Conoscere e superare le dipendenze oggi

Come affrontare il crescente consumo di droghe? Intervista a Franco Burchietti, presidente del CEIS di Pistoia

di Daniela Raspollini

 Indagini recenti affermano la crescita preoccupante del consumo di droghe nel nostro paese. Una piaga che attraversa anche il nostro territorio e che non può essere sottovalutata. Franco Burchietti, presidente del CEIS, il Centro di Solidarietà di Pistoia, ci illustra il fenomeno indicando criticità e possibili vie duscita.

Dalla nascita del Centro ad oggi come è cambiato l’approccio dei giovani alla droga?

Mentre negli anni ‘70 e ‘80 il rapporto con la droga era una piaga sociale con un forte impatto nella vita quotidiana delle città, legato soprattutto al consumo endovena di eroina (le siringhe in ogni luogo!), oggi il fenomeno droga si è profondamente trasformato, tanto da non essere spesso più avvertito come problema rilevante. Tuttavia la tossicodipendenza, o per meglio dire le dipendenze, sono ormai quotidianamente in evoluzione e, negli ultimi 10 anni, il fenomeno ha visto un mutamento enorme, nelle forme (di dipendenza), nelle sostanze abusate e persino nelle modalità di assunzione. Oggi, ad esempio, soprattutto in Italia, si registra una crescita esponenziale dell’uso di psicofarmaci anche fra i giovani e di nuove sostanze acquistate online. La maggior parte dei giovani “sperimentatori” di sostanze si rivolge alle cosiddette nuove droghe o droghe di sintesi, progettate e costruite in laboratorio, caratterizzate da rischi e danni specifici. Questa fluidità del fenomeno chiede ai servizi di ripensare continuamente l’adeguatezza dei propri interventi. Di contro, invece, operiamo con un sistema di intervento che fa riferimento ad una normativa di quasi 30 anni fa e che ci costringe ad inseguire questa problematica senza mai raggiungerla. La complessità del “fenomeno” delle dipendenze necessita di interventi altamente qualificati e fortemente connessi ai bisogni mutevoli e variegati del territorio.

I giovani percepiscono i rischi legati alle droghe leggere?

Fondamentalmente no. Già la differenzazione tra droghe leggere e droghe pesanti, pur importante in rapporto ai percorsi pedagogico-terapeutici e riabilitativi, sembra portare verso una diffusione culturale che distingue tra ciò che fa male e ciò che non lo fa. Tutte le sostanze stupefacenti hanno effetti dannosi a livello psico-fisico, anche la cannabis con il suo principio attivo (THC). Tuttavia il persistere di un dibattito sulla legalizzazione e sul concetto di “leggere” ha come conseguenza una importante sottovalutazione del fenomeno e delle sue conseguenze. A volte anche nelle stesse famiglie: «nostro figlio si fa ogni tanto una canna…».

Come possono i genitori rendersi conto che i propri figli hanno problemi di dipendenza? Quali sono i “campanelli di allarme”? Quali i consigli vi sentite di dare loro?

Non è facile per una famiglia accorgersi in tempo che il proprio figlio, il proprio fratello o marito o moglie .. ha iniziato a fare uso di droghe. Ed è ancora più difficile accettare l’idea che questo sia avvenuto. Spesso la notizia è un fulmine a ciel sereno. Purtroppo le famiglie che decidono subito di consultare qualcuno che sappia indicare il giusto comportamento sono relativamente poche. Per disinformazione, per vergogna o per sbagliato senso di protezione, per sopravvalutazione delle proprie forze o sottovalutazione del problema, passa purtroppo un lungo periodo prima che qualcuno della famiglia decida di chiedere aiuto e consigli fuori dalle mura domestiche. La famiglia deve prestare particolare attenzione al comportamento del figlio, specialmente se osserva dei cambiamenti netti (rendimento scolastico, rapporto con i familiari, relazioni con gli altri, interessi). Se ci troviamo di fronte ad un progressivo ed indubbio mutamento del comportamento, con buona probabilità si sta osservando la presenza di un disagio importante che richiede l’intervento di uno specialista. Per aiutare l’adolescente ad accettare l’aiuto di uno specialista è opportuno non focalizzarsi tanto e solo sulla dannosità del “farsi le canne”, cosa che produrrebbe incomprensione e conseguente chiusura, bensì focalizzarsi sul malessere evidente (tristezza, chiusura verso gli altri, senso di inadeguatezza). Il nostro “sportello famiglia” è sempre aperto: basta rivolgersi alla sede di P.zza dei Servi (0573/368701), anche scrivendo a primicolloqui@ceispt.org, o ad una delle tre comunità terapeutiche, i cui riferimenti sono facilmenti reperibili sul sito: www.ceispt.org .

Quali sono, in base alla vostra esperienza, le problematiche più urgenti da affrontare?

Credo che abbiamo oggi di fronte tre ambiti principali di impegno:

  1. sviluppare maggiormente l’azione di prevenzione e contrasto alle dipendenze, tenendo anche conto delle sue nuove forme quali, ad esempio, il gioco d’azzardo.
  2. rafforzare il lavoro sulla fascia di età “minori – giovani adulti”, fortemente in fase di crescita nell’uso di sostanze psico attive, compreso lo stesso alcool.
  3. trovare nuove forme di alleanza con tutte le “agenzie” formativo-educative, a partire dalla famiglia.

È urgente la necessità di organizzare campagne di informazione e prevenzione; a questo proposito il Ceis come opera sul territorio?

In ambito territoriale della Provincia di Pistoia non esiste al momento un sistema pubblico e strutturato di sensibilizzazione e formazione di giovani adolescenti e delle famiglie. Il Ceis da anni, tuttavia, svolge interventi significativi di informazione – sensibilizzazione nelle scuole secondarie superiori; interventi che necessitano, ovviamente, di una loro sistematizzazione e generalizzazione a tutti gli Istituti scolastici superiori presenti sul territorio, nonché un pieno coinvolgimento delle famiglie, che costituiscono a nostro avviso -voglio ripetere- una delle “agenzie” primarie di formazione, prevenzione e contrasto a stili di vita scorretti.

In tal senso il Ceis si sta attivando per mettere a punto un nuovo progetto più generale di prevenzione, da attivare già dal prossimo anno scolastico.

