Linguaggi del divino 2018: un vocabolario ‘originario’

Rinascere dall’alto. Sono le parole che Gesù, in un colloquio notturno dettato dalla curiosità e un certo timore, rivolge a Nicodemo. Un dialogo dove l’inquietudine di quest’uomo pio e ormai un po’ invecchiato nelle proprie certezze fatica a entrare nella proposta di Cristo. Eppure, con i suoi tentennamenti, le sue paure, ma anche per la sua apertura e il suo desiderio sincero di verità, la figura di Nicodemo resta simpatica. Alla morte di Gesù lo ritroviamo pronto a recuperare e onorarne il corpo: una delicatezza dietro cui la sua figura sparisce, non sappiamo se ormai pienamente ‘convertita’, ancora incredula o in cammino. A Nicodemo, protagonista ‘della soglia’, Gesù consegna un vocabolario fondamentale. Un vocabolario fatto di parole ‘originarie’, che stanno dentro la vicenda dell’uomo, ma che – allo stesso tempo – assumono una densità sempre sorprendente.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di scoprire la densità di queste parole originarie che ridicono l’uomo all’uomo e, allo stesso tempo, aprono al ‘di più’ che invoca l’esistenza umana. Il recente Instrumentum Laboris del sinodo dei Giovani, è un’osservatorio significativo sull’atteggiamento odierno riguardo queste parole originarie. Lo rappresenta perché sintetizza le testimonianze di giovani di tutto il mondo, raccolte attraverso questionari scritti e online, ma anche discusse insieme dai giovani in un pre-sinodo svoltosi nel marzo scorso. Un’inchiesta planetaria che supera i confini della chiesa cattolica, aperta alle altre confessioni cristiane, ma anche a giovani non credenti o non inquadrabili nelle categorie tradizionali. I giovani – vi si legge – «in generale si dichiarano aperti alla spiritualità, anche se il sacro risulta spesso separato dalla vita quotidiana. Molti ritengono la religione una questione privata e si considerano spirituali ma non religiosi (nel senso di appartenenti a una confessione religiosa). La religione non è più vista come la via di accesso privilegiata al senso della vita, ed è affiancata e talvolta rimpiazzata da ideologie e altre correnti di pensiero, o dal successo personale o professionale» (n. 29).

Lo scollamento significativo – e drammatico- tra spiritualità e vita, tra religione e ricerca di senso sono passaggi emblematici su cui vale la pena riflettere. Così come l’appiattimento orizzontale delle risposte, spesso fragili e dal fiato corto, chiuse in una prospettiva privata se non individualistica. È il segno che si è perso di vista il vocabolario ‘base’ per la ricucire le attese e le aperture del cuore, come della mente, alla proposta spirituale.

«In alcune parti del mondo vi è una spontanea apertura alla trascendenza; in altre, dominate da un “umanesimo esclusivo”, la richiesta alla Chiesa è di essere mistica, capace di aprire spiragli di trascendenza nella vita di uomini e donne. Per questo alcuni vedono la liturgia come occasione di profezia. Infine, è forte la richiesta di radicalità» (n. 72). «In un tempo di confusione molti giovani si rendono conto che solo la preghiera, il silenzio e la contemplazione offrono il giusto “orizzonte di trascendenza” entro cui poter maturare scelte autentiche» (n. 183). Forse aveva proprio ragione Karl Rahner, celebre teologo gesuita, quando affermava che «il cristiano del futuro o sarà mistico o non sarà neppure cristiano» (Nuovi saggi, Roma 1968, p. 24). E il futuro, ci pare, lo ritroviamo anche nel ‘vocabolario’ che Gesù consegna a Nicodemo.

«Rinascere». «Come può nascere un uomo quando è vecchio?» (Gv 3, 4). Quale tensione si agita dentro il desiderio di ‘rinascere’?

«Alto». «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3). Cosa cerca il nostro sguardo oltre l’orizzonte di questo mondo?

