IL LINGUAGGIO DELLA SOLIDARIETÀ: DOMANDE E RITAGLI SU IMMIGRAZIONE, LAVORO, VOLONTARIATO E FAMIGLIA

Venerdì 10 novembre nella Cattedrale di San Zeno si è svolta la ‘tavola rotonda’ dal titolo ‘il linguaggio della solidarietà’, atteso e importante capitolo della rassegna teologica ‘i linguaggi del divino’. Un incontro con in massimi esperti di economia e sociologia in ambito cattolico e non solo. Con loro anche il presidente della Caritas italiana e arcivescovo di Agrigento, il Cardinale Francesco Montenegro. Tutti o quasi erano reduci dalla Settimana Sociale dei Cattolici a Cagliari da dove hanno riportato idee, orientamenti, proposte.

L’appuntamento di venerdì scorso è stato anche, però, il punto di arrivo (o di partenza?) di una riflessione condivisa tra l’Ufficio per la pastorale sociale e il lavoro, Caritas diocesana – promotori dell’evento – e Ufficio Comunicazioni sociali e cultura, ma anche l’occasione di un confronto con le diverse realtà impegnate nel mondo del sociale e del lavoro. Sigle sindacali, organizzazioni di settore, associazioni di volontariato, hanno contribuito a far emergere dalle realtà del nostro territorio, riflessioni e domande da proporre agli esperti. Sono così state formulate quattro questioni che Domenico Agasso, giornalista de La Stampa e coordinatore della serata, ha distribuito e rilanciato ai relatori. Quattro domande su i temi di attualità del nostro tempo e della nostra città: immigrazione e accoglienza, lavoro, volontariato e famiglia.

Difficile riassumere quanto è emerso nel dialogo con i relatori perché gli stimoli sono stati numerosi e profondi. Senza la pretesa di fare una sintesi riproponiamo ai lettori le quattro domande e alcuni ‘ritagli’ dagli interventi dei relatori.

  1. Si è talvolta affermato e sperato che la crisi economica avrebbe potuto innescare una nuova solidarietà sociale, suscitare un rinnovato impegno per il bene comune. La nostra esperienza, a partire da questo territorio, sembra suggerirci il contrario. Il tessuto sociale oggi si rivela lacerato e segnato anche da una fatica all’accoglienza, se non di una vera indifferenza nei confronti di chi bussa alle porte del nostro paese. Un atteggiamento che purtroppo è spesso presente anche nelle nostre parrocchie. Come invertire la tendenza?

Leonardo Becchetti ha smontato, uno ad uno, i luoghi comuni sul tema dell’immigrazione e dell’accoglienza e, attraverso la prospettiva dell’economista, ha presentato in positivo benefici, dinamiche economiche che riattivano un paese invecchiato e con pochi figli. Una realtà, quella dell’immigrazione e dei grandi sommovimenti planetari, da cui non è possibile tornare indietro, ma che chiede di riequilibrare risorse e forze produttive come in un tutto unitario e organico. Davanti a ritrosie e fatiche (mentali) vale la pena comunicare, narrare e trasmettere altre immagini.

Sul tema dell’accoglienza Montenegro appuntava che: “accogliere è un problema di fede. Per il credente il rischio è mettere da parte Cristo”. Il cardinale ha quindi proposto una ‘preghiera a occhi aperti’: “gli occhi chiusi non mi permettono di guardare chi ho vicino. Guardare la sua storia mi interessa e imparo che la mia si intreccia con la sua”.

  1. Il mondo del lavoro è cambiato. Ormai la crescita del PIL non corrisponde più a quella del lavoro. Anche in un territorio segnato dalla presenza di un’antica sapienza artigianale e da alta specializzazione, il lavoro non sembra più offrire lo spazio per l’elevazione personale e sociale. Non è facile parlare di lavoro come vocazione fondamentale dell’uomo sulla terra. La precarietà e la diffusione di una mentalità segnata dal consumo, piuttosto che dalla dignità dell’homo faber, come ridefiniscono il mondo del lavoro?

