Pellegrinaggio diocesano a Montenero: le parole del vescovo

Un migliaio di pellegrini ha raggiunto Montenero per il pellegrinaggio diocesano. Nelle parole del vescovo Tardelli il ringraziamento e l’affidamento alla Vergine, ma anche i propositi per il cammino della Chiesa di Pistoia

Larga partecipazione di fedeli per il pellegrinaggio Diocesano a Montenero: sedici i pullman partiti da Pistoia per la festa della Madonna delle Grazie di Montenero, patrona della Toscana. Quest’anno, infatti, la Diocesi era chiamata a portare in omaggio l’olio per la lampada che arde davanti alla venerata e antica immagine del Santuario, consegnato a turno ogni anno dalle singole chiese toscane.

Il vescovo Tardelli, insieme ad alcuni gruppi di pellegrini, è arrivato la mattina per un momento di preghiera e meditazione sulla Vergine Maria curato da P. Antoine Emmanuel della Fraternità Monastica di Gerusalemme di Firenze. Nel primo pomeriggio sono poi arrivati la maggior parte dei fedeli provenienti da numerose parrocchie della Diocesi, accompagnati da alcuni rappresentanti delle amministrazioni locali, da alcune sezioni della Misericordia, dall’Unitalsi ed altre associazioni di volontariato. Tutti i pellegrini si sono dati appuntamento al parcheggio degli autobus per muoversi verso il Santuario pregando il Santo Rosario.

Viste le incerte condizioni meteorologiche il programma si è svolto interamente all’interno del Santuario, dove l’aula della chiesa si è presto rivelata incapace di contenere tutti i fedeli, in parte assiepati nell’atrio e nei corridoi laterali.
Ha così preso il via la liturgia penitenziale battesimale, celebrata in un clima generalmente raccolto e sinceramente partecipe.

Il pellegrinaggio è culminato nella Santa Messa, presieduta dal vescovo e concelebrata da oltre una trentina di presbiteri della Diocesi di Pistoia. Al termine si è svolta una piccola cerimonia per la consegna dell’olio della lampada. Lo stesso vescovo Tardelli ha versato un fiasco d’olio presentato dalla diocesi nella lampada collocata ai piedi dell’altare. Per tutto l’anno sarà rifornita con l’olio offerto dalla nostra chiesa di Pistoia; segno di una devozione popolare vivace e radicata, ma soprattutto gesto di venerazione e affidamento dell’intera diocesi alla Madonna delle grazie.

Proponiamo di seguito l’omelia pronunciata dal vescovo Tardelli durante la santa messa.

 
Credo carissimi amici, fratelli e sorelle, che dobbiamo ringraziare Dio, Maria Santissima che ci ha convocati, in questa bella occasione, che ci fa tutti uniti nella sua memoria, tutti uniti come popolo santo di Dio, come Chiesa di Pistoia che si è mossa per venire qui. Quello che dice la Scrittura nel libro dell’Apocalisse (“Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”, Ap 21,1-2) si realizza qui, nonostante l’incertezza dei nostri passi, nonostante i nostri limiti e difetti: possiamo dire che siamo una città santa, adornata come una sposa, siamo veramente un cielo nuovo e una terra nuova. Lo vediamo qui in questa assemblea, per sentirci una cosa sola: il vescovo, i presbiteri, i religiosi e le religiose, il santo popolo di Dio…; sì, siamo davvero una città santa, un cielo nuovo e una città nuova. Intanto qui oggi sentiamo la vicinanza dei santi, sentiamo Maria tra noi, ci sentiamo già popolo di Dio. Vogliamo riconoscere la grande misericordia di Dio che continua ad avere fiducia in noi.
 
Pensate che c’è stata un’avanguardia nel nostro pellegrinaggio: sono stati qua i giovani e, come è giusto che sia, i giovani hanno fatto da apripista. Devono essere così anche nella nostra Chiesa di Pistoia: gli apripista per osare nelle strade del mondo una testimonianza nuova, di amore e speranza.
 
Siamo qui, oltre che per rendere grazie, ai piedi di Maria per presentare tutte le nostre fragilità, tutte le nostre debolezze. Ognuno di noi porta tutte le sue sofferenze, il volto di un parente di un amico che soffre, qualcuno che è nel buio, nella solitudine nella disperazione. Ecco, noi siamo qui ai piedi di Maria a chiedere e supplicare il suo materno aiuto, presentando tutte le nostre ansie, tutte le nostre preoccupazioni, i nostri lutti, le nostre malattie.. Presentiamo a Maria questo mondo, triste tante volte, vogliamo supplicarla perché sia madre, vogliamo supplicarla per i nostri fratelli perseguitati. Con umiltà con semplicità, vogliamo presentare tutte le nostre domande. Ognuno presenti a Maria quello che sente. Maria ama essere interrogata, ama che ci intratteniamo con lei come una madre. Ha a cuore -lo abbiamo sentito nel Vangelo (il Vangelo delle nozze di Cana, ndr)- che non manchi il vino della gioia. Chiediamo che non manchi mai nella nostra vita il vino vero della gioia, dell’allegria.
 