A tal proposito vorrei tuttavia sottolineare come la problematica “prevenzione” continui ad essere scarsamente considerata a livello istituzionale: da anni non esiste più in Italia un “Fondo antidroga” e che ogni Regione ha un approccio diverso sul tema e, purtroppo, senza un progetto sistematico ed uniforme per la prevenzione. Senza di essa e senza un investimento serio, semplicemente non c’è futuro, né speranza in una progressiva evoluzione a favore del benessere dei nostri ragazzi.




Clima velenoso e minacce dentro e fuori dal web

In merito al clima di violenza verbale e alle ulteriori minacce ricevute anche tramite social network da don Massimo Biancalani si rende noto che il Vescovo stigmatizza e giudica come indegni e inaccettabili ogni insulto, offesa e soprattutto minacce nei confronti, specialmente, di un sacerdote. Questa posizione, già sottolineata in molte uscite pubbliche e in comunicati stampa emessi in precedenza, vuole essere un dato chiaro e permanente e che vale per ogni vicenda che metta in pericolo, anche solo ipotetico, la vita o la libertà d’espressione di un presbitero o laico. Vista la situazione – che appare di assoluta gravità – mons. Tardelli invita inoltre il sacerdote in questione, e chiunque si senta minacciato o oggetto di attenzioni dei cosiddetti “odiatori” del web, a denunciare l’accaduto alle forze di Polizia. Questa è infatti la procedura affinché si possa far avviare indagini approfondite a tutela della sicurezza e della libertà di tutti.

05/07/2018




Aggiornamento sui lavori alla chiesa di Carmignano

CARMIGNANO  – «I lavori di messa in sicurezza sul porticato della chiesa di Carmignano, che come noto a tutti è di proprietà ecclesiastica, si sono conclusi nei tempi rapidi che erano stati stabiliti: di questo non avevo dubbi e pertanto sono particolarmente lieto». Così don Cristiano D’Angelo, amministratore parrocchiale della chiesa di San Michele in Carmignano.

Don Cristiano, ringraziato «le maestranze per il bel lavoro svolto nel rispetto dei tempi», conferma che questo è «solo un primo passo in un cammino ancora lungo e nel quale tutti i diversi soggetti, su un bene così importante di proprietà ecclesiastica, potranno, in base alle loro specifiche competenze, procedere uniti per raggiungere insieme l’obiettivo finale che sta a cuore a tutti, in particolare a una proprietà che continuerà, in accordo con la Soprintendenza e con gli altri soggetti del territorio, a svolgere il ruolo primario che le compete».

 




Restare umani di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza

Ancora naufragi e morte a largo della Libia. Soltanto nell’ultimo week end sono oltre cento i morti nelle acque libiche, oltre 2.500 i rimpatri forzati nei sedicenti “campi di detenzione” del Paese che si sommano agli altri 10.000 che già popolano le strutture gestite dalle autorità locali in condizione definite dagli operatori internazionali come “disumane”.

L’indifferenza di Bruxelles e le soluzioni che vengono proposte dal governo italiano in seno all’UE appaiono – per usare le parole del Cardinal Bassetti – volte perlopiù a “distrarre” la popolazione dal dramma epocale che stiamo vivendo e dai tanti problemi reali che pendono sul nostro paese.

Le morti che si susseguono, la chiusura dei porti, l’innalzamento di muri ai confini settentrionali e una permanente strategia della paura stanno minando in profondità il nostro stesso senso di convivenza comune e pacifica.

Di fronte a queste vicende avvertiamo  la necessità di  contribuire a una riflessione profonda per costruire una società più aperta e attenta all’altro, più disponibile al dialogo con il diverso che si fonda su una consapevolezza antropologica fondamentale: l’altro è una sorgente insopprimibile del progresso umano e pertanto una società non può sottrarsi alla responsabilità di spalancargli le porte, preoccupandosi di salvaguardare le reciproche identità. Tutto questo si rinnova nell’incontro  tra le diversità e dà luogo a significative convergenze con tutti gli uomini e le donne che credono nel valore della vita, nella dignità di ogni persona, nella solidarietà tra esseri umani senza ignorare che possano sorgere problemi o incomprensioni, ma certi che non esista altra strada che quella dell’incontro, del dialogo, della consapevolezza dei diritti e doveri di ciascuno.

Come ha affermato il Vescovo Fausto nel discorso per la Giornata mondiale per la pace (1 gennaio 2018): «sembra evidente che a chi bussa alla nostra porta in condizioni di grave disagio, di qualsiasi natura esso sia, non gli si può sbattere l’uscio in faccia. Sarebbe un atto disumano, sbagliato e sciocco. Proprio per questo, come chiesa di Pistoia siamo assolutamente a favore dell’accoglienza di persone che fuggono da situazioni di difficoltà di ogni genere e che ci chiedono aiuto». L’accoglienza, prosegue il Vescovo, va certamente organizzata «non alla meglio ma nel migliore dei modi possibile, da tutti i punti di vista. Di fronte al dramma delle morti nel mediterraneo o dei maltrattamenti delle persone, come pure di fronte a ogni forma di tratta o di schiavitù di esseri umani, non ci può essere alcuna indifferenza o passività».

La Caritas di Pistoia quindi non può non affermare il principio di apertura e accoglienza  verso tutti coloro che sfidano la morte, in fuga da guerre , carestie, genocidi. D’altra parte non si può ignorare il profondo disagio che attraversa il paese ormai da tempo. Oltre alla paura del diverso, infatti, si fa largo l’incertezza legata al domani, sulle precarietà economiche e di lavoro, sulle possibilità di creare un futuro solido e positivo, in altre parole migliore, per i propri figli. Per favorire un ragionamento di uscita da questa rappresentazione del presente è necessario evidenziare che il complesso tema dell’accoglienza, della gestione dei flusso di migranti non può essere scisso da una visione inclusiva e solidale della società, che non scarti o lasci indietro nessuno.

Il  Santo Padre, nell’Evangeli Gaudium, ha rilevato in modo chiaro che è proprio l’egoismo e un certo stile di vita che concorre ad alzare i muri dell’indifferenza: «In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo».

Anche il Card. Bassetti, parlando in particolare della situazione italiana, ha affermato: «Auspichiamo un governo che pensi veramente al bene comune partendo dalle famiglie, dai giovani e dai poveri. In particolare, spero con tutto il cuore che il governo sappia unire e pacificare, cercando di dare una risposta concreta a quel clima di rancore sociale che serpeggia nel Paese».

