominio contro ogni dignità umana. La situazione è a tutti nota, ma spesso scegliamo di girarci dall’altra parte quando, percorrendo le strade del nostro civilissimo paese, le vediamo illuminate dai fari delle nostre macchine: le vedono anche gli uomini che partecipano a questo degradante “mercato” del sesso.