Abbiamo chiesto a Maria che ci aiuti ad avere intenzioni buone e a metterle in pratica. Vogliamo deporre ai piedi di Maria i nostri propositi come Chiesa di Pistoia. Quali sono le nostre intenzioni i nostri propositi?
 
Innanzitutto vogliamo proporci che vogliamo essere una Chiesa che mette in pratica la parola di Dio.
Vogliamo essere una Chiesa che fa la volontà di Dio, che si sforza di compiere e mettere in pratica la parola di Dio. Sappiamo di essere deboli, però noi vogliamo riproporre questo proposito. Vogliamo essere una Chiesa che ascolta la Parola di Dio e non sta a sentire altre voci che non sono quelle del Signore. Fare sempre la volontà di Dio, facendo proprie le parole di Maria: “avvenga in me secondo la tua parola”.
 
Vogliamo mettere ai piedi di Maria anche un altro proposito: quello di voler prendere Gesù.
Lei Gesù l’ha potato in grembo, gli ha dato la sua carne, lo ha generato, lo ha custodito e allevato. Questo amore a Gesù, questa dedizione a Gesù sia anche quella delle nostre parrocchie e della nostra vita. Vogliamo che Gesù nasca nelle nostre case, nelle nostre parrocchie, nasca nelle nostre realtà di vita. Vogliamo generare Gesù. Vogliamo crescere nell’amore di Gesù. Quanto ha amato e quanto ama Maria Gesù. Quel Gesù per cui ha vissuto vogliamo che sia il Gesù della nostra vita. Discepoli amati di quel Gesù Cristo che è il nostro salvatore.
 
Infine, ai piedi di Maria, vogliamo fare il proposito di visitare. Visitare come ha fatto lei Elisabetta.
Vogliamo fare il proposito di visitare anche noi gli altri, Vogliamo muoverci, perché quelli che magari sono lontani li possiamo visitare. Vogliamo essere Chiesa che visita chi è nella sofferenza, chi è nel dolore; che si fa compagna di strada a chi è nel dolore, nella miseria, a chi viene da lontano. Siamo chiamati a visitare nell’amore chiunque. Vogliamo proporci di visitare chi ci sta accanto.
 
Ecco carissimi, davvero una bella giornata. Ringraziamo di cuore il Signore che ci fa sperimentare di essere popolo santo di Dio e ci fa già partecipi della gloria santa del Cielo. Proponiamoci sempre di fare sempre la volontà di Dio, di fare spazio a Gesù per generare Gesù, di visitare e fare spazio al nostro prossimo.



Che cristiano sei? L’omelia del vescovo per il giorno di Pasqua

Le stragi di Pasqua in Sri Lanka e un provocatorio ritratto della fede in Italia oggi nell’omelia del vescovo per la Messa del giorno di Pasqua

Nell’omelia della Domenica di Pasqua il vescovo Tardelli ha ricordato i cristiani uccisi in Sri Lanka durante le celebrazioni pasquali. Una minoranza perseguitata, ma viva e tenace che ci interpella e forse mette anche in discussione i nostri accomodamenti. «Non siamo più – afferma il vescovo – un paese cristiano e noi cristiani spesso siamo diventati sale sciapito, senza più sapore e luce nascosta sotto il letto». Dobbiamo riconoscerci cristiani stanchi, delusi o impauriti? Proponiamo di seguito una sintesi dell’omelia.

«Noi speravamo»

Così dicono i due discepoli che sconsolati se ne andavano da Gerusalemme ad Emmaus, la sera di quel primo giorno della settimana dopo il sabato. Se ne andavano via, forse per dimenticare l’avventura che avevano vissuto con Gesù; forse per voltare pagina, dopo che con la morte di Cristo era svanita ogni loro speranza. «Noi speravamo», dicono al viandante misterioso che si accompagna al loro cammino, «Noi speravamo che Gesù fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute». Si, è vero, continuano i due pellegrini, alcune donne e alcuni discepoli hanno trovato il sepolcro vuoto ma, concludono con delusione e amarezza, «Lui non l’hanno visto».

Una frase che ci rimbomba nell’anima

«Noi speravamo». Questa frase ci rimbomba nell’anima, ci risuona dentro: quante volte l’abbiamo detta anche noi? (…) Carissimi amici, lo dobbiamo riconoscere credo con estrema sincerità: spesso siamo spenti dentro, siamo come morti; resi cinici dalle esperienze della vita. Dov’è la nostra fede, il fervore della nostra devozione, la fiamma viva della speranza, l’ardore indomito della carità? Dove sono finiti i nostri entusiasmi giovanili, quando conoscemmo il Signore e diventammo consapevolmente credenti?