Partendo da questi autorevoli spunti vogliamo fare quindi appello a tutte gli uomini e donne di buona volontà affinché si possa mettere sempre e comunque al primo posto ogni vita umana, perché come scrisse Simone Weil  «In ciascun uomo vi è qualcosa di sacro. Ma non è la sua persona. Non è neanche la persona umana. È lui, quest’uomo, molto semplicemente».

Caritas Diocesana di Pistoia

foto di Francesco Malavolta




Un ricordo di Don Valerio Menichetti

A 30 anni dalla morte la Parrocchia di Spazzavento ricorda il suo storico parroco Don Valerio Menichetti (Vitolini 1923 – Spazzavento 1988). In sua memoria sarà celebrata una santa messa domenica 8 Luglio alle ore 10.00.

La comunità parrocchiale lo ricorda con una breve ricordo.

Fu un mese tiepido quell’ottobre del 1949 e i bambini potevano ancora giocare all’aperto nel giardino dell’asilo, retto ancora dalle Suore Mantellate. Non circolavano molti veicoli in quegli anni e l’arrivo di una macchina che si fermò davanti al cancello suscitò una certa curiosità. Ne scese un giovane prete chiamato in aiuto a Don Bartolini, il vecchio parroco ormai impossibilitato a muoversi.

Durante la seconda guerra mondiale la chiesa Parrocchiale di Spazzavento in poche ore fu minata e distrutta. Lo shock, insieme alla fatica fatta per salvare il salvabile, aggravarono le condizioni del Priore Bartolini. Così Don Valerio si affacciò nella nostra piccola comunità e non la lasciò più.

Si prospettavano anni belli, ricchi e formativi per noi ragazzi che abbiamo avuto la fortuna di crescere nelle stanze di un oratorio. Fu una guida spirituale insostituibile e il compagno di giochi perfetto. La sua mitezza d’animo ne fece presto una persona amata da tutti e lui ci ricambiò con affetto e una dedizione infiniti.

Don Valerio non trascurò neppure la bellezza del nostro territorio; fu interessato alla sua conoscenza e attento alla sua valorizzazione. Ci ha infatti lasciato accurate ricerche e pubblicazioni di grande interesse storico culturale.

Don Valerio non accumulò beni sulla terra e non dette mai importanza all’esteriorità: lo si poteva capire da subito per quel suo fare semplice e dimesso e un pò anche per la sua talare che sembrava avere qualche asola di troppo.

In eredità ci ha lasciato il ricordo del suo sorriso buono e l’esempio di una vita vissuta in serenità e grazia.

Luana Bartolozzi




Pistoia Blues: Evangelizzazione di strada e preghiera in città

Anche quest’anno torna la Missione Blues! La missione, organizzata dalla Fraternità Apostolica di Gerusalemme, si terrà tra il 13 e il 14 luglio nel centro storico di Pistoia, in occasione dei principali concerti del Festival Blues.

Il programma seguirà lo schema ormai tradizionale: venerdì 13 sarà celebrata la messa di apertura; sarà il momento di lancio, che aprirà con la preghiera l’esperienza di tanti giovani “missionari”. Le attività dei volontari sono quelle ormai consuete: durante le serate di evangelizzazione, a partire dalle ore 21, ci sarà chi rimane in preghiera davanti al Santissimo, chi animerà l’adorazione e chi, invece, si dedicherà all’accoglienza, consegnando i lumini e una preghiera da leggere davanti all’eucarestia; poi ci saranno i volontari che andranno in giro per le vie del centro e che daranno anche vita a un inedito flash mob. Per i volontari è prevista un’occasione di un confronto sull’esperienza vissuta e alcuni momenti di formazione.

Durante le serate di Missione, il venerdì 13 e il sabato 14 luglio dalle 22.00 alle 24.00 , 4 chiese saranno aperte con l’adorazione eucaristica: san Filippo, san Vitale, Madonna del Carmine e san Paolo.

Domenica 15 la chiusura della missione sarà affidata a una messa di conclusione alle ore 10 a San Paolo e a una preghiera di ringraziamento animata da Rinnovamento nello Spirito alle ore 21.30.

Domenica 8 luglio alle ore 21.30, sempre a San Paolo, è prevista una preghiera di adorazione in preparazione della missione animata da Rinnovamento dello Spirito.

Chi invece fosse interessato ad animare le serate con il canto è invitato alle prove del coro martedì 10 alle ore 21.15 presso la sacrestia di San Paolo.

La missione, che quest’anno avrà per tema «“disconnect your phone”: connetti la tua vita al Signore», è aperta a tutta la diocesi e oltre.
L’intento, ancora una volta, è quello di realizzare quanto ripete papa Francesco: essere una Chiesa in uscita. Lo scopo della missione è principalmente quello di incontrare le persone, parlare con loro, far sentire che i cristiani sono attenti alle attese del nostro tempo. È un’occasione per farsi vicini alla gente, senza fare proselitismo o voler convincere qualcuno, ma per testimoniare la bellezza dell’incontro con Cristo. Il Signore invita tutti, non solo consacrati o preti, ma anche laici a testimoniare la bellezza della vita con Lui. Per iscrizione e informazioni: Suor Daniela 380 377 7154.

Daniela Raspollini




SS. Pietro e Paolo: in cattedrale la celebrazione con il vescovo e il ricordo dei giubilei sacerdotali

In occasione della solennità dei SS. Pietro e Paolo, venerdì 29 giugno, il vescovo Fausto Tardelli presiederà la celebrazione della Santa Messa in Cattedrale alle ore 18.00.

In questa ricorrenza la Diocesi celebra tradizionalmente gli anniversari sacerdotali; quest’anno, in particolare, la chiesa di Pistoia ricorda: il 60° anniversario sacerdotale di mons. Umberto Pineschi, il 50° di Mons. Renato Bellini e Don Ernesto Moro, il 25° di don Adam Tabieszwski.

Abbiamo raccolto di seguito le loro testimonianze di vita e ministero.

60° anniversario. Mons Umberto Pineschi

Mons. Pineschi ha svolto gran parte del suo ministero sacerdotale nell’insegnamento della musica sacra come nell’attività concertistica, spendendosi in prima persona nella salvaguardia del patrimonio musicale diocesano. Su questo fronte si è impegnato moltissimo, al punto che la sua dedizione e il suo lavoro sono stati molto apprezzati anche in altre diocesi.

