Vescovo Tardelli: una nuova “Vita” per il cammino della Diocesi

La nota del vescovo che illustra alla chiesa di Pistoia il prossimo rilancio del settimanale

Col primo di Marzo prossimo, il nostro Settimanale diocesano “La Vita”, avrà un rilancio per essere sempre di più, strumento efficace di informazione e di formazione, di comunione e di testimonianza cristiana nei nostri territori. Un servizio che il settimanale ha portato avanti con determinazione lungo questi anni e che ora vede una nuova fase che chiede l’impegno di tutti e una responsabile accoglienza da parte dei singoli, come delle comunità parrocchiali, delle case religiose e delle aggregazioni ecclesiali.

Il nostro settimanale può tentare questa nuova avventura perchè viene sostenuto e incoraggiato dal quotidiano cattolico “Avvenire”, giornale credo conosciuto da tutti per la sua qualità e la sua autorevolezza nel panorama della comunicazione a mezzo stampa in Italia. Dal primo di Marzo infatti, “La Vita”, voce della chiesa pistoiese, sarà distribuito insieme ad “Avvenire”, voce della Chiesa in Italia. Ciò sarà senz’altro motivo di grande arricchimento e di qualificazione sia della informazione in genere che dello stesso nostro settimanale.

Ci apprestiamo tra l’altro come chiesa diocesana a celebrare il primo Sinodo dopo il Concilio Vaticano II. Già siamo in cammino per prepararlo e fare in modo che sia veramente espressione di una chiesa in ascolto della Parola, al servizio degli uomini per la testimonianza del Vangelo. Nello stesso tempo ci predisponiamo a vivere l’anno santo Iacobeo, il 2021, che ci permetterà di confrontarci con l’esempio dell’apostolo Giacomo. Tutto questo necessita anche di una buona comunicazione e il settimanale diocesano unito ad “Avvenire”, ci permetterà di camminare tutti insieme sulla stessa strada.

Vorrei dunque che si comprendesse l’importanza di questo mezzo di comunicazione e si sentisse il bisogno di utilizzarlo, da una parte all’altra della diocesi, perché cresca la comunione nella condivisione delle esperienze e della vita delle varie comunità; si qualifichi la formazione in particolare dei laici attraverso i suggerimenti che vengono dalle pagine del settimanale; si offra infine una voce nuova e cattolica all’interno dei vari territori che compongono la diocesi di Pistoia.

Il mio pressante invito dunque è che “La Vita” con “Avvenire”, si diffonda capillarmente in tutto il territorio diocesano; mi auguro che siamo molti gli abbonati e moltissimi coloro che lo acquistano nelle chiese parrocchiali o anche nelle edicole. Facciamo uno sforzo in questo senso, senza lasciarsi prendere dal pessimismo o da quello scetticismo che è perdita di speranza.

Chiedo inoltre che ci si renda disponibili anche a collaborare fattivamente per la redazione del settimanale, la raccolta delle notizie dai vari territori e la diffusione nelle parrocchie.

Affido questo nuova impresa con molta fiducia alla materna intercessione di Maria Santissima, a Colei che ha diffuso nel mondo la più bella notizia di tutti tempi: Cristo Signore.

Pistoia 11 febbraio 2020, memoria della B. Vergine di Lourdes

+ Fausto Tardelli, vescovo




La “locanda” del buon samaritano

Il tema e il programma diocesano per la prossima giornata mondiale del malato

Nella XXVIII Giornata Mondiale del malato, che celebreremo come chiesa diocesana il 9 febbraio p.v., il Papa ci esorta a riflettere, a meditare e a pregare sull’invito di Gesù: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).

In una lettera alla sorella Maria, in data 28 aprile 1873, Bernadette Soubirous scriveva: «Nostro Signore è molto buono; ho avuto la gioia di riceverlo per tutto il tempo della mia malattia tre volte a settimana nel mio povero e indegno cuore. La croce diventava più leggera e le sofferenze dolci quando pensavo che avrei ricevuto la visita di Gesù e l’ immenso favore di possederlo nel mio cuore. Lui, che viene a soffrire con quelli che soffrono, a piangere con quelli che piangono. Dove trovare un amico che sappia compatire e allo stesso tempo addolcire i nostri dolori come Gesù?».

Lo sottolinea anche il Papa nel suo messaggio: «Perché Gesù Cristo nutre questi sentimenti di tenerezza e di misericordia verso i sofferenti? Perché egli stesso si è fatto debole, sperimentando l’umana sofferenza e ricevendo a sua volta ristoro dal Padre. Infatti, solo chi fa in prima persona questa esperienza saprà essere di conforto per l’altro».

La Giornata Mondiale del Malato vuole risvegliare ogni anno la nostra sensibilità verso il Vangelo della sofferenza. Come Chiesa siamo chiamati a diventare sempre più e sempre meglio la “locanda” del Buon Samaritano che è Cristo, cioè «la casa dove i “feriti” della vita possano trovare la sua grazia che si esprime nella familiarità, nell’accoglienza, nel sollievo».

Domenica 9 febbraio alle ore 15.30 ci ritroveremo nella Chiesa madre, la Cattedrale di San Zeno, convocati da Cristo, “Il Buon Samaritano” per accogliere il suo insegnamento: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,29).

Alla celebrazione eucaristica, presieduta dal  vescovo Tardelli e partecipata dalle diverse associazioni di volontariato, seguirà come di consueto la processione mariana che si concluderà alla Chiesa della Madonna del Letto.

L’11 febbraio alle ore 12, il vescovo Fausto sarà presente all’ospedale San Iacopo per incontrare operatori sanitari, medici, infermieri, personale sanitario e amministrativo, ausiliari. A ognuno di loro consegnerà il messaggio del Papa per la XXVIII Giornata del malato. Nel pomeriggio, alle ore 15.30, sua eccellenza presiederà la celebrazione eucaristica, affidando alla Vergine Maria, Salute dei malati, tutte le persone che stanno portando il peso della malattia, insieme ai loro familiari, come pure tutti gli operatori sanitari.

Invitiamo a celebrare la Giornata Mondiale del Malato guardando a Cristo che «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 52,4) ma che ci ripete: «Venite a me!».