Che cristiani siamo?

Che razza di cristiani siamo, aridi, fiacchi, legati soltanto a qualche tradizione, forse a un po’ di buone maniere, ma accomodati sempre al pensiero del mondo, alle prediche dell’imbonitore di turno, alle idee più aberranti di questa società, alle ideologie del pensiero unico, alla dittatura del relativismo, a visioni del mondo dove non c’è posto per Dio e tutto è manipolabile a piacimento e desiderio di ognuno?

La strage di Pasqua

Oggi, nello Sri Lanka, fratelli di fede hanno pagato un caro prezzo per Gesù Cristo. Tre attentati in simultanea hanno devastato il santuario di Sant’Antonio a Colombo, nella capitale, la chiesa di San Sebastiano a Negombo, a circa 30 chilometri dalla capitale e la chiesa a Batticaloa, a 250 chilometri a est della capitale. È stata una strage tra i fedeli che partecipavano alla Messa di Pasqua, più di 150 morti. Questi nostri fratelli ci sono d’esempio. Essi hanno fatto veramente Pasqua, mescolando il loro sangue con quello di Cristo e partecipando da subito alla sua risurrezione, entrando con Lui in paradiso.

Siamo ancora un paese cristiano?

Persone, quello dello Sri Lanka, venute alla fede in tempi molto più recenti di noi, eppure con una fede mille volte superiore alla nostra, di noi, paesi di antica cristianità, italiani ed europei che sembriamo ormai stanchi, se non insofferenti degli insegnamenti di Cristo e della chiesa. Dobbiamo dirlo: non siamo più, ma forse non lo si era neanche prima, visti i risultati, un paese cristiano e noi cristiani spesso siamo diventati sale sciapito, senza più sapore e luce nascosta sotto il letto.

Accomodati, delusi o impauriti?

È proprio vero: come i discepoli di Emmaus anche noi possiamo dire che “speravamo”, che abbiamo sperato. (…) Lo abbiamo sperato, credo che non possiamo negarlo. Poi è successo qualcosa: siamo cresciuti e abbiamo cominciato a fare i conti con la giungla di questo mondo; abbiamo ceduto a compromessi per mangiare e avere una buona condizione di vita; abbiamo visto che a fare il bene ci si rimette sempre e che forse non conviene cercare di comportarsi secondo gli insegnamenti di Cristo. Abbiamo visto quello che fan tutti e ci siamo detti, perché non dovrei anch’io fare uguale? Forse anche è capitato di restare delusi dalla chiesa, dal Papa, dai vescovi, dalla nostra parrocchia, dal nostro gruppo, dal nostro prete o dai preti in genere; forse ha prevalso la paura di passare per bigotti, sprovveduti, retrogradi, fanatici, antiscientifici, poco moderni… Insomma, son successe un sacco di cose, per cui anche noi siamo arrivati al punto di dire: “si, speravamo….”

Che fare?

Di fronte a tutto questo non ho parole mie da dire o discorsi miei da fare. Posso solo guardare a Gesù, a quello che disse e fece con i discepoli di Emmaus e che ancora dice e fa oggi, qui, con noi. (…) Ecco, il Signore Gesù risorto e vivente, qui in mezzo a noi stasera ci parla e spezza il pane per noi; ci fa capire che dobbiamo accettare la nostra fragilità; che il Regno di Dio avanza anche se in un’apparente condizione di minorità; che sempre dobbiamo fare i conti con la nostra debolezza e la malvagità degli uomini; che sempre il bene e la verità appaiono perdenti in questo mondo e che anche la chiesa non è fatta di perfetti. Ma ci dice anche che Egli ha vinto; ha sconfitto la morte e il male del mondo; che i peccati possono essere perdonati e si può rinascere a vita nuova sempre, anche quando si è vecchi.

Leggi l’intera omelia qui




La pastorale della tenerezza

Mons. Tardelli in ospedale a Pistoia per un momento di preghiera e la visita agli ammalati

Martedì 16 aprile il vescovo Fausto ha visitato l’ospedale “San Jacopo”, portando l’augurio di Pasqua ai pazienti e al personale. La visita è iniziata con un momento di preghiera e di riflessione sul testo del Vangelo di Giovanni 15,13-17: «Gesù, dopo aver lavato i piedi ai discepoli, dà loro il comandamento nuovo: “amatevi come io ho amato voi”». Non c’è luogo come l’ospedale, in cui far risuonare la parola di Cristo: «Amatevi!».
Ai medici, agli infermieri, ai volontari impegnati al servizio dei malati, Papa Francesco in un recente messaggio per la giornata mondiale del malato ha augurato di «essere sempre segni gioiosi della presenza e dell’amore di Dio». Agli infermieri ricevuti in udienza lo scorso anno (3 marzo 2018) raccomandava: «Non dimenticatevi della medicina delle carezze: è tanto importante! Una carezza, un sorriso è pieno di significato per il malato. È semplice il gesto, ma lo porta su, il malato si sente accompagnato, sente vicina la guarigione, si sente persona, non un numero». La cura dei malati, ha ricordato il papa quest’anno «ha bisogno di professionalità e di tenerezza, di gesti gratuiti, immediati e semplici come la carezza, attraverso i quali si fa sentire all’altro che è caro» (messaggio per la Giornata mondiale del malato 2019).