Dopo la sua ordinazione, avvenuta il 21 agosto 1958, ha esercitato il suo ministero sacerdotale in Cattedrale come coadiutore del parroco per 13 anni, quindi come cappellano corale, infine come canonico dal 1993. Ha svolto servizio domenicale e festivo presso la chiesa dei SS. Prospero e Filippo dal 1984 al 1993, quando fu nominato cappellano del Monastero delle Monache Benedettine di Pistoia. Nel 2003 è stato nominato parroco della parrocchia dello Spirito Santo (per la Chiesa di Sant’Ignazio d Loyola) dove attualmente risiede. Questo suo ultimo incarico, rappresenta – a suo dire- l’esperienza più bella che ha vissuto nei suoi anni di vita sacerdotale.

Circa il suo impegno per la musica sacra è possibile ricordare anche il volume (giunto già alla quarta edizione) che raccoglie un repertorio di canti molto apprezzato fuori in diocesi e la sua attività di restauro e valorizzazione degli organi pistoiesi. Molti gli organi fatti realizzare direttamente da Mons. Pineschi, ad esempio quello nella chiesa del Carmine (Tronci 1840-Ghilardi 2008), il secondo organo di Sant’Ignazio (Ghilardi 2007), l’organo Tronci (1993) arrivato nella Cattedrale di Pistoia da Campi Bisenzio nel 1998 e, ancora in fase di costruzione, l’organo Ghilardi per la nuova chiesa della MAiC a Pistoia.

In questa ricorrenza Don Umberto intende proporre a tutti una riflessione di San Giovanni Maria Vianney, il santo Curato D’Ars dedicata al ministero sacerdotale: «Chi è un sacerdote? Un uomo che sta al posto di Dio, un uomo che è rivestito di tutti i poteri di Dio, provate ad andare a confessarvi dalla Santa Vergine o da un angelo: vi possono assolvere? No. Vi daranno il Corpo e Sangue di Nostro Signore? No. La Santa Vegine non può far discendere il suo divin figlio nell’Ostia. Se foste di fronte a duecento angeli nessuno di loro potrebbe assolvere i vostri peccati. Un semplice prete, invece, può farlo; egli può dirvi: “Va in pace, ti perdono”. Oh! Il prete è veramente qualcosa di straordinario! Il sacerdote non si comprenderà bene che nel cielo. Se egli comprendesse qui che cos’è, ne morirebbe non di spavento, ma di amore».
Daniela Raspollini

50° anniversario. Don Renato Bellini

«Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto».
È guardando a questa immagine descritta da Giovanni, che nel 1998 si presentava alla Comunità di Vinci mons. Renato Bellini. L’ultima tappa di un percorso, compiuta come le altre, guardando alla Chiesa del grembiule, alla Chiesa del Concilio. Un servizio di 50 anni di sacerdozio, svolto, anche geograficamente, in tutta la Chiesa di Pistoia: dalla montagna di Pian degli Ontani e dell’Abetone al Montalbano Occidentale passando per la Curia stessa.

Consapevole che il Concilio Vaticano II non si era concluso nel 1965 e non era stato scritto una volta per sempre, ma che doveva essere vitalizzato e realizzato a partire da allora ed ancor più oggi, don Renato ha dato testimonianza da parroco con una serie continua di iniziative, incontri, attività. Da responsabile della Pastorale Diocesana ha orientato per diversi anni parrocchie, operatori e catechisti. Ma con quale spirito, con quale obiettivo?

Due orientamenti lo hanno sempre guidato: l’idea che comandare non significa imporre il proprio parere, ma andare insieme, preparare il terreno, predisporre, agevolare, stimolare; la volontà di aprire le porte e dare fiducia ai laici.
Nella grande storia italiana è questo atteggiamento libero ed aperto che ha permesso ad alcuni laici cattolici di permeare la stessa Costituzione di principi fecondi. Ma con il passare degli anni, per pretendere rispetto e considerazione, poteva magari arroccarsi rivestendosi di una corazza clericale. No! Anzi, questo lo ha più volte visto proprio come un pericolo per la chiesa stessa. Un atteggiamento che, ad esempio, nonostante la ormai comune riduzione dei partecipanti alla messa domenicale, gli ha permesso di vedere il grande affetto che la Comunità di Vinci nel suo insieme gli ha sempre riversato, oggi addirittura in un panorama più vasto, essendo titolare anche delle parrocchie di S. Amato, Vitolini, S. Ansano e S. Donato.

La città di Vinci è grata a mons. Renato Bellini, perché tante iniziative sono partite o condotte dai suoi impulsi prima con i giovani, poi con camminate, tra l’altro seguendo la via Francigena da Vinci a Roma in tre periodi. Alcuni organismi ed associazioni hanno ora una vita autonoma, a servizio del territorio: Casa Magdala nella sua funzione di residenza per il disagio mentale, Giovani Coppie, attiva con una scuola in Africa, Vinci nel Cuore con il Premio Letterario “Li omini boni”, Vincincontri con personaggi di prestigio. E poi la Palestina! Don Renato ha compiuto 17 visite in Terra Santa, accompagnando un gran numero di parrocchiani e di persone interessate, permettendo di vivere intensamente quei giorni anche con celebrazioni in luoghi particolari come il deserto di Giuda, ma senza mai staccarsi dalla realtà quotidiana, come lo sono stati altri pellegrinaggi ad esempio quelli svolti in Siria, in Giordania, in Turchia, in Armenia, in Iran.

Non voleva farne pubblicità, ma poi è stato divulgato. Il 1 marzo di quest’anno don Renato ha avuto la possibilità di celebrare la messa a S. Marta con Papa Francesco e di scambiare con lui alcune parole. Una grande emozione! Ma anche un segno del suo percorso …
Silvano Guerrini

50° anniversario. Don Ernesto Moro

Nel 50° della mia ordinazione sacerdotale mi piace ritornare a quel 15 dicembre 1968, per rivivere il Dono Grande del Sacerdozio, Dono Gratuito del Signore. È bello riassaporare la gioia di quella gratuità. A distanza di tanti anni ci sono ancora in me gli stati d’animo di stupore, di meraviglia e tanta riconoscenza.