 Padre Natale Re, cappellania ospedaliera di Pistoia




Appuntamento in cattedrale per la Candelora

Domenica 2 febbraio si celebrano in cattedrale gli anniversari di professione religiosa e il rito dell’ammissione agli ordini sacri per due seminaristi della Diocesi.

Domenica 2 febbraio ricorre la festa della Presentazione al tempio di Gesù, detta Candelora. In questo giorno la liturgia propone le parole di Simeone che indicano Gesù «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32) e vive la suggestione della benedizione delle candele.

Mons. vescovo celebrerà la santa messa della festa alle ore 18 in Cattedrale. Il 2 febbraio la Chiesa Cattolica festeggia anche la Giornata mondiale per la vita consacrata; durante la messa, infatti, saranno celebrati gli anniversari di professione religiosa dei consacrati e delle consacrate della nostra diocesi, mentre i seminaristi Andrea Torrigiani e Alessio Biagioni saranno ammessi agli ordini sacri. Un’occasione in più per partecipare alla solenne liturgia in Cattedrale. Con il rito dell’ammissione la chiesa riconosce una sufficiente maturazione nel cammino vocazionale di un seminarista. La Chiesa, infatti, ne accoglie l’offerta di sé, lo sceglie e lo chiama, perché si prepari a ricevere in futuro l’Ordine Sacro.

Parteciperanno alla messa anche circa 80 pellegrini della Confraternita di San Giacomo Apostolo di Perugia che percorreranno a piedi il “cammino di San Jacopo” che porta da Lucca a Pistoia. Il loro pellegrinaggio inizia il 1 febbraio da Lucca con la benedizione del vescovo Giulietti, dal 1996 assistente spirituale della Confraternita, prevede quindi una sosta a Pescia dove li attenderà per un saluto mons. Roberto Filippini. I pellegrini arriveranno  a Pistoia nel pomeriggio del 2 febbraio, in tempo per la santa messa in cattedrale presieduta dal vescovo Tardelli. Qui, secondo un’antica tradizione, al termine della celebrazione eucaristica, riceveranno la benedizione del vescovo e la “jacopea”: l’attestato che certifica l’avvenuto pellegrinaggio a Pistoia per la venerazione della reliquia del santo apostolo Giacomo.




La Domenica della Parola di Dio

Una giornata da celebrare “una volta per tutto l’anno” dedicata alla Sacra Scrittura

«Stabilisco, pertanto, che la III Domenica del Tempo Ordinario, sia dedicata alla celebrazione, riflessione divulgazione della Parola di Dio». Con queste parole Papa Francesco ha istituito una giornata  annuale dedicata alla Parola di Dio che celebreremo domenica 26 Gennaio. In questa occasione tutte le realtà ecclesiali sono chiamate a evidenziare l’importanza della Parola di Dio che, come ricorda il Papa, «rivela il senso del mistero pasquale», tiene viva l’identità cristiana ed ecclesiale, aiuta a decifrare l’azione di Dio nella chiesa e nel mondo; produce unità tra le chiese e nella chiesa; aiuta a capire il senso degli eventi; fa conoscere Cristo; genera la fede; rende possibile «il riconoscimento tra le persone che si appartengono» nella Chiesa.

Ma perché dedicare una giornata alla Parola di Dio?  Evidentemente perché nella vita dei singoli credenti come in quella delle comunità cristiane la Parola di Dio non è ancora sufficientemente conosciuta, pregata, praticata.

Rimettere al centro della vita spirituale ed ecclesiale la Parola di Dio significa ricordare che il primato nella vita di fede spetta a Dio. Dio ci parla! È Lui che prende l’iniziativa. Eppure questa consapevolezza, pur ben attestata nella liturgia come nel magistero, non è sufficientemente presente nella vita dei cristiani.

Se non c’è coscienza che Dio ci parla la fede rischia di diventare ripetizione di formule, celebrazione di qualche cerimonia, affermazione di qualche valore, ma non è un’esperienza spirituale. E se non la fede non è Spirito, non è vita, non avrà la forza per cambiare noi e il mondo. Riconoscere la voce di Dio ha a che fare con tutti quegli atteggiamenti umani che permettono l’ascolto, il dialogo, la relazione. In questo le sacre Scritture svolgono un ruolo fondamentale: esse ci fanno conoscere chi era e cosa diceva Cristo, che spesso non è quello che noi pensiamo di Lui. Quanti cristiani hanno letto un vangelo dall’inizio alla fine? Ma non è solo un problema di conoscenza, perché si tratta di imparare a riconoscere nelle sacre Scritture la voce di Dio, il messaggio che illumina la nostra vita, che ci indica la strada, che aiuta a diventare giusti e capaci di amare.

È questo che avviene quando si annuncia, si prega e si medita la Parola di Dio nelle sacre Scritture. Questo compito di mediazione è uno dei ruoli fondamentali della Chiesa e uno degli aspetti della nuova evangelizzazione su cui oggi si deve maggiormente riflettere anche in vista del prossimo Sinodo diocesano che celebreremo nel 2021.

Quando viene annunciata la Parola non c’è esperienza più sconvolgente e feconda di accorgersi che in quella Parola si parla di noi; e allora, come a Natanaele, come alla Samaritana, come ai discepoli di Emmaus, si aprono gli occhi, si dilata il cuore nella gioia, ci si apre alla speranza e all’amore di Dio, si diventa testimoni di Lui.

Ben venga la giornata della Parola di Dio che il Papa ci invita a celebrare non una volta all’anno, ma «una volta per tutto l’anno». E per far questo ci suggerisce concretamente di intronizzare la Parola di Dio nella celebrazione domenicale, di regalare una bibbia o un vangelo ai fedeli, di curare sempre l’omelia e la predicazione della Parola, di introdurre alla lectio divina. Sono suggerimenti che dobbiamo recepire perché, come ci ricorda il Papa citando san Efrem il Siro,  Dio «ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla».

don Cristiano D’Angelo




Lasciarsi trovare da chi cerchiamo

Una sintesi dell’omelia del vescovo per l’ordinazione presbiterale di Fratel Antonio Benedetto

Nella sera dell’Epifania monsignor Tardelli ha ordinato sacerdote Fratel Antonio Benedetto, priore della fraternità apostolica di Gerusalemme di Pistoia. L’ordinazione si è svolta nella chiesa di San Bartolomeo in Pantano, sede della fraternità, per l’occasione colma di fedeli. La liturgia, animata dai monaci e dalle monache di Gerusalemme, si è svolta in un vibrante clima di preghiera, accompagnata -complici gli spazi suggestivi dell’antica chiesa romanica- da un percepibile calore umano.