Nella visita all’ospedale, il nostro vescovo ha messo in pratica queste indicazioni. Accompagnato dai volontari, sua eccellenza ha infatti visitato il reparto di chirurgia, lasciando ad ogni paziente un cartoncino come ricordo e messaggio per la Pasqua. Ringraziamo sentitamente il vescovo per la sua attenzione al mondo della sofferenza. Entrando in una camera dell’ospedale una paziente, meravigliata ha esclamato: «Il vescovo? Non posso crederci!».

La visita è coincisa con l’anniversario della morte di S. Bernadette, la veggente di Lourdes. «Bernadette, povera, analfabeta e malata – ha ricordato una volta Papa Francesco – si sente guardata da Maria come persona. La Bella Signora le parla con grande rispetto, senza compatimenti. Questo ci ricorda che ogni malato è e rimane sempre un essere umano e come tale va trattato» (Papa Francesco, messaggio per la Giornata mondiale del malato 2017). È sempre provocatoria la parola di Cristo: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). Ognuno di noi dia la sua risposta di fede.

Padre Natale, cappellania ospedaliera.




Morti viventi o risorti?

Un estratto dall’omelia del vescovo per l’ultima liturgia stazionale

Venerdì 12 aprile 2019, ormai nell’imminenza della Settimana Santa, si è concluso il percorso delle liturgie stazionali guidate dal vescovo Tardelli. Nell’ultimo appuntamento la celebrazione è partita dalla Chiesa del Carmine per poi arrivare all’antica pieve di Sant’Andrea. Pubblichiamo di seguito alcuni passaggi dell’omelia di Mons. Fausto Tardelli.

La resurrezione di Lazzaro

L’ultima tappa del nostro cammino quaresimale si conclude con il racconto della risurrezione di Lazzaro, l’amico di Gesù. (…) Il quadro che l’evangelista Giovanni ci presenta è abbastanza straziante. Vediamo le lacrime di Marta e di Maria; la loro angoscia. Vediamo anche l’affetto grande e intenso di Gesù per l’amico. “Allora scoppiò in pianto”: questo particolare della narrazione ce lo manifesta.

Dietro il miracolo, una verità più profonda

Ed ecco che in questo cotesto straziante, Gesù compie il miracolo. Si tratta di un “segno”. La risurrezione di Lazzaro dunque è solo un segno di una verità più profonda… Quella di Lazzaro non è come la risurrezione di Cristo, né come quella che ci è promessa da Gesù.

Quale differenza tra la resurrezione di Gesù e quella di Lazzaro?

Nota magnificamente Joseph Ratzinger nel suo libro “Gesù di Nazaret” (pag. 271-272): «Se nella risurrezione di Gesù si fosse trattato soltanto del miracolo di un cadavere rianimato, essa ultimamente non ci interesserebbe affatto. Non sarebbe infatti più importante della rianimazione, grazie all’abilità di medici, di persone clinicamente morte. Per il mondo come tale e per la nostra esistenza non sarebbe cambiato nulla».

Cosa succede con la resurrezione di Gesù?

«Le testimonianze neotestamentarie invece non lasciano alcun dubbio che nella risurrezione del Figlio dell’uomo sia avvenuto qualcosa di totalmente diverso. (…) Nella risurrezione di Gesù è stata raggiunta una nuova possibilità di essere uomini, una possibilità che interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini».

Per noi la resurrezione di Cristo è…

Queste illuminate riflessioni spiegano ciò di cui la risurrezione di Lazzaro è segno: la risurrezione di Cristo e la nostra vita con Lui. Ben più di quello che è capitato a Lazzaro, noi infatti siamo stati resi partecipi della Risurrezione di Cristo; mediante il Battesimo, siamo stati sepolti nella morte di Cristo e risorti con Lui. La nostra identità di uomini è ormai quella di risorti con Cristo, ciò per cui siamo venuti al mondo e che ci identifica come uomini.

Sei vivo o un morto vivente?

Questo è vero al punto che se non viviamo da risorti con Cristo, semplicemente non siamo uomini; in realtà neppure siamo vivi. Siamo piuttosto dei morti che camminano per la strada, dei “morti viventi”.

Ma che vuol dire vivere da risorti?