Ripercorrendo il tragitto dei miei 50 anni di sacerdozio il primo pensiero di ringraziamento va ai miei genitori: a mio babbo Domenico e a mia mamma Valentina, un gigante nella fede in Gesù e Maria dalle ginocchia robuste che sostavano a lungo in preghiera. Un pensiero particolare poi, ai miei fratelli: don Luigi, ritornato alla casa del Padre un anno fa; don Vincenzo, parroco alla Chiesa Nuova, alle due sorelle suore: suor Anna e Suor Alberica, e ai mieri cinque fratelli sposati per il loro aiuto e la loro testimonianza cristiana.
Ringrazio tutte quelle persone (sacerdoti, religiosi, laici) che giorno dopo giorno mi hanno accompagnato e sostenuto, a partire dalla mia comunità parrocchiale di Dalmine, dove è maturata la mia vocazione sacerdotale. Senza paura di smentita la mia vocazione è nata sulle ginocchia di mia madre, dalle sue molte preghiere, dal senso di Dio che si respirava in famiglia. Mi ricordo il giorno che le dissi: «Mamma voglio diventare Sacerdote». Vidi illuminarsi i suoi occhi e scendere lacrime di gioia; poi mi disse: «Non sono degna di essere mamma di un Sacerdote “Alter Christus”».

Anziché entrare in seminario a Bergamo entrai in quello di Prato, sapendo che proprio in quell’anno mons Fiordelli iniziava un seminario di vocazioni adulte. Gli anni di seminario passarono presto e il 15 dicembre 1968 venni ordinato sacerdote dal vescovo Fiordelli nel Duomo di Prato, insieme al altri cinque sacerdoti. Ricordo ancora le sue parole durante l’omelia: «Da oggi le vostre mani sono come quelle di Cristo, accoglieranno il Verbo di Dio, spezzeranno il Pane di vita, benediranno e perdoneranno». Subito fui incaricato di svolgere il mio apostolato nelle fabbriche, per preparare gli operai alle solennità del Natale e della Pasqua.

Ricordo, inoltre, con affetto e riconoscenza, quelle parrocchie di montagna che mi furono affidate una volta incardinato nella diocesi di Pistoia: l’Abetone, Pianosinatico, Rivoreta, il Melo, Piazza: per ogni parrocchia una pagina di storia. Ma in particolare ricordo la parrocchia di Seano, che da 32 anni mi è stata affidata. Sono contento e ringrazio della buona collaborazione i diversi gruppi: cinque ministri straordinari dell’Eucaristia, il gruppo di venticinque catechisti, il gruppo Caritas, il gruppo S. Rocchino, il coro parrocchiale, gli scout AGESCI, il circolo ANSPI, i volontari della Misericordia, il gruppo degli amici di Medjugorje.

In questo anniversario mi è anche caro ricordare le parole dell’Apostolo Paolo: «Ti ricordo di ravvivare il Dono di Dio che è in te», il dono del Sacerdozio conferito con l’imposizioni delle mani. È un dono che si ravviva riscoprendo ogni giorno di essere conformati a Cristo, per il bene dei fratelli: celebrando l’Eucaristia, centro e cuore del ministero sacerdotale; con la preghiera quotidiana e l’Ufficio divino; con l’amore e la carità verso i poveri e i bisognosi, gli emarginati, non solo in parrocchia, ma oltre il confine della nazione, nelle zone poverissime di “Olghuin” a Cuba. È un mio sogno finire i miei ultimi anni insieme con i più poveri di Cuba.

In questi 50 anni di sacerdozio ho capito che il Sacerdote è l’uomo dell’ascolto. La gente ha bisogno di una buona parola, di essere incoraggiata, sostenuta, confortata, benedetta. Sì, Benedetta: perché il Sacerdote “Alter Christus” benedice, cioè “dice bene” di ogni persona, perché amata da Dio. Penso, però, che il segreto che ha animato e sostenuto giorno dopo giorno la mia vita sacerdotale, sia stata la profonda vicinanza con Cristo, amico, compagno, sposo.

Infine ho un ringraziamento particolare per Maria, perché il mio Sacerdozio lo devo a Lei. Il mio stile sacerdotale è mariano, tanto che ho affidato a lei il mio incarico di parroco a Seano considerandomi suo umile cappellano. Conoscendo i miei limiti e difetti, chiedo perdono a Dio e a tutti, per quello che avrei potuto fare e non ho fatto. Nonostante siano passati 50 anni di vita sacerdotale, non posso ammainare le vele: c’è ancora tanto da fare per il Regno di Dio; non mi è permesso perdere tempo, urge fino all’ultimo respiro servire i fratelli.
In questo anniversario canto con voi il mio Magnificat e dico grazie, indistintamente, a tutti voi per l’affetto, il sostegno, il conforto che mi avete dimostrato nel mio ministero pastorale. Davanti al Signore e alla Chiesa, rinnovo le promesse dell’Ordinazione Presbiterale e, attraverso le mani di Maria, il mio «sì» di fedeltà al Sacerdozio Ministeriale. “Ad multos annos”.

25° anniversario. Don Adam Tabieszwski

La vocazione di Don Adam è nata all’interno della sua famiglia, che gli ha consegnato una grande testimonianza di vita cristiana, ma che è stata poi rafforzata grazie alla partecipazione ad alcune organizzazioni cattoliche.
Don Adam proviene dalla Polonia ed è arrivato in diocesi ai tempi del Vescovo Simone Scatizzi. Nel 2001 il vescovo lo inviò a Capraia Fiorentina per accompagnare l’attività del parroco Don Pudlo Wieslaw. Don Adamo ha quindi svolto servizio per qualche mese presso la parrocchia di San Pierino Casa al Vescovo. Dal 16 ottobre 2002 svolge il suo servizio sacerdotale a Popiglio. Attualmente è parroco di quella comunità come delle parrocchie della Lima e di Lizzano.
Don Adamo ricorda con grande commozione il primo incontro con papa Giovanni Paolo II a Lublino in Polonia, nel periodo in cui era ancora seminarista. In quell’occasione lo aveva colpito il grande raccoglimento del papa nella preghiera; «osservandolo – afferma don Adamo- sembrava proprio che in quel momento tutto il mondo gli fosse presente nella preghiera».
Più recentemente don Adamo ha anche incontrato Papa Francesco a Santa Marta il 16 febbraio scorso, quando ha potuto ricordare la ricorrenza del suo 25° anniversario sacerdotale. In quella circostanza Papa Francesco gli ha dato la sua benedizione ringraziandolo inoltre dei libri che gli aveva donato.
Daniela Raspollini




I cattolici in politica secondo Mons. Tardelli

CATTOLICI IN POLITICA: IL BENE INTEGRALE DELLA PERSONA AL CENTRO DI UN RINNOVATO IMPEGNO

Una riflessione a tutto campo del vescovo di Pistoia. Criticità, punti fermi e proposte per una stagione complessa ma stimolante.

