I TRE SEGNI DELLA MESSA CRISMALE: UNA SINTESI DELLE PAROLE DEL VESCOVO
La messa crismale rivela ogni volta un fascino particolare. In questa liturgia eucaristica si può cogliere la manifestazione visibile della chiesa in tutte le sue componenti riunite attorno al vescovo nella chiesa cattedrale. E’ la messa in cui si consacrano gli oli benedetti per l’unzione dei catecumeni e degli infermi e il santo crisma per l’unzione battesimale, la cresima e l’ordine sacro. In questa messa i sacerdoti rinnovano le promesse pronunciate il giorno dell’ordinazione e la chiesa riscopre la sua vocazione sacerdotale.
Nella sua omelia, Mons. Tardelli ha voluto sottolineare l’importanza di tre segni: l”’olio versato, il profumo del Crisma, la variegata composizione della nostra assemblea”.
“L’olio versato è il primo segno“. E’ questo – ha precisato il vescovo – l’olio che “sarà in qualche modo versato sul petto dei battezzandi, sulla fronte dei cresimandi, sul palmo delle mani dei presbiteri e infine sulle mani di coloro che sono nella malattia. Questo sacro olio è destinato a essere versato e a raggiungere molte persone. E’ il suo scopo, il suo compito. Gli olivi sono stati piantati e coltivati, le olive raccolte e frante perché l’olio fosse versato e consumato. Ebbene, non è lontana da questa vicenda dell’olio la nostra stessa vita!”.
Il segno dell’olio versato permette di cogliere la nostra vocazione ecclesiale: “nel segno dell’olio versato possiamo anzi ben individuare la nostra chiamata, quella del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi ma anche di tutto il popolo di Dio. Noi esistiamo per essere versati“. Un segno particolarmente eloquente per la missione dei sacerdoti: “gli oli santi che significano la grazia santificante, ci rammentano che la missione delle missioni, quella per cui soprattutto dobbiamo versare la nostra vita, è la santificazione dei fratelli; è per dischiudere ad ognuno le porte del paradiso; perchè ogni uomo abbandoni la via del peccato e si apra nella fede all’amore di Dio e dei fratelli e sia salvo”. La missione allusa dall’olio versato rivela, però, anche le fatiche e i punti deboli della nostra realtà: “Siamo troppo stanchi e fiacchi a volte – ammette Mons. Tardelli – spesso è che son venute meno le nostre motivazioni interiori; si sono affievoliti i motivi che stanno dentro la nostra anima”.
“Il profumo del Crisma è il secondo segno. L’olio diventa Crisma per l’invocazione dello Spirito Santo e l’aggiunta di profumo. E il buon odore del Crisma tra poco si spanderà in questa cattedrale come ogni volta che verrà versato sulle persone”. Il segno del profumo del Crisma – aggiunge il vescovo – ci aiuta a capire “che le cose di Dio non sono mai asettiche e disincarnate, inodori e insapori; sono invece vere, vive, pulsanti. Le cose dello spirito non si esauriscono nel pensiero, non sono solo concetti“. Il segno del profumo del Crisma ricorda a tutti, infatti, che la proposta cristiana è una proposta integrale, che non amputa o dimentica nulla della ricchezza umana: “vorrei richiamare allora tutti noi – ha aggiunto il vescovo – a vivere con gioia tutta la vita. O la fede ha il sapore della vita oppure non è fede (…) con Lui e in Lui siamo capaci di apprezzare le cose belle e buone dell’esistenza; capaci di piangere lacrime ma anche di ridere; capaci di cercare seriamente la volontà di Dio ma sempre con un po’ di senso dell’umorismo; capaci ancora di dire con schiettezza pane al pane e vino al vino, e quindi anche verità che non sono di moda e sono piuttosto scomode al mondo”.
L’ultimo segno ricordato da Mons. Tardelli, che un colpo d’occhio dal presbiterio alle navate gremite della cattedrale evocava immediatamente, “è la variegata composizione della nostra assemblea (…) E’ un fatto. Siamo qui provenienti da tante parti del mondo. Siamo qui preti, diaconi, laici, religiosi e religiose di ogni razza e colore. Giovani e anziani. Poveri e ricchi, semplici e dotti. La celebrazione di questa sera raduna esemplarmente e rappresentativamente la santa e peccatrice chiesa di Pistoia. Siamo quello che siamo, con tutti i nostri peccati, le nostre lentezze, le nostre povertà. Ma siamo anche una realtà bella. (…) Questa variegata realtà della nostra chiesa non è un limite, un handicap, quasi fosse meglio esser tutti uguali, con la medesima testa, lo stesso modo di ragionare, la stessa storia personale e di chiesa alle spalle. No. E’ bene così. Anche se ci possono essere problemi, è sempre meglio una chiesa così che una chiesa piatta e amorfa”.
La varietà della nostra Chiesa può forse tradursi, in alcuni casi, nel rischio della frammentazione e dell’incompresione: “Quanta fatica a camminare insieme! Quanta fatica a sentirci parte l’uno dell’altro, dentro l’unica chiesa di Cristo! Quanta fatica proviamo ancora a collaborare, sottoponendoci tutti al giudizio del vangelo e al magistero della chiesa di ieri e di oggi! O nell’accettare la disciplina della comunione ecclesiale nella pastorale parrocchiale, nella vita personale, nell’amministrazione dei sacramenti, nell’impostazione della catechesi o nel servizio della carità! Eppure – ha aggiunto il vescovo -, più fondo di ogni nostro individualismo e di ogni nostro rifiuto della comunione o anche più semplicemente della difficoltà di collaborare, c’è lo Spirito Santo di Dio su di noi (…) L’unità ci è donata prima ancora di potercela meritare, come dimostra questa bellissima Eucaristia di stasera che significa la nostra comunione in Cristo ancora prima che noi la realizziamo pienamente”.
(redazione)