Vivere nella gioia

Credo che la risposta a queste domande sia triplice: innanzitutto significa vivere nella gioia, con il cuore pieno di speranza, senza farsi abbattere da niente. Nella gioia cioè di sapere che niente ci può davvero ferire e uccidere, se si rimane attaccati a Gesù Cristo…

Nutristi di Cristo

In secondo luogo, per vivere da risorti, occorre nutrirsi di Cristo parola e pane di vita eterna. Gesù lo ha detto a chiare lettere: «In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv 5,24).

Amare i fratelli

Infine, c’è un terzo modo ancora, fondamentale, per vivere da risorti, ed è l’apostolo Giovanni a dircelo nella sua prima lettera, anche qui con molta chiarezza: «Fratelli, noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui». (I Gv 3, 14-15).

Leggi l’omelia intera qui

 

 




Le meditazioni del vescovo per la Settimana Santa

Il vescovo Tardelli propone ai fedeli un testo di meditazioni sulla Settimana Santa. Una lettura spirituale per vivere con intensità il cammino verso la Pasqua

La Settimana Santa è un tempo di altissima densità spirituale. Nella settimana santa, infatti, «la chiesa celebra i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme.
Il tempo quaresimale continua fino al giovedì santo. Dalla messa vespertina “nella cena del Signore” inizia il triduo pasquale, che continua il venerdì santo “nella passione del Signore” e il sabato santo, ha il suo centro nella veglia pasquale e termina ai vespri della domenica di risurrezione. Le ferie della settimana santa, dal lunedì al giovedì incluso, hanno la precedenza su tutte le altre celebrazioni» (Paschalis sollemnitatis, n.27).

Come vivere al meglio la Settimana Santa?

Monsignor Tardelli, vescovo di Pistoia, offre ai fedeli alcune meditazioni dedicate ai giorni della Settimana Santa. Un testo semplice e chiaro che può accompagnare il cammino spirituale, disponibile online in formato pdf o in versione cartacea presso la Libreria San Jacopo (Via Puccini, 32 – Pistoia).

 




Giornata dei Cresimandi: ecco la parola “magica” da custodire

La Giornata dei Cresimandi ha visto una cattedrale gremita di giovanissimi provenienti da tutta la diocesi di Pistoia. Tanti ragazzi stretti attorno al loro vescovo, per sperimentare l’unità, la comunione, la festa, la bellezza di un cammino che accompagna verso la vita cristiana.

Il vescovo Tardelli e i giovani si sono salutati con entusiasmo reciproco. L’incontro di domenica 7 aprile è il culmine di un percorso di preparazione a cura dell’Ufficio Catechistico diocesano, che ha condotto i ragazzi a un’apertura profonda con sé stessi e la Chiesa. I ragazzi hanno infatti indirizzato al vescovo le loro lettere personali. «Nelle vostre lettere – ha commentato mons. Tardelli – mi avete raccontato la timidezza, la paura, i sacrifici, non sentirsi all’altezza, il non sentirsi come gli altri ..accolgo questo vostro aprirsi del cuore come un grande dono».

Il cammino di quest’anno proponeva alcuni appuntamenti di riflessioni sviluppati attorno all’episodio di Zaccheo. «Avete meditato sulla storia di Zaccheo (Lc 19,1-10): una storia che ci fa capire qualcosa di importante. Non sono importanti i limiti che abbiamo – ha ricordato ai ragazzi il vescovo- Ma la cosa più importante è quello che Gesù ha detto a Zaccheo: “Zaccheo, io voglio entrare in casa tua”. Lascia stare i tuoi limiti, la cosa più importante è che io voglio entrare a casa tua!

Con me nel tuo cuore le cose possono cambiare, con me saprai cambiare anche i tuoi limiti in qualcosa di positivo».

Il vescovo ha quindi spiegato ai ragazzi: «il Signore vi dice: voglio entrare in casa tua, voglio entrare nel tuo cuore. C’è un momento speciale in cui questo accadrà: il giorno della sua cresima. Quel giorno è un giorno davvero importante. il Signore entrerà nel vostro cuore e voi vi state preparando proprio a questo. Ma come si risponde a Gesù che vuole entrare in casa tua?»

Mons. Tardelli ha quindi consegnato ai cresimandi una parola “magica”, la parola chiave per rispondere a Gesù che bussa alla porta del cuore. «Vi insegno una parola “magica”, una parola segreta –tra me e voi– che dovete scolpire nel cuore. Che parola è? Vorrei che la ripeteste con me: tidè tià tipò!

«tidè tià tipò!»

tidè: ti desidero

tià: ti accolgo, nella mia casa, nel mio cuore

tipò: ti porto nella mia vita, cerco di vivere nella mia vita con te!