Il card. Bassetti, presidente della CEI, ha rivolto recentemente un appello all’impegno politico dei cattolici.
Lo aveva già fatto in altre occasioni e ritengo che vada preso molto sul serio. Mi domando però se nei cattolici italiani ci siano oggi punti di riferimento chiari, tali da motivare e dare sostanza al loro impegno politico. Mi domando quali siano, ma anche quali dovrebbero essere. Non credo che il problema stia nel fatto che si consideri la politica in se stessa qualcosa di “sporco” da cui il cristiano dovrebbe stare alla larga. Semmai c’è un giudizio negativo sulla politica praticata dai politici, ma questo è un discorso diverso.

Il problema mi pare invece un altro: ci sono ancora dei cattolici che sappiano cosa voglia dire esserlo? Ci sono ancora cattolici che abbiano un pensiero politico coerente e -cosa altrettanto importante- sappiano leggere la realtà alla luce di quel pensiero, trovando soluzioni politiche praticabili, offrendo inoltre una credibile testimonianza personale?

Non mi pare nemmeno del tutto vero che chi va in chiesa o almeno fa in qualche modo riferimento alla chiesa, si disinteressi di politica o non esprima col voto le sue idee. La maggior parte se ne occupa eccome di politica, e vota. Altrimenti non avremmo certi risultati elettorali, sia riguardo le amministrazioni locali oppure il governo del paese, con queste percentuali di affluenza alle urne. Forse qualcuno pensa che i cattolici si siano astenuti in massa o che non abbiano contribuito all’incremento dei partiti e delle coalizioni che hanno avuto più voti nell’ultima tornata elettorale?

COERENZA TRA IMPEGNO POLITICO E CRISTIANO

Il problema dunque è un altro: cioè che cosa si vota, quali scelte politiche si fanno e soprattutto sulla base di che cosa si sceglie. È quello cioè, della coerenza tra fede e scelte politiche; tra convinzioni di fede e impegno politico, dove il primo problema, a mio parere, è proprio la fede e le convinzioni di fede: dove sono? Quali sono?
C’è anche un altro elemento da non sottovalutare e da interpretare: un certo scollamento tra i sentimenti e le scelte politiche della maggioranza dei cattolici e quelle rappresentate dal cosiddetto “cattolicesimo democratico”. Sembra che la base cattolica non si ritrovi in quelle linee. Il grande Papa Paolo VI, nella Octogesima Adveniens, al n. 46 diceva che «La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri» e aggiungeva che «i cristiani, sollecitati a entrare in questo campo di azione, si sforzeranno di raggiungere una coerenza tra le loro opzioni e l’evangelo e di dare, pur in mezzo a un legittimo pluralismo, una testimonianza personale e collettiva della serietà della loro fede mediante un servizio efficiente e disinteressato agli uomini». Per i cattolici italiani però, cosa significa «impegno cristiano al servizio degli altri»? Cosa vuol dire «coerenza tra le opzioni e l’evangelo»? Più in generale: cosa dovrebbe caratterizzare l’impegno politico dei cattolici? Personalmente, ho come l’impressione che non lo si sappia o che in merito regni una grandissima confusione. Un po’ per la complessità della situazione e la difficoltà a leggere con obiettività la realtà, un po’ e soprattutto, per la confusione che regna sull’identità cattolica. Forse anche per quello scollamento a cui facevo riferimento, tra la base del popolo cristiano e le istanze del “cattolicesimo democratico” che hanno caratterizzato per lungo tempo l’impegno dei cattolici.

Potrebbe venirci in aiuto la “Nota della Congregazione per la Dottrina della fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” del 2002, a firma dell’allora cardinale Ratzinger. In essa si afferma che: «i fedeli laici si devono impegnare a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune, partendo da una retta concezione della persona. Su questo principio – testuali parole- l’impegno dei cattolici non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi».

La nota suddetta esemplifica che cosa significhi «retta concezione della persona» e quali conseguenze “politiche” comporti la sua centralità. Riporto qui solo alcuni brani del testo come promemoria, rinviando a una lettura personale integrale. «Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità.

Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. È questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia; il caso del rispetto e della protezione dei diritti dell’embrione umano; della tutela e della promozione della famiglia, fondata sul matrimonio e diversa da ogni altra forma di convivenza; il caso ancora della libertà di educazione dei genitori; quello della tutela sociale dei minori e della liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù; quello del diritto alla libertà religiosa; quello dello sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà; il caso infine della promozione della pace. Non si tratta di per sé di “valori confessionali”, poiché tali esigenze etiche sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge morale naturale».

La nota riconosce poi la legittimità di un certo pluralismo nelle scelte politiche. «Dalla concretezza della realizzazione e dalla diversità delle circostanze scaturisce generalmente la pluralità di orientamenti e di soluzioni che debbono però essere moralmente accettabili».

IL BENE INTEGRALE DELLA PERSONA

Osservando con attenzione quanto si afferma nella nota, si può ben vedere come tutto ruoti attorno alla difesa e alla promozione del valore della persona umana, a qualsiasi razza o cultura appartenga, senza discriminazioni di sorta, a partire da coloro che sono più svantaggiati e dal momento del concepimento fino alla morte naturale. Una persona che è considerata intrinsecamente aperta alla trascendenza e agli altri; che comprende la dualità uomo e donna e quindi l’istituto familiare; che ha come connotato imprescindibile la libertà ma anche la responsabilità; che si realizza nella società anche se ha un destino eterno; una persona che ha diritti universali inalienabili, insieme a precisi doveri di rispetto di sé e degli altri, doveri cioè di solidarietà sociale. L’insieme di tutti questi elementi viene a delineare quello che nell’ambito della Dottrina sociale della chiesa è chiamato il “bene comune”.