«Come i re magi – ha ricordato nella sua omelia mons. Tardelli – hai viaggiato per terreni accidentati, cercando come a tentoni un segno che chiarisse i tuoi desideri profondi, le tue attese, il senso del tuo essere al mondo. Hai camminato e cercato, senza sapere bene Chi stavi veramente cercando e forse confondendo a volte una cosa con l’altra». Il vescovo allude sinteticamente alla storia vocazionale di Fratel Antonio, arrivato – attraverso una profonda inquietudine, dal mondo della musica rock e dalla lontananza da Dio fino alla conversione e poi alla vita religiosa:

«Come i re magi, sei partito da terre lontane dell’anima; hai domandato, chiesto, provato ad imboccare strade diverse. Finché poi Lui, il Signore stesso, la luce che è venuta ad illuminare ogni uomo, non ti è venuto a cercare…. E ti ha trovato, inaspettatamente, meravigliosamente. Da quel momento, come dietro ad una stella cometa hai cominciato a viaggiare con una luce nel cuore».

Un cammino che ha condotto Antonio fino a Pistoia, nella fraternità apostolica di Gerusalemme: «Ti sei lasciato guidare e prima ti ha condotto a una famiglia di fratelli e di sorelle che il Signore ha messo insieme per essere lievito di speranza dentro le città degli uomini, attraverso la gioia della fede, la comunione dei cuori, l’annuncio lieto del Vangelo dell’amore di Dio. E da questa fraternità oggi eccoti qua come i magi davanti al bambino Gesù, che stende verso di te le sue manine perché tu lo abbracci definitivamente e lo porti sempre con te per donarlo poi agli altri».

Il vescovo ha indicato nel riferimento alla solennità dell’Epifania un vero e proprio programma di vita sacerdotale: «tu, carissimo fra’ Antonio benedetto, diventi presbitero, nel giorno in cui la Chiesa celebra l’Epifania del Signore, la sua manifestazione al mondo; l’apparire della misericordia di Dio nella storia. Durante il tempo natalizio, quando più dolce e tenero appare l’amore misericordioso di Dio per l’umanità, quando il Figlio di Dio ha preso carne nel piccolo bambino di Betlemme. Che questo ti insegni e insegni a tutti noi che condividiamo l’ordine sacro, a vivere il ministero come un segno e una testimonianza di misericordia e di tenerezza, attraverso quel farsi piccoli, nella povertà e semplicità di vita che è la strada maestra scelta da Dio per salvare l’umanità».

Non è mancato un riferimento alle preoccupanti tensioni internazionali di questo inizio di anno attraverso l’immagine delle luce e delle tenebre suggerita dalla liturgia: «noi oggi celebriamo la luce del Signore che brilla sopra l’umanità e di essa siamo chiamati a rivestirci, nonostante che la tenebra ricopra la terra e nebbia fitta avvolga i popoli. – E quanto sono vere queste parole proprio oggi, quando dense e nere nubi di tempesta attraversano il cielo del mondo e siamo tutti atterriti da ciò che potrebbe accadere di terribile per le sorti dell’umanità da un momento all’altro. – La parola di Dio ci richiama tutti, noi chiesa del Signore, e noi ministri del Vangelo e tu caro Antonio a non farci mai vincere dalle tenebre ma a sperare e lottare perché trionfi la luce di Cristo e del suo amore sempre. Siamo certi che le tenebre non possono vincere la luce, ma sappiamo anche quanto sia necessario dare testimonianza alla luce con l’impegno di tutti i giorni e la fatica della coerenza». «Che il tuo e il nostro ministero, carissimo Fra Antonio Benedetto, – ha continuato il vescovo- sia dunque un continuo accendere luci nel cuore delle persone».

La solennità dell’Epifania, infine, invita ad allargare lo sguardo, a sentirsi inseriti in un disegno di salvezza in cui nessuno è escluso. «Diventar preti in questo giorno, – ha ricordato il vescovo- significa allora sentirsi parte particolarmente operosa di questo disegno grande di Dio. Si è preti mai per un piccolo gruppo, per una piccola famiglia, per un piccolo luogo. Si è preti invece per tutta la chiesa; per tutta una chiesa diocesana; per la chiesa intera sparsa nel mondo, per tutta intera l’umanità. Perché da preti e come preti si è resi participi in un modo tutto particolare, del cuore largo di Cristo che ama ogni uomo e vuole ogni uomo partecipe del suo corpo. Per cui, anche se un presbitero è legato a un territorio e a una precisa comunità ecclesiale, egli deve avere il respiro del mondo e l’anelito di Cristo che vuole ogni uomo salvo e deve perciò vivere e pregare per il compimento ovunque del Regno di Dio. Cosa oggi più che mai importante, quando popoli e genti si mescolano e il mondo ormai si è fatto un unico villaggio globale».

In questa Epifania, ha concluso il vescovo Tardelli, si sono rovesciate le parti: «è il Signore stesso infatti che apre i suoi scrigni e dona a noi, davvero poverelli e indegni suoi figli, non oro, incenso e mirra, bensì un uomo che da ora in avanti sarà per noi e in mezzo a noi immagine viva e concreta del Buon Pastore».

A conclusione della messa è arrivato alla chiesa di San Bartolomeo un corteo di figuranti del presepe vivente che nella vigilia di Natale ha attraversato le vie del centro cittadino; tra loro tre re magi a cavallo. Fratel Antonio è stato invitato a montare in sella e, nei panni di novello prete e re magio, ha cavalcato benedicendo i passanti incuriositi, accompagnato da amici e fedeli, fino alla chiesa di San Paolo per un momento di festa.




In ascolto del popolo di Dio

Sinodalità: una chiesa chiamata a diventare sè stessa.

Disponibile on line la scheda per l’ascolto del popolo di Dio, primo e decisivo passo per la preparazione del sinodo diocesano previsto per il gennaio 2021.