Un mondo di ciechi

Venerdì 5 aprile mons. Tardelli ha celebrato la quarta stazione quaresimale. La liturgia ha preso inizio presso la vicina chiesa della Misericordia per poi spostarsi, al canto delle litanie, in una chiesa di San Paolo gremita di fedeli. Le letture proposte per la stazione di venerdì scorso sono suggerite nel lezionario come alternative a quelle del giorno. Così, dopo il brano della Samaritana al pozzo proclamato la volta precedente, mons. Tardelli ha commentato un altro celebre racconto del Vangelo di Giovanni, quello della guarigione del cieco nato (Gv 9,1-41), che la liturgia ha da sempre inserito nel cammino quaresimale.

Ricordiamo che la prossima stazione quaresimale è prevista per venerdì 12 aprile alle ore 21. Il ritrovo è alla chiesa del Carmine da dove partirà l’assemblea partirà processionalmente verso la chiesa di Sant’Andrea Apostolo.

Riportiamo di seguito un piccolo estratto dell’omelia del vescovo di venerdì 5 aprile. Leggi qui l’omelia intera.

 

Verso la Pasqua ..per tornare a vedere

Il vangelo del cieco nato ci introduce sempre di più nel mistero pasquale.(…) Possiamo dunque pensare il mistero pasquale come un evento che toglie il velo dagli occhi degli uomini, che ridà la vista agli uomini, resi ciechi dal peccato.

Quelli che vedono, diventino ciechi

Perché sia Pasqua per davvero – ci ricorda la liturgia penitenziale della Quaresima – occorre riconoscere le tenebre che sono in noi, che oscurano la nostra coscienza e si allungano come ombre minacciose nella vita di chi ci sta accanto e nella stessa società. E qui allora torna in ballo e si spiega l’enigmatica frase del vangelo che ho citato all’inizio: “Sono venuto, dice il Signore, perché quelli che vedono, diventino ciechi”. Come a dire, sciolto l’enigma: che chi crede di vederci e di vederci bene, mentre non si rende conto della sua cecità, è in realtà il vero cieco perché non vede né Dio né gli altri.

E noi, vediamo?

Noi non vediamo. Lo vogliamo riconoscere. Non ci vuol molto a capirlo del resto. Basta un attimo di attenzione per capirlo. Quante volte infatti il Signore si affaccia nella nostra vita, si fa presente nelle pieghe della nostra esistenza, negli avvenimenti che ci capitano e non lo vediamo! Quante volte Egli non c’è nella nostra vita; per noi è assente; non ci accorgiamo di Lui, delle sue premure, dei suoi rimproveri.

Hai riconosciuto il Signore?

Quante volte non lo riconosciamo nei segni sacramentali, perché la nostra fede è fiacca e li trasformiamo in gesti vuoti o magici. Quante volte non lo vediamo presente in mezzo a noi, vivo e reale, Risorto e datore di vita e riduciamo il nostro radunarci a un semplice convenire umano o a una occasione di scontro tra di noi. Quante volte infine non lo riconosciamo nel volto degli altri, della sposa, dello sposo, del figlio, dell’anziano, oppure del povero all’angolo della strada, del migrante, del rifugiato, persino del nemico!

Ciechi e guide di ciechi

Se poi allarghiamo lo sguardo, bisogna constatare che per certi versi si vive oggi in un mondo di ciechi, perché non si riesce più nella nostra società a cogliere l’evidenza del bene che non è più evidente a molti e lo si scambia facilmente per male o infelicità. Ciechi e guide di ciechi, verrebbe da dire.

La cecità di oggi

..non si riesce più a scorgere né la presenza di Dio Padre buono e provvidente, né la dignità inalienabile della persona umana dal concepimento fino alla sua morte naturale, né il valore fondamentale della famiglia fondata sul matrimonio; e quel che è peggio, la menzogna la fa da padrona in ogni aspetto della vita sociale; tutto viene manipolato a proprio uso e consumo per piegarlo ai propri interessi, a volte affermando nello stesso tempo una cosa e il suo contrario, in una contraddizione palese ma tranquillamente nemmeno avvertita. Accecati dalle passioni, accecati dalle voglie, accecati dai desideri irrefrenabili, dalla rabbia e da un narcisismo senza limiti: questo sembra il quadro drammatico della nostra società.

Ero cieco e ora…

Ognuno di noi è  chiamato a una conversione profonda del cuore, così da poter dire col cieco nato, con umiltà ma insieme forza e determinazione: “Solo una cosa so: ero cieco e ora ci vedo”.




Dammi da bere: in ascolto della sete Dio e del fratello

La terza stazione quaresimale, si è associata, venerdì 29 marzo alla celebrazione delle 24ore per il Signore, iniziativa promossa da Papa Francesco e ora diffusa in tutto il mondo. Il vescovo ha celebrato la santa messa presso la Chiesa di San Paolo Apostolo a Pistoia. Mons. Tardelli, seguendo la possibilità offerta dalla liturgia, nella scelta delle letture ha optato per quelle del ciclo domenicale A che prevedevano, nella terza settimana, la storia della samaritana. «Un percorso tipicamente pasquale – ha affermato il vescovo – che ci introduce direttamente nel mistero della nostra salvezza». Ricordiamo che la prossima stazione sarà celebrata venerdì 5 aprile a partire dalla chiesa della Misericordia per poi procedere presso la Chiesa di San Paolo apostolo.