Sorgono però subito un paio di problemi piuttosto grossi: il primo, che è dirimente, prende corpo in una domanda molto semplice: i cattolici condividono le affermazioni della nota e il suo impianto antropologico? C’è un comune sentire nel merito? C’è convergenza? Non vorrei sbagliarmi ma credo proprio di no. È difficile allora andare da qualche parte, se non si condivide la meta. Se le cose stanno così, anche se dispiace ammetterlo, ciò è dovuto in gran parte al fatto di aver buttato al macero la Dottrina sociale cristiana o – cosa non meno grave – di averla intesa solo come progetto politico. È da tempo che non si cerca di elaborare un pensiero sociale ispirato al Vangelo, ma esso non può nascere che come efflorescenza dell’incontro vivo e vivificante con Cristo, come pienezza di vita in Cristo. È questa la proposta che spesso manca nelle nostre parrocchie e di lì tutto il resto. Soprattutto difficilmente si trova quella formazione permanente, individuale e comunitaria alla vita in Cristo, che è la sola capace di generare prospettive convincenti anche di dedizione all’impegno politico per il bene comune.

Il secondo problema non è meno serio del primo e riguarda l’impostazione dello stesso impegno politico. La nota pone le questioni in termini validi ma piuttosto astratti, deduttivi. In un modo un po’ datato, direi. Oggi si ragiona diversamente e il consenso ricevuto da certe forze politiche lo dimostra. Oggi si parte dal concreto, da quel che si aspettano le persone, cercando quindi risposte ai loro problemi. Per fare politica, in effetti, non si può che partire misurandosi con la realtà, essendo capaci prima di tutto di leggere la società senza abbagli o “occhiali” ideologici.

A mio modesto parere, l’insuccesso elettorale di certe forze politiche è dovuto principalmente all’incapacità di leggere in profondità la realtà, i reali bisogni della gente e i cambiamenti in atto. E il cattolico? Ebbene, da una parte dovrebbe essere in grado di leggere la realtà, intercettando i bisogni reali delle persone, le paure, le ansie, le attese e i sogni; dall’altra, riuscire a dimostrare come quella visione dell’essere umano, della persona e della società, diciamo pure quell’orizzonte antropologico che porta con sé e che gli viene da una ragione illuminata dalla fede, non è astrazione ma luce fondamentale ed efficace, nonché istanza critica del presente, per trovare risposte concrete ai bisogni dell’oggi, nella prospettiva di un futuro migliore. La conclusione del ragionamento fatto fin qui potrebbe essere amara. Se, infatti, da una parte mettiamo l’inconsistenza dell’identità cattolica con relativa confusione nel definirla e dall’altra poniamo l’incapacità di misurarsi davvero con la realtà e non solo con le mode del momento, resta compromessa la possibilità di qualsiasi impegno politico.

UNA NUOVA STAGIONE DI ASCOLTO

Mettiamo allora i remi in barca e chi s’è visto s’è visto? Direi proprio di no. Con molta pazienza e umiltà, credo dovremmo innanzitutto pensare in termini di lungo periodo. Nell’immediato sarebbe già tanto se i cattolici che militano in politica, sia a livello locale che nazionale, riuscissero ad essere critici dall’interno, senza appiattirsi sui luoghi comuni o sugli slogan degli schieramenti a cui si decide di appartenere. Dovremmo poi provare ad ascoltarci e a parlarci liberamente e tranquillamente, pur da versanti opposti, per riscoprire ciò che accomuna i cattolici che vogliano essere tali; tentando di confrontarsi su di una lettura senza pregiudiziali, la più oggettiva possibile, dei fatti, dei problemi, delle attese e delle paure della gente. Partendo intanto col misurarsi, per esempio, su quanto è avvenuto con le ultime elezioni e il governo che ne è venuto fuori. Di primo acchito si potrebbe parlare di un trionfo dell’egoismo, dell’individualismo, della chiusura agli altri. E in gran parte è vero. Non mi pare però azzardato ritenere che al fondo si è manifestato soprattutto un disagio, un malessere, un rifiuto e una voglia di cambiamento che ha coinvolto anche le nuove generazioni e che andrebbe analizzato con attenzione.

È innegabile la dimensione di protesta e il desiderio di provare qualcosa di nuovo del voto del 4 marzo con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi. Però la protesta, lo sconforto, la rabbia, la ricerca di un cambiamento non si possono liquidare facilmente. Sarebbe un grave errore. Non è certo facile interpretare il disagio, la rabbia, la protesta e le aspettative. Dobbiamo però ugualmente interrogarci sulle cause. È una situazione indotta dai mezzi di comunicazione che amplificano e deformano? È la corruzione che, almeno secondo i media, appare dilagante? È la sensazione di insicurezza o la insicurezza reale? È la mancanza di lavoro o l’enorme precariato diffuso oppure ancora il debole sostegno alle famiglie con figli? Forse, perché no, il disagio è provocato anche dall’essere dentro una società liquida, senza punti di riferimento, dove si propugna come un bene la liquidazione di ogni identità, in un relativismo che confonde ogni cosa? E dove forse anche l’accoglienza è intesa da alcuni come negazione del valore della propria identità? Forse c’è anche nausea per le burocrazie europee che non risolvono i problemi? Forse, ancora, si reagisce al fatto che una certa parte politica ha spesso guardato dall’alto in basso il popolo ignorante, rivendicando per sé una superiorità ideale e morale che umilia e provoca?

Tante domande con poche risposte; però non possiamo eluderle. È urgente rifletterci sopra, perché la storia ci insegna che dal non ascoltato disagio delle popolazioni, snobbato, non preso in seria considerazione, spuntano sempre prima o poi scelte autoritarie, che magari avranno il volto cibernetico e affascinante di un algoritmo, ma non per questo meno pericolose e distruttive. Non basta però confrontarsi sulla realtà. Anche se, in questo momento, riuscire ad ascoltarsi e a parlarsi sarebbe già un bel contributo alla nostra povera Italia che rischia di deflagrare in una guerra di tutti contro tutti. Occorre anche, insieme, mettersi con serietà ad approfondire la Dottrina sociale della chiesa, evitando però il rischio di una sua lettura ideologica. La Dottrina sociale infatti è Vangelo vissuto e pensato, lievito dentro la realtà sociale. Poi si dovrebbe tentare di individuare risposte concrete sulla base di uno studio serio dei problemi e di un’altrettanta seria conoscenza e pratica del Vangelo di Gesù.