Nella sua ultima lettera pastorale «…e di me sarete testimoni» (EDMST) il vescovo Tardelli ha espresso l’intenzione di celebrare un Sinodo diocesano nel 2021. La preparazione e la celebrazione di un Sinodo sono una grande occasione per imparare a tradurre in modalità concrete il nostro essere Chiesa comunione (EDMST 23). Il tema proposto dal vescovo per il Sinodo, dopo essersi confrontato nel consiglio presbiterale, nell’assemblea del clero di Giugno 2019 e nei vari organismi di partecipazione diocesani, è quello della «missionarietà e della evangelizzazione» (EDMST 25).

L’urgenza di aprire una nuova stagione missionaria fa eco al magistero di tutti gli ultimi Papi e risponde all’invito fatto da Papa Francesco ad una conversione in senso missionario di tutta la pastorale (Evangelii Gaudium 27). Una delle forme con cui attuare questa “conversione” è proprio la sinodalità:

«la messa in atto di una Chiesa sinodale è presupposto indispensabile per un nuovo slancio missionario che coinvolga l’intero popolo di Dio» (EDMST 24), perché non può esserci missione efficace senza comunione, senza corresponsabilità e senza la partecipazione di tutti i battezzati all’annuncio del vangelo.

Il tema dell’evangelizzazione è decisivo per la Chiesa, chiamata a custodire e annunciare il seme del vangelo per le generazioni future. Quando ci confrontiamo sulle difficoltà della Chiesa, quando enumeriamo le fatiche e le ansie degli uomini del nostro tempo, o quando prendiamo atto di quelle che il vescovo ha chiamato “le attese di vangelo”, non facciamo altro che porci il problema di come fare perché la gioia del vangelo fecondi queste realtà.

Tutto questo è ampiamente condiviso tra noi. Ma come trovare le risposte giuste, come fare ad avviare processi di cambiamento che trasformino il mondo in senso evangelico e ridiano vitalità alle nostre comunità non è affatto facile. Una cosa però è certa, la risposta la dobbiamo cercare insieme. A questo serve un Sinodo.

Sappiamo che non è e non sarà facile vivere il Sinodo e a volte potremmo pensare: a che serve? È una perdita di tempo! Non cambierà nulla! È tutto vero: non siamo abituati, non è semplice, non sappiamo cosa effettivamente produrrà un sinodo, ma la sfida è ineludibile. Nessuno è chiesa da solo, nessuno da solo può vivere tutto il vangelo, nessuno da solo può risolvere i problemi del mondo. Vivere il sinodo potrà essere faticoso, ma sarà una grande primavera dello Spirito se sapremo metterci insieme ad ascoltare per cercare di capire e pensare il futuro e, soprattutto, se proveremo a viverlo. È uno stile nuovo a cui non siamo abituati. Per questo ci vorrà pazienza e fiducia. Ma al di là dei risultati immediati, che potranno esserci o non esserci, se avremo vissuto questo tempo con la disponibilità a scommettere in un nuovo stile di chiesa, almeno questo certamente rimarrà! Perché provare a vivere insieme le cose è già un cambiamento.

LA SCHEDA PER L’ASCOLTO DEL POPOLO DI DIO

La scheda per l’ascolto del popolo di Dio è stata approvata dal vescovo, dopo essere stata discussa con i vicari foranei, con i direttori degli uffici pastorali e con il consiglio presbiterale.

La scheda è anzitutto un’occasione di formazione, un invito al confronto, un aiuto per il discernimento; una sollecitazione per tutti i battezzati perché maturino sempre più la consapevolezza di essere protagonisti della missione.

Dopo le domande del vescovo, la scheda propone una serie di brani dall’Evangelii Gaudium di Papa Francesco che è il programma del Pontificato in vista di un rinnovamento missionario di tutta la vita pastorale della Chiesa.

Ad ogni brano segue una domanda. Queste domande vogliono aiutarci a confrontarci guardando la nostra situazione diocesana, a partire dalla visione più ampia sulla situazione ecclesiale che ci è consegnata nella Evangelii Gaudium.

La scheda può essere usata per un itinerario formativo di più incontri che ogni parroco e realtà ecclesiale avrà cura di programmare per tempo secondo la propria realtà e situazione.

Si consiglia di fare almeno tre incontri: uno sui contenuti, i modi e lo stile della sinodalità; uno sulle domande tratte dall’Evangelii gaudium; uno sulle domande 1-4 (quelle proposte dal vescovo) e sulla domanda 15, che sono quelle più direttamente finalizzate ad individuare delle piste concrete su cui poi dovrà riflettere il Sinodo diocesano.

È importante che gli incontri siano vissuti in un clima di preghiera, fraternità e digiuno, come ci ricorda il vescovo, così da potersi mettere nella condizione migliore possibile per discernere la volontà del Signore e i segni dei tempi.

La scelta dei sinodali e il calendario di massima verso il sinodo, i criteri e le modalità di preghiera con cui scegliere i sinodali saranno comunicati prossimamente. In questa prima fase di ascolto quello che è importante è il cammino di discernimento che deve essere fatto dal numero maggiore possibile dei membri delle comunità cristiane da cui poi i sinodali dovranno essere scelti.

don Cristiano D’Angelo, vicario per la pastorale




Dossier Caritas: la nuova emergenza è la casa

Presentati i dati dell’attività della Caritas per l’anno 2019. Tra le tante criticità emerge sempre più una zona grigia di difficoltà che riguarda trasversalmente tutte le famiglie: l’acquisto, la ricerca, il mantenimento di un’abitazione sta diventando un serio problema.

La mancanza di lavoro e l’instabilità delle relazioni sono gli altri fattori determinati nella marginalità. Ne abbiamo parlato con Marcello Suppressa, delegato regionale e direttore di Caritas Pistoia

di Michael Cantarella

Le relazioni familiari, il lavoro, la casa. Sono questi tre i pilastri che quasi sempre determinano la vita delle persone, le tengono al sicuro, prospettano futuro e dignità. Se crolla anche solo uno di questi tre sostegni ecco si affaccia lo spettro dell’emarginazione, della difficoltà. Il dossier Caritas di quest’anno ci propone una lettura molto complessa della realtà, che va al di là dei numeri e che per la prima volta pone al centro la questione della “casa”.

Quest’anno il Dossier parla del “problema casa”, quali sono i segnali più preoccupanti?