Che dire della storia della samaritana?

…Un dialogo, nel quale possiamo benissimo entrare anche noi, nel senso che possiamo benissimo ritrovarci nei panni di questa donna che incontra il Signore. In effetti, il Signore anche con ciascuno di noi intesse un colloquio. Tutta la nostra vita diciamo pure che è un dialogo con Lui. Un dialogo di salvezza. Fin dal seno materno. Ancor prima addirittura che fossimo formati nel seno di nostra madre, Dio ci ha chiamato, ci ha interpellato, è entrato in dialogo con noi.

In Gesù Cristo Dio dialoga con noi

Il dialogo di salvezza di Dio con ciascuno di noi, si è reso visibile in Gesù Cristo, parola vivente di Dio eterno. Verbo eterno del Padre, Egli ha preso carne umana per entrare in dialogo concreto con noi a partire dalla nostra stessa carne, dalla nostra stessa esperienza umana. In fondo, la vita di Cristo sulla terra che cosa è stata se non un dialogare continuo con noi uomini?

Come dialoga con noi il Signore?

Lui ci parla, ci incontra, attende risposta; aspetta le nostre lentezze; tace silenzioso per rispettare la nostra libertà, pronto però a rivolgerci ancora la parola, per spronarci ad essere nuovi, a riprendere in mano la nostra vita, a camminare dietro a lui nella gioia che si fa amore verso i fratelli. Tutto ci parla di Lui; in ogni uomo è Lui che ci parla; così nelle Sacre Scritture come nei santi sette segni; così nell’intero creato e nella storia.

Dammi da bere

Nel dialogo con la donna di Samaria vorrei ora brevemente soffermarmi sull’inizio. Su quella prima parola che Gesù le rivolge: “Dammi da bere”. Una richiesta che dobbiamo sentire rivolta a ciascuno di noi stasera.

Un dialogo inclusivo

..gli altri infatti sono sempre coinvolti nel dialogo tra noi e Dio. Inevitabilmente, necessariamente coinvolti. Non c’è dialogo col Signore che non includa anche i fratelli. La sete, la fame, l’indigenza, la sofferenza di chi è nel disagio, qui da noi e nel mondo, allora non può lasciarci indifferenti.

Ti accorgi di chi ha sete?

Domandiamoci allora se almeno ci accorgiamo della sete che c’è intorno a noi, del bisogno che c’è in coloro che ci circondano, a partire da chi ci sta accanto, per arrivare fino alle necessità di chi abita lontano da noi. Bisogno di sostegno materiale certo, ma anche e soprattutto di sostegno spirituale. Sete di acqua che disseta il corpo e di pane che lo nutre ma anche sete e fame della parola di Dio, perché “non di solo pane vive l’uomo”.

L’Acqua che disseta

lo Spirito ci faccia anche capire che noi chiesa, noi cristiani, se da una parte ci dobbiamo impegnare con ogni uomo di buona volontà perché tutti abbiano su questa terra il necessario per vivere dignitosamente, dall’altra siamo chiamati a dare al mondo quell’acqua viva che è Cristo, quell’acqua che risana l’uomo dalle ferite del male e che lo rende “creatura nuova”.

Leggi l’omelia per intero




Il fratello ingombrante: seconda liturgia stazionale

Prosegue l’itinerario delle liturgie stazionali. Venerdì 22 marzo la preghiera è avviata nella chiesa di Santa Maria Liberata, oggi officiata dalla chiesa ortodossa romena, per poi spostarsi nella vicina chiesa di San Bartolomeo Apostolo. Riportiamo di seguito alcuni passaggi dell’omelia di Mons. Tardelli.

Fratelli contro fratelli:perché?

La cronaca del mondo è piena di fratelli che odiano i fratelli. E il motivo? Ascoltiamo il testo della genesi: «Israele amava Giuseppe più di tutti suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche larghe. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente». Il motivo dunque è evidente: l’invidia.

Sei sicuro di non essere invidioso?

Ebbene si, l’invidia. Ci sembra a volte che non sia niente, o sia cosa di poco conto; la declassiamo facilmente a semplice immaturità psicologica e tendiamo a sminuirla o a non riconoscerla in noi. Difficilmente si ammette di essere invidiosi. L’invidia invece è un grande peccato e un vizio capitale. (..) San Gregorio Magno dice che «dall’invidia nascono l’odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato dalla sua fortuna».

E perché si è invidiosi?