La stagione che stiamo vivendo credo in ogni caso che sia stimolante per la Chiesa, perché la stimola a rivedere le priorità della sua azione pastorale. Un’azione pastorale che sia quindi centrata per davvero sull’annuncio di Cristo morto e risorto e sulla vita nuova in Cristo, secondo lo Spirito; che valorizzi i carismi di tutti senza elitarismi e nello stesso tempo spinga a “pensare” la società e il mondo nell’orizzonte di un’integrale antropologia cristiana, unendo a questo “pensiero” la pratica dell’attenzione e del servizio alle persone, a partire da quelle più deboli. In questo modo potrebbe davvero sorgere col tempo una nuova bella stagione di impegno politico dei cattolici, capace di catalizzare le forze e i sogni di tanti uomini e donne di buona volontà, liberi e forti. Ce lo auguriamo.

+ Fausto Tardelli, vescovo di Pistoia

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In Italia crescono dipendenze e consumo di droga

Il 26 giugno è la giornata mondiale contro la droga. Il CEIS di Pistoia, da decenni impegnato nel contrasto alle dipendenze e in percorsi di accompagnamento e recupero, rilancia il comunicato redatto dalla FICT (Federazione Italiana Comunità di Recupero) per questa giornata di sensibilizzazione.

«Secondo la relazione europea sulla droga 2018, l’Italia è il terzo paese europeo per uso della cannabis e ottiene il quarto posto per l’uso di cocaina. I dati dell’Osservatorio europeo corrispondono purtroppo alle stime rilevate dall’Osservatorio dati dei Centri federati alla FICT nell’anno 2017: su oltre 9.858 persone accolte, circa il 50% degli ospiti risulta aver iniziato con la cannabis, circa il 24% con la cocaina, a seguire  l’eroina e altre sostanze…».

«Tutti gli esperti del settore – afferma Luciano Squillaci, Presidente FICT – manifestano una crescente preoccupazione verso il mondo digitale ed il mercato online perché difficilmente controllabile: sono 270 mila ragazzi a rischio dipendenza da internet. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, ultimamente, ha riconosciuto ufficialmente la dipendenza da videogame come una patologia:  il “gaming disorder”,  il quale  è stato inserito nel capitolo sulle patologie mentali. I più coinvolti sono gli adolescenti dai 12 ai 15, 16 anni.

 Corriamo il pericolo di non saper leggere e monitorare il disagio dei nostri ragazzi con una politica che sembra abbia abdicato al proprio ruolo, normalizzando l’abuso di sostanze e le dipendenze come un male necessario del nostro tempo, magari costruendoci sopra business interessanti, come nel caso del gioco d’azzardo.

Strategie politiche inesistenti, problemi di budget che rendono difficoltoso il diritto alla cura (solo l’11% dei tossicodipendenti hanno la possibilità di accedere ad una comunità terapeutica), investimenti nella prevenzione ridotti zero.

Ci vuole una scelta coraggiosa, – afferma Squillaci – che rimetta al centro del dibattito la persona con i suoi bisogni. È necessario che il Governo nazionale e quello regionale si prendano realmente carico del problema, con investimenti adeguati al reale fabbisogno, a cominciare dai percorsi di prevenzione strutturati all’interno delle scuole e nei luoghi di aggregazione giovanili. Occorre fermarsi e ridisegnare il modello, innovare, ricostruire il sistema di cura, fondando gli interventi sulle evidenze scientifiche che in questi anni sono state validate, uscendo dalle logiche auto-riproduttive e salvifiche ormai appartenenti ad un passato remoto. Ed occorre farlo subito».

 «Fino a 30 anni fa -dice Squillaci- ancora si parlava di eroinomani, persone che volevano stare “fuori dal gruppo”. Poi, dagli anni ‘90, abbiamo avuto la diffusione della cocaina e delle droghe “ricreative”, quelle che servivano per uno scopo opposto, che miglioravano la perfomance, e consentivano di “stare nel gruppo”.

Negli ultimi 15 anni abbiamo: da una parte, il boom delle NPS (nuove sostanze psicoattive), delle droghe sintetiche, degli psicofarmaci; e dall’altra l’aumento esponenziale delle dipendenze “comportamentali”, quelle senza sostanza, come il gioco d’azzardo o le psicosi da internet dipendenza. Eppure, nonostante questa costante evoluzione, il sistema italiano di contrasto e cura è rimasto fermo al modello classico, pensato e costruito per l’eroina, disegnato da una normativa, il DPR 309/90, di quasi 30 anni fa. Non è un caso che sui 140mila tossicodipendenti in trattamento, 120mila abusano di eroina quale sostanza primaria. Il nostro modello di cura, ormai vetusto e ancora fondato sulla sostanza, invece che sulla persona, non è più capace di rispondere con efficacia ad un’epidemia in preoccupante e costante aumento. È come se si volesse curare ancora oggi la tubercolosi con i sanatori, o la peste con i salassi».

Info: comunicazione@fict.it

(comunicato)




Carmignano: partono i lavori di messa in sicurezza del loggiato

CARMIGNANO – «Dopo il fermo decretato dalla Magistratura per consentire le sue indagini in merito alla responsabilità dell’evento, i lavori di messa in sicurezza definitiva del loggiato e della chiesa di San Michele sono partiti oggi, su iniziativa della Soprintendenza competente e dopo la messa in sicurezza provvisoria inizialmente realizzata dal Comune. In tempi davvero veloci sarà presto riaperto l’accesso nella chiesa dal portone principale: questo è solo il primo passo per il recupero dell’intero loggiato». Così don Cristiano D’Angelo, amministratore parrocchiale della chiesa di San Michele di Carmignano il cui portico venne distrutto la mattina dello scorso 4 giugno da un grosso automezzo di ALIA in fase di manovra. Il sacerdote tiene anche a «ringraziare la società assicuratrice per la disponibilità dimostrata in tutta questa vicenda».

Don Cristiano, parroco a Bonistallo di Poggio a Caiano e vicario foraneo di zona, è stato da poco nominato dal vescovo di Pistoia “amministratore parrocchiale” di San Michele a Carmignano. «Sono davvero lieto per questo inizio di lavori – commenta don D’Angelo– che vedo anche come un significativo segno di speranza per l’intera comunità e per un edificio sacro così prezioso e sempre più destinato, nell’immediato futuro, a testimoniare valori evangelici e francescani in un contesto che ne ha bisogno estremo».