«In questo Dossier abbiamo approfondito il tema della casa in quanto risulta essere una questione che necessita di essere primo piano messa al centro dell’attenzione non solo in relazione al sostanziale aumento di persone e famiglie senza casa, ma soprattutto in relazione alla mancanza di risposte adeguate. La povertà sempre più si afferma come evidenza di una società in crisi dal punto vista strutturale, una società in cui i diritti diventano sempre più insostenibili. Le problematiche legate all’abitare non rimandano, infatti, solamente alla necessità di aumentare gli interventi alle persone, ma al fatto che per molte persone la casa è diventata insostenibile economicamente. Questa considerazione specifica sulla casa, crediamo debba essere seriamente considerata in relazione alla povertà, quindi, come ambito in cui si perdono i diritti».

Come si strutturano le povertà in diocesi?

«Come ribadito sia nel dossier di quest’anno che alla presentazione, il territorio della diocesi di Pistoia è molto eterogeneo e le attività dei centri Caritas incontrano povertà diverse a seconda del contesto territoriale. I centri che operano sul territorio cittadino di Pistoia sono sicuramente quello che hanno il carico maggiore, si tenga conto infatti che circa i 2/3 delle persone incontrate risiedono a Pistoia, il Centro d’Ascolto diocesano in 6 mesi ha incontrato quasi 800 persone, si tratta per lo più di famiglie con a carico figli minori e non. Una parte di queste persone si affacciano ai nostri centri per la prima volta proprio quest’anno (circa un sesto) e per loro la Caritas è una sorta di ultima spiaggia per così dire, infatti, soprattutto per gli italiani, riscontriamo una certa ritrosia nel rivolgersi ad un Centro Caritas, per vergogna o anche semplice orgoglio. Spesso le persone quando arrivano ai nostri centri presentano problemi ormai incancreniti e quasi irrimediabili (uno sfratto esecutivo imminente, una situazione debitoria ormai irrecuperabile ad esempio). Dall’altro lato purtroppo assistiamo ad una cronicizzazione delle situazioni, non di rado capita che figli di assistiti, una volta messa su famiglia, accedano a loro volta al Centro d’Ascolto per richiedere quelli che sono sempre stati gli aiuti di cui hanno goduto i genitori, diventa cioè una prassi rivolgersi a Caritas per chiedere aiuto, un’azione quotidiana normalissima come andare a fare la spesa o andare alle poste per pagare una bolletta. Queste due tipologie di persone possono essere riscontrate però in tutti i Centri d’Ascolto degli altri comuni della diocesi, non solo in quello di Pistoia, ci preme sottolineare però come alcuni territori presentino peculiarità uniche, come ad esempio i comuni della provincia di Prato, soprattutto Montemurlo, dove incontriamo in maggioranza persone di cittadinanza straniera, con gravi problematiche con maggiore frequenza rispetto anche a territori adiacenti (ad esempio problematiche legate alla mancanza di un regolare permesso di soggiorno, sfruttamento e lavoro nero). Poi ci sono tutte quelle persone che vivono in una situazione di grave marginalità, persone senza dimora, o con un alloggio di fortuna e precario, con molteplici disagi, sia dato di vista delle dipendenze che della salute e della disabilità (sia fisica che mentale)».

L’esperienza dell’emporio è positiva?

«L’esperienza dell’emporio è molto positiva. In quanto raccoglie dentro di sé davvero tante realtà pistoiesi. La Caritas ne il capofila, ma rimane senza dubbio il vero valore aggiunto che all’interno di questa esperienza sia confluita Misericordia con l’eredità esperienziale dello Spaccio della Solidarietà, le Caritas parrocchiali del Centro e molti volontari che si sono avvicinati a questa esperienza spontaneamente. L’Emporio è stato fortemente sostenuto, nella sua realizzazione, dalla Fondazione Caript, che con generosità ci ha fornito i mezzi, gli spazi e le risorse iniziali per avviare il servizio.
Conad ci ha generosamente offerto l’allestimento dei beni da consegnare alle famiglie e un buon accordo commerciale per le risorse da acquistare via via. Sottolineiamo però la collaborazione con Coop, che sia a livello Regionale che locale, ha da sempre sostenuto le attività di Caritas, con le raccolte alimentari, le iniziative della Sezione Soci di Pistoia e della Fondazione il Cuore si scioglie.

Le raccolte sono state, inoltre, una risorsa fondamentale, non solo per il reperimento dei beni, ma anche e soprattutto per la sensibilizzazione del territorio pistoiese. Cogliamo l’occasione per ringraziare tutte le catene commerciali che, piccole o grandi, ci hanno permesso questa attività: Tuodì, Esselunga, Lidl.

Dopo un anno di attività dell’Emporio della Solidarietà, nato per rispondere alle molte esigenze di famiglie e singole persone che si trovano in povertà alimentare, ci avviamo a fare il primo resoconto di questa importante attività. Alla fine di novembre le tessere attive, caricate a punti, per accedere all’Emporio erano 483 per un totale di assistiti di 1677. Accedono all’Emporio dopo una valutazione da parte del nostro Centro di Ascolto».

Riscontra una mutazione, al di là dei numeri, del tipo di richieste?

L’emporio è certamente un esempio di come i servizi della Caritas si siano adeguati, con il passare del tempo, alle richieste delle persone che si affacciano nei nostri servizi. La povertà – lo abbiamo sottolineato più volte – è un concetto trasversale che interessa un po’ tutti. Non possiamo parlare di povertà senza pensare alla normalità delle famiglie, che si trovano davanti a spese impreviste o malattie: chi di noi non si riconosce in questo? Pur permanendo una netta fascia di povertà assoluta che cerchiamo di contrastare con servizi basilari (mensa, accoglienza notturna, vestiario..) rimane la grande sfida che ci viene imposta da queste nuove povertà, tanto normali e tanto vicine, che c’interrogano quotidianamente. Quindi la nostra progettazione sarà rivolta a cercare misure a sostegno delle famiglie, degli uomini soli, delle persone più fragili. Le richieste alle quali far fronte? Bollette, affitti, sostegno economico per i figli, cure mediche».

Qual è il ruolo dei volontari oggi?