Il problema, rispondeva Becchetti, è creare lavoro degno. Una soluzione che non può prescindere, tuttavia, dalla verifica delle difficoltà del nostro tempo. Fino ad oggi -affermava- abbiamo attraversato tre rivoluzioni: la prima è stata quella della globalizzazione, la seconda la privatizzazione e l’impoverimento del lavoro. La terza ha riguardato l’innovazione e la trasformazione della società. Tre rivoluzioni che hanno determinato anche grandi disuguaglianze. Eppure è lecito pensare che la nostra società possa anche essere cambiata. Come? “Rendendosi contro che nel sistema economico attuale il potere più grande è quello dei consumatori. Se impariamo a usare questo potere – sottolineava Becchetti – possiamo cambiare il mondo. Privilegiando, ad esempio, con i propri acquisti e investimenti le aziende che non inquinano o che seguono un’etica del lavoro; maturando scelte ‘di fondo’ che permettono di usare il potere “del consumo” in positivo e insegnano a votare ..’con il portafoglio’. Anche lo stato, che è il primo consumatore, dovrebbe imparare lo stesso. Un esempio? Non praticare bandi pubblici in cui si punta soltanto al prezzo più basso. Puntare al ribasso, affermava Becchetti “è un atto criminale”: lo stato dovrebbe considerare solo le aziende che riconoscono dignità al lavoro. Mauro Magatti invocava la necessità di “andare a cercare buone pratiche” che seppure non sembrino avere voce fioriscono dai punti di forza del nostro paese: 1) manifatture di qualità sorretta da una sapienza artigiana e professionale; 3) un esteso sistema socio assistenziale; 3) La bellezza del nostro territorio, tutta da tutelare e valorizzare. Nonostante questi segnali incoraggianti il lavoro sembra aver perso la capacità di consegnare identità e valore. Una perdita che costa caro e toglie un ulteriore punto di riferimento ideale. Anche per questi i giovani sui 25 anni appaiono smarriti e spesso già delusi dalla vita. Ciò che chiedono i giovani è soprattutto, infatti, dare un senso al loro valore. “Dalla crisi, economica e sociale di cui parliamo ininterrottamente – affermava Magatti – non usciremo con una semplice ‘ripresina’ o una manovra di governo”: “è urgente un patto tra le generazioni. Senza, questo paese non ce la farà. Solo se riconosciamo che prima dobbiamo produrre valore, sociale, educativo, di relazione; soltanto se produciamo valori allora potremo aumentare i consumi e superare la crisi”.Bene la proposta di un nuovo patto tra le generazioni, ma occorre anche un nuovo patto tra i generi. Ancora oggi, ha ricordato Chiara Giaccardi, le donne sono penalizzate. Non ci sono condizioni perché sia possibile generare. E non è poco. Nella natalità ha origine ogni novità. È il momento di chiedere equità del lavoro, rispetto dei tempi della famiglia, collaborazione interna dei coniugi.

  1. Il nostro territorio ha una lunga e diffusa tradizione di volontariato. In questi anni, tuttavia, anche il volontariato ha cambiato volto. La burocrazia ha forse ingessato un certo spontaneismo, la crisi ridotte le fila dei volontari, oggi provenienti da diverse parti del mondo, grazie a immigrati di prima o seconda generazione. Anche il volontariato deve confrontarsi con nuove problematiche sociali. Quali vie del servizio si aprono oggi?

Il volontariato, affermava Magatti, riesce ad andare incontro alle tante fatiche di oggi, ma anche a dare senso alla nostra esistenza. Esso non presuppone la consegna di parte del nostro tempo libero, ma chiede di dirsi: “libero il mio tempo per donartelo!” Nessuno, d’altra parte, è così ricco da non dover chiedere agli altri e nessuno così povero da non poter dare nulla agli altri”. Chiara Giaccardi ha aggiunto che meglio ancora della parola ‘volontariato’ sarebbe bello coniare il termine ‘fraternariato’, per sgombrare il campo da ogni sforzo volontaristico e primato dell’io fino a escludere il ‘dover essere’ che spesso corrompe il ‘volontariato’. Meglio ribadire l’importanza della gratuità. “La vita senza un po’ di gratuità – chiosava Becchetti – è soffocante”. Anche la vita economica è fatto di scambio di doni, anche dentro le aziende. Non si tratta di ‘premiare’ o corrompere, ma di costruire relazioni aldilà delle rapporto tra diverse mansioni, e quando questo avviene un’impresa decolla. E poi dove c’è volontariato ..c’è di più. La pratica del volontariato si lega necessariamente all’esigenza dell’ascolto. “Se non ascoltiamo gli altri –  affermava il cardinale Montenegro – non ascoltiamo la voce di Dio. La morte di Dio e la morte del prossimo sono legate”.

  1. La nostra realtà cittadina è segnata, dal luogo comune alla storia, sui più diversi livelli, da una certa tendenza all’individualismo e ai particolarismi. Emerge la fatica di fare comunione, dalla realtà ecclesiale a quella del lavoro, da quella culturale a quella del volontariato. Una tendenza che si accompagna all’individualismo crescente dei nostri giorni. Qual è il ruolo della famiglia, che resta il nucleo fondamentale della società? Come far ripartire dalla famiglia il linguaggio della solidarietà che ricucia le nostre frammentazioni?

Quando diciamo famiglia, rispondeva Chiara Giaccardi, diciamo una realtà che ha una forma nella storia; non un mero sodalizio di individui. Diversamente non è possibile superare l’autoreferenzialità. La famiglia, invece, è chiamata a essere un nodo cruciale della rete sociale poiché essa stessa è una ‘rete’ di legami; un’alleanza tra soggetti disuguali, perché in famiglia – dove pure la solidarietà è naturale – tutti sono diversi. Ma è anche necessario pensare una famiglia come forma aperta, come realtà che si rigenera, altrimenti essa si spegne e muore, perché marito e moglie, alla lunga, se perdono la capacità di ripensarsi e rigenerarsi, hanno poco da condividere.

Ricordiamo che la registrazione integrale della serata è disponibile online sul canale youtube diocesano “Diocesi di Pistoia”.