È semplice: perché si pensa di non essere amati a sufficienza, come ci meritiamo o vorremmo. Soprattutto perché cediamo al cattivo pensiero che il bene che hanno gli altri, tolga qualcosa a noi. Come sempre, la causa è il nostro io presuntuoso e superbo che vorrebbe tutto per sé e non tollera di non essere considerato il più bravo, il più grande, il più meritevole di tutti.

Ma colui che è oggetto di invidia che fa?

Di solito, o gode di questo e trova compiacimento nel veder soffrire gli altri e si diverte mettendoli sotto i piedi, oppure, al contrario, si riempie di rabbia e di risentimento, meditando vendetta, perché attribuisce all’invidia altrui il suo insuccesso, il non aver potuto raggiungere gli obiettivi che si era prefissato. E quando si fa così in questo modo, ancora si pecca, in quanto è sempre l’io, il nostro io a voler prevalere.

Una storia diversa

La storia di Giuseppe invece ci racconta un’altra storia, con un altro finale. Giuseppe, quasi ucciso e venduto dai fratelli, sarà proprio lui che salverà i fratelli nel tempo della carestia e li riabbraccerà pieno di amore. Come non vedere allora in Giuseppe, la figura di Nostro Signore di cui ci parla il Vangelo, pietra angolare nonostante sia stata scartata dai costruttori?

Una mala pianta

L’uomo spesso si fa attrarre dal maligno che è tale proprio perché roso dall’invidia nei confronti di Dio e dell’uomo amato da Dio. Ma quando l’ uomo si lascia prendere da questa invidia sulla scia del maligno e vuole rubare il posto a Dio, bramando il suo potere e la sua gloria, inevitabilmente e immediatamente si trasforma in un carnefice dell’altro uomo (…). Così, carissimi fratelli e sorelle si spiegano i grandi genocidi della storia, le ideologie che hanno fatto milioni di morti, ma anche ogni manipolazione arbitraria della natura umana, i femminicidi che riempiono le cronache e ogni violenza nei confronti di chi è diverso. La mala pianta però alberga dentro di noi, dobbiamo riconoscerlo.

Gesù: il fratello ingombrante

Gesù è stato considerato, e ancora molti lo considerano, un fratello “ingombrante”; del male che si è scaricato e che si scarica su di Lui, ne fa motivo di vittoria e quindi di speranza per l’umanità. Egli è il Risorto, nostro Salvatore ed è una meraviglia ai nostri occhi. (…) Chiediamo che Dio ci faccia sentire così forte il suo amore, così intensamente, così pienamente da liberarci dalla schiavitù dell’invidia.

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Ciò che non piace a Dio. Le parole del vescovo per la messa stazionale

Venerdì 15 marzo si è svolta la prima messa stazionale della Quaresima 2019. La liturgia è iniziato in Battistero da dove i fedeli si sono mossi in processione verso la chiesa di San Giovanni Forcivitas. Di seguito pubblichiamo alcuni passaggi significativi dell’omelia del vescovo Fausto Tardelli.

La prima cosa da imparare nel tempo della Quaresima?

«Riconoscere con sincerità la malvagità che è in noi. È l’unico modo per sperimentare la cura premurosa del Signore e il suo amore infinito. Egli infatti, dice ancora in altra parte del vangelo, è venuto per i malati, per i peccatori, per coloro che si sono perduti, non certo per chi si sente a posto, già bravo, “in regola” e quindi autosufficiente e bisognoso di nulla. In realtà questi è già morto, la vita lo ha abbandonato».

La causa di ogni male

«Si fa presto a gridare contro i mali del mondo, magari contro il surriscaldamento del pianeta e i cambiamenti climatici come si è fatto in questa giornata, ma quanto si è avvertiti che la causa di ogni male è il peccato che ognuno di noi commette ogni giorno? Che la causa è la sistematica trasgressione di quelle dieci parole che si raccolgono nel duplice comandamento dell’amore?»

Il perdono di Dio ci cambia?

«Il suo perdono non ci trova già sani. Il suo amore ci raggiunge mentre siamo ancora peccatori. Questo è vero. Ma può produrre frutto soltanto se trova in noi disponibilità a un sincero cambiamento di vita».

Hai mai fatto attenzione a quello che posti?

«In questi tempi di social diffusi, non dovremmo forse fare davvero molta attenzione alle parole che pronunciamo? Alla cattiveria che c’è dentro le nostre parole, pronunciate o scritte? Al veleno che si cela dietro apparenze perbeniste e magari anche educate?»

Le indicazioni concrete di Gesù

«Nell’insegnamento evangelico, Gesù ci indica anche la strada da intraprendere perché il suo amore non sia vano in noi e tutto non si riduca ad un perdono a buon mercato. Sono indicazioni concrete che mostrano atteggiamenti e comportamenti nuovi. Indicazioni di cui far tesoro. Eccole: impegnarsi per la riconciliazione col fratello, impegno per Gesù prioritario. Anche rispetto all’offerta a Dio, alla relazione con Dio».

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