«Il volontario – oggi è sempre più in futuro – ha un ruolo importantissimo, il volontario è colui che – in un’ottica generativa – deve stimolare le persone a ripartire: dopo una caduta, dopo un lutto, dopo un disastro economico o più semplicemente nell’affrontare le sfide del quotidiano. Il volontario deve uscire da un’ottica assistenziale e generare resilienza. Le persone che si rivolgono a Caritas hanno bisogno di ritrovare fiducia e speranza. Riuscire ad essere credibili, competenti e preparati: crediamo sia la sfida più importante che lanciamo a chi si affaccia nei nostri servizi e ci chiede di far parte della squadra. Non a caso diamo particolare importanza alla formazione. All’interno del nostro dossier abbiamo detto che il volontariato puro è forse la risposta più coraggiosa ad una società che ci vuole tutti più consumatori e tutti più impegnati a produrre. I nostri volontari, in silenzio e senza troppi clamori mediatici, sono costantemente impegnati a produrre gesti di amore verso coloro che ne hanno più bisogno. A loro non diciamo grazie, perché sarebbe fin troppo scontato e non è il grazie che cercano, gli diciamo: andiamo avanti, insieme c’è bisogno ancora e ancora di persone coraggiose, di folli che credono ancora in un mondo migliore e possibile, fatto di giustizia e diritti per tutti».

Cosa significa e significherà fare carità oggi e nei prossimi anni?

«Il rischio più forte che corriamo è che la carità si riduca solo ad una dimensione di risposte ai bisogni, con una scarsa dimensione di advocacy, limitate forme di collaborazione con altri soggetti, con rischi non marginali di approcci giudicanti sulle condizioni delle persone in difficoltà. Questo c’impone una ragionevole verifica della proposta pastorale Caritas rispetto al territorio; non si tratta di rinunciare a presidi ecclesiali territoriali, ma di rileggere innanzitutto il senso della proposta Caritas in termini di animazione per le nostre comunità parrocchiali.
Soprattutto, confrontandosi con un diverso tessuto parrocchiale, attraversato da strategie di ricomposizione dell’impianto ecclesiale tradizionale (zone, comunità pastorali, riduzione delle parrocchie, accorpamenti diocesani, etc.) dobbiamo ripensare probabilmente diversi approcci animativi e le aspettative di esito. Si tratta di rileggere l’indicazione circa la consonanza “ai tempi e ai bisogni”, nel senso di far emergere la capacità della Caritas di cogliere le tendenze culturali, sociali e politiche, innervandole di Vangelo in modalità creativa e di confine, e in qualche modo profetiche. La carità dovrà farci riscoprire il “carisma della soglia”. Dobbiamo essere consapevoli e preoccupati della distanza, che noi per primi registriamo, tra un atteggiamento diffuso di non accoglienza e di intolleranza nelle nostre comunità ecclesiali nei confronti dell’altro e del diverso e la lettera e lo spirito del Vangelo di Gesù. Per questo siamo sempre più convinti che dobbiamo diventare sempre di più una chiesa in uscita, una chiesa, cioè, che sa da dove viene e dove va, una chiesa estroversa, che esce per le strade del mondo, là dove l’uomo vive, capace di stare in compagnia di tutti gli uomini e le donne di buona volontà».




Fratel Antonio: dal perdono al sacerdozio

La storia di Fratel Antonio, che sarà ordinato sacerdote il prossimo 6 gennaio. Il racconto di una vita trasformata dal sacramento della riconciliazione.

Bologna, agosto del 2000. Un giovane musicista vaga per la città semideserta in cerca di un prete per confessarsi. Già, confessarsi. Quel sacramento che oggi pare anacronistico, irrituale; quasi sconveniente raccontare le proprie malefatte a uno sconosciuto. E invece Antonio ha bisogno di confessarsi, di liberarsi.
Pochi giorni prima ha avuto un terribile incidente da cui è uscito illeso. Un incidente che poteva stroncare una vita che sembrava destinata a grandi cose. Per il mondo. C’è una chiamata: unica, forte, improcrastinabile che gli risuona dentro. E mentre ascolta quella voce, sempre più forte, incontra, in quel giorno d’agosto, un frate domenicano in una chiesa vuota. Un signor nessuno. Che però lo ascolta «per un tempo lunghissimo, per una confessione molto complessa, una confessione liberante». Soltanto dopo Fratel Antonio scoprì che quel signor nessuno era fra Michele Casali, il frate degli artisti, giornalista, teologo e confessore di molti cantautori bolognesi. Insomma un pezzo da novanta che quel giorno d’estate accoglie la resurrezione di Antonio.

Antonio Sorrentino, nato il 18 giugno del 1972 a Bentivoglio (Bologna), ha un passato da artista poliedrico, con un curriculum di tutto rispetto, ricco di esperienze in vari ambiti e di tante collaborazioni. All’età di 16 anni vince addirittura un concorso nazionale di poesia indetto dalla casa editrice Cultura 2000. Nel 1998, dopo aver conseguito la laurea in pittura all’Accademia di Belle Arti a Bologna, inizia la sua attività pittorica (che lo vedrà realizzare numerose mostre collettive e personali, realizzazioni grafiche per dischi, scenografie per locali, ecc.) per poi passare alla musica. In quegli anni Antonio, infatti, musica le sue poesie e fonda la sua prima band di stampo rock blues.

Dopo quella confessione -aveva 28 anni- Antonio fece la cresima e iniziò in parrocchia un cammino di conversione e purificazione (eucaristia quotidiana, volontariato all’Associazione Papa Giovanni XXIII, e poi tra i poveri di P. Marella) che durerà 8 anni. Il suo cammino culminerà con la consacrazione al Signore nella Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia il 3 settembre 2008.

Antonio in una foto giovanile

Il tuo è stato un lungo cammino di conversione. Perché hai deciso di cambiare tutto?

«Al culmine del mio successo ho visto tutto come spazzatura. Ho detto no al mondo. Molti oggi aspettano sempre il momento giusto per dire sì. Tutti programmiamo tutto, aspettiamo il momento giusto per far succedere le cose, per imbarcarsi in nuove avventure. Finisco questa cosa e parto. In realtà, quando si scopre qualcosa di veramente grande non ci possono essere compromessi e si lascia tutto quello che si è costruito nella vita. A me è successo così, mi sono fidato del Signore e ho seguito la direzione che lui aveva tracciato per me».

Come ti senti in questo momento?

Riguardando la vita spirituale di questi anni ho potuto scorgere dei piccoli segni interiori e esteriori, come se il Signore mi avesse guidato in questo percorso: si sono aperte tante porte, superate tante difficoltà insormontabili. Nel rivedere questi tratti di cammino, riconosco l’emozione nella fiducia nella “voce” che mi guidava e mi guida.

Come si fa a trovare Dio?

Io non ho cercato Dio direttamente, ho cercato una porta aperta. Cercavo la vita e la verità, ma durante il cammino mi si è rivelato il Signore. Lui ha approfittato di quello spiraglio lasciato aperto per farsi scoprire da me.

A partire dalla tua esperienza ti senti di proporre un messaggio?

I messaggi che vorrei dare sono due: uno è rivolto ai giovani ed è questo: lasciate un piccolo spiraglio aperto a Dio nella vostra vita, anche se non credete; cercate di rimanere sempre alla ricerca del trascendente, non perdete mai di vista la vita spirituale, non cadete nell’inganno che la nostra vita sia soltanto materiale.
L’altro è un messaggio rivolto alle mamme. I miracoli, le resurrezioni… accadono per davvero; c’è chi vede perso il proprio figlio, ma se una madre prega e crede nell’opera del Signore una conversione può sempre avvenire!

Sarai ordinato sacerdote dal nostro vescovo Fausto nella chiesa di San Bartolomeo il 6 gennaio prossimo. Perché lì e non in cattedrale?

Mi sento a casa nel monastero di San Bartolomeo; qui infatti ha sede la mia fraternità, ora è la mia chiesa, è un ulteriore dono del cielo.

Quale sarà il tuo compito all’interno della fraternità?

La vita sacerdotale e il priorato sono già due attività molto delicate. Mi piacerebbe dedicare gran parte del mio tempo alla confessione. La confessione è stato uno dei momenti più belli della mia conversione, fa parte infatti del mio bagaglio di felicità.
La confessione è molto importante; è il segno della misericordia di Dio, un canale dell’amore di Dio. Molte persone si avvicinano alla chiesa perché hanno bisogno di aiuti materiali. Nella confessione si accolgono anche sfoghi di ogni genere. Attraverso la confessione e la direzione spirituale si può spostare la visione materiale, risolvere un problema concreto… con la confessione si fa riscoprire il vero volto di Dio, che tanti non conoscono. La confessione è un momento intimo, particolare, dove forse il cuore è più aperto e sensibile.

Daniela Raspollini

Sacerdote per l’Epifania

Fratel Antonio Sorrentino è attualmente priore della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia. La fraternità ha sede presso i locali della parrocchia di San Bartolomeo, antico monastero benedettino nel cuore della città. I monaci di Gerusalemme prestano servizio presso la chiesa di San Bartolomeo, la chiesa di San Paolo Apostolo e la Basilica della Madonna dell’Umiltà, dove abitano le sorelle della fraternità. Con Fratel Antonio la fraternità si arricchisce di un altro sacerdote accanto da Giordano Favillini.
L’ordinazione sacerdotale, presieduta dal vescovo Tardelli sarà celebrata alle ore 17 lunedì 6 gennaio, solennità dell’Epifania del Signore presso la chiesa di San Bartolomeo.




Quel che ti chiede il Natale

Il messaggio del vescovo Tardelli per le festività natalizie

 

Da un po’ di tempo non riesco purtroppo a pensare al Natale coi colori della festa, delle luci e dell’allegria. Non me ne vogliate. Non ci riesco perché, quasi come un’ossessione, mi viene subito alla mente come il Salvatore del mondo fu accolto – perché di Lui si parla a Natale, il Natale è il Suo – quando venne nel mondo per dare compimento alle promesse antiche. «Veniva nel mondo la luce vera» – ci dice l’evangelista Giovanni – «eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto».

In effetti, la narrazione evangelica ci presenta la nascita di Gesù avvolta nella precarietà, dentro a una stalla, in una mangiatoia, fuori dalla città.  Il Re dei re, il Signore dei signori, l’unigenito figlio di Dio venne in mezzo a noi – atteso da secoli – e trovò le porte chiuse; si dovette adattare, con una madre che lo partorì tra gli stenti e poche persone, anche non molto raccomandabili come erano i pastori di Betlemme, a stringersi attorno a Lui.

C’è poco da fare: in me la gioia della nascita del Salvatore rischia di essere vinta dall’amarezza delle nostre chiusure di cuore. Anche perché la triste vicenda della nascita del Salvatore non è circoscritta a quel tempo. È attuale. Anche oggi mi viene da dire: quanti di noi sono davvero pronti ad accogliere Lui nella propria vita? E insieme a lui anche gli altri? È vero, siamo presi da mille cose e mille problemi; abbiamo grosse preoccupazioni e anche una giusta voglia di svago e di spensieratezza. Va tutto bene. Però la domanda rimane ed provoca ognuno di noi: sei disposto ad accogliere il Cristo nella tua vita? A dargli spazio, a farlo regnare in te? E sei disposto ad ascoltare con attenzione chi ti sta accanto, il tuo compagno o la tua compagna, i figli, il vicino, il collega? Sei disposto a farti prossimo, particolarmente di chi è nel bisogno? Sei disposto a pensare un po’ meno a te stesso, a quello che ti piace, a quello che vorresti, a quelli che sono i tuoi benedetti diritti e i tuoi desideri, per far posto invece a Dio, alla sua parola e ai suoi inviti, ai suoi comandamenti, come pure agli altri, da servire con attenzione e premura?

Il Natale per me allora ha senso se è un momento nel quale si prende in mano la nostra coscienza e la si mette davanti a Dio. Se cioè ci si lascia interrogare e forse anche inquietare per le nostre chiusure e i nostri egoismi. In questo caso il Natale sarà vero, perché forse produrrà qualche effetto positivo in noi e conosceremo quella gioia che viene solo dall’accoglienza di Dio nella propria vita.

Il Santo Padre ha scritto nei giorni scorsi una bellissima lettera sul presepe, invitando a mantenere viva una preziosa tradizione che risale addirittura a San Francesco. E lo faremo. Di questi tempi di presepi se ne vedono tanti in giro. Ma il presepe serve per mettercisi davanti e riflettere; serve per pensare al mistero di un Dio che non ha paura a farsi piccolo e debole per amore; che venne non per essere servito ma per servire. Quella capannuccia col bue e l’asinello e coi pastori ha valore in quanto mi chiede se sia disposto ad accogliere Dio nella mia vita e ad accogliere gli altri nella pace, vicini o lontani, chiunque essi siano.

+ Fausto Tardelli, vescovo




Il segno del presepe: la misericordia che nasce dalla tenerezza

Intervista esclusiva a padre Mauro Gambetti, custode del Sacro Convento di Assisi

a cura di Daniela Raspollini

Di recente la diocesi di Pistoia ha partecipato al grande pellegrinaggio della Toscana verso Assisi nel quale le diocesi hanno offerto l’olio che arde sulla tomba di San Francesco; questo atto di devozione al Santo ha consolidato l’unione tra Assisi e la Toscana. Come proseguirà nel corso dell’anno il legame tra la città di Francesco e la chiese toscane?

Il rapporto tra le nostre due realtà è molto intenso, anche grazie ai tanti luoghi francescani presenti nella vostra regione: La Verna, dove «da Cristo prese l’ultimo sigillo», Arezzo, dove Francesco scacciò i demoni «con la potenza della sua parola», ma anche Cortona, Siena, Firenze, l’Amiata, Poggibonsi… Partiremo dalla valorizzazione di questi posti “simbolo”. Di certo non mancherà alla diocesi la fantasia e la creatività per nuove proposte, che saremo pronti ad abbracciare.

Il Santo Padre ha aperto il tempo di Avvento con la sua visita a Greccio a cui è seguita la sua lettera apostolica Admirabile Signum. Qual è la forza dell’intuizione di Francesco d’Assisi?

La lettera di Bergoglio ha messo in luce, tra gli altri, due aspetti importanti dell’intuizione di Francesco: identità e inclusività. Fare il presepe significa affermare la propria identità, la propria fede nel Figlio di Dio, l’adesione a Cristo. È il segno che il Natale, la “festa delle feste” (come veniva chiamato da san Francesco), è vivo dentro di noi. Allo stesso tempo, il presepe implica apertura verso gli altri. La grotta in cui nasce Gesù, infatti, non ha una porta chiusa, è aperta a tutti. Proprio i Magi venuti dall’Oriente ci dicono che è luogo d’incontro, di accoglienza, di relazioni non solo tra culture diverse, ma tra poveri e ricchi, tra santi e peccatori e soprattutto tra chi sogna e cerca un mondo a misura di Vangelo, a misura d’uomo.

È bello rileggere ciò che ci hanno tramandato le Fonti Francescane sull’origine del presepe. In particolare sottolineare il rapporto con l’Eucarestia: ce lo può spiegare meglio?

In quella scena, San Francesco – per citare la Vita Prima di Tommaso da Celano – ha  onorato la semplicità, esaltato la povertà, lodato l’umiltà. Francesco ha dato vita a un luogo in cui venisse saziata la fame. Il presepe, in questo senso, è un luogo che sfama i bisogni insiti nel cuore di ognuno. Così, nel presepe, Greccio diviene la nuova Betlemme. Nella stalla si rivive la povertà di Cristo, il suo farsi uomo, così come, nell’eucarestia riviviamo il suo farsi carne, farsi cibo per noi. Ed è per tutti motivo di gratitudine, di eucarestia.

Il Papa ci invita a riprendere la bella tradizione di preparare nei giorni precedenti il Natale il presepe nelle nostre famiglie. Perché, secondo lei, papa Francesco ha voluto concentrarsi proprio sull’importanza del presepe?

Per ricordare la logica della misericordia che nasce dalla tenerezza di Dio. Gesù viene al mondo come ogni altro bambino, è piccolo e indifeso, patisce la fame e il freddo: un’immagine incredibile, che ci sorprende e che, come ha detto papa Francesco «ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio», amata da Dio.

«Il Mirabile segno del presepe suscita sempre stupore e commozione – afferma Papa Francesco – pregando ai piedi del presepe si può vedere una luce di speranza nella tragedia del nostro tempo». È davvero così?

È proprio così. Mi permetto di aggiungere una testimonianza contemporanea: quegli alberi abbattuti lo scorso anno dalla tempesta Vaia, in Veneto, sono diventati non il segno della disperazione dell’uomo, ma la possibilità di ricominciare. Infatti quel legno è diventato scultura, è diventato artigianato, è diventato un presepe, che siamo onorati di ospitare qui ad Assisi, in piazza Inferiore.

La lettera passa in rassegna i vari paesaggi e segni del presepe: il cielo stellato nel buio, gli angeli, i pastori, i Re Magi… Ciascuno di questi elementi porta con sé un significato ed è un messaggio per tutti noi. Qual è il suo personaggio preferito?

Il mio personaggio preferito è il fornaio. Il Papa lo cita perché, nonostante sembri «non avere alcuna relazione con i racconti evangelici», in realtà «rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni». È bellissima la capacità di saper attendere del fornaio: oggi questa virtù manca, vogliamo tutto, subito e a nostra immagine e somiglianza.

Il papa ci invita a sostare in contemplazione davanti al presepe. Può essere considerato anche un aiuto alla preghiera?

Decisamente sì. Francesco d’Assisi davanti al presepe chiede e vive una delle più importanti virtù umane: «Intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato (quel Bambino) per la mancanza delle cose necessarie a un neonato».

E voi frati che presepe realizzerete ad Assisi?

Il presepe che abbiamo allestito quest’anno ci è stato donato dalla regione Veneto, proviene dalle zone devastate dalla tempesta Vaia nell’ottobre 2018. Il legno è proprio quello degli alberi – abeti rossi – abbattuti dalla furia del vento: il nostro Natale è dedicato alla cura e alla salvaguardia del Creato, per ricordare che tutti siamo responsabili di Sora Madre Terra. Siamo chiamati a proteggerla, siamo chiamati a comprendere che un cristianesimo non incarnato è solo teoria. Il presepe ci ricorda che il messaggio cristiano è evento nella storia dell’uomo, nel cuore dell’uomo.