«Cielo». Incatenato alla terra, l’uomo sente che il cuore cerca il cielo. «Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?» (Gv 3,12). Quale meraviglia che ‘supera’ l’uomo può ancora sorprenderci?

«Luce». «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie» (Gv 3,19). Quale ‘luce’ rischiara la vita?

«Spirito». «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5).

«Carne». Ecco un’altra parola chiave. «Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito» (Gv 3,6). Carne che indica il limite e la materialità irriducibile dell’uomo, che ha fame, sete, sonno, sessualità, sensibilità.

«Sentire/voce». «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). C’è un sentire che non può essere svalutato, un ascolto che va in profondità e che pure si affaccia sul mistero.

L’edizione dei linguaggi del divino 2018 intende prendere sul serio questo vocabolario. Sarà possibile ripercorrerlo attraverso la voce di personalità significative del pensiero e della spiritualità di oggi.  Otto incontri, più tre eventi straordinari si dipaneranno in tutto il mese di ottobre (5 -22).

L’apertura, venerdì 5 ottobre alle ore 17.30 presso il Battistero di San Giovanni in Corte, sarà affidata a padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte (Firenze), testimone significativo di una spiritualità che dialoga con le “cose della terra” e conosce bene il cuore dell’uomo. Seguirà, alle 21, la presentazione del libro fotografico di Mariangela Montanari “Ubi amor, ibi oculus”: un suggestivo racconto per immagini in cui lo sguardo riesce a cogliere l’oltre dentro la realtà. La prima settimana si chiude con domenica 7 ottobre ore 17.30 presso la Sala Capitolare del Convento San Francesco con Guidalberto Bormolini che affronterà l’affascinante e drammatico sguardo dell’uomo di fronte alla morte, tra desiderio di rinascita e spiritualità. Solo l’inizio di un denso e affascinante percorso.

U. F.

PER INFORMAZIONI

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L’apertura dell’anno pastorale a Valdibrana

Tantissimi fedeli per l’apertura dell’anno pastorale nella nuova aula liturgica di Valdibrana

Nella festa di San Matteo si è aperto, per la nostra diocesi, il nuovo anno pastorale con il pellegrinaggio alla Madonna di Valdibrana, durante il quale il Vescovo ha inaugurato la nuova aula liturgica del santuario.

La serata è iniziata con il pellegrinaggio a piedi per le strade del paese, fino alla chiesa di San Romano e poi alla nuova aula liturgica accanto al Santuario diocesano, dove è stata celebrata l’Eucarestia, con una importante presenza di fedeli di ogni età provenienti da tutta la diocesi.

Durante la Messa il Vescovo ha benedetto l’altare e i locali della nuova aula liturgica, augurandosi che diventi per tutti noi un luogo di incontro e di preghiera, dove crescere insieme nella carità, nella fede e nella speranza.
Nel corso della celebrazione il Vescovo ha affidato anche a catechisti e operatori pastorali il mandato per questo nuovo anno che, secondo le indicazioni per l’attuazione degli orientamenti pastorali, sarà dedicato alla comunità fraterna e missionaria, invitandoci a non sottovalutare le solitudini che purtroppo, nei nostri giorni, sempre più affliggono molte persone a noi vicine. Solitudini che spesso sono causa di molti mali e che possiamo vincere con gesti di accoglienza verso il prossimo e con la costruzione di relazioni autentiche.

La celebrazione si è conclusa con un atto molto semplice, ma significativo, di affidamento di tutta la diocesi, di tutte le parrocchie e di noi stessi, alla Vergine Madre e Mediatrice di Grazie con una preghiera composta da Mons. Mansueto Bianchi.

Claudia Marconi




Istituto Musicale Diocesano: iscrizioni aperte!

L’Istituto Musicale Diocesano “Don Lodovico Giustini” ha come scopo fondamentale la preparazione di musicisti disponibili per il servizio liturgico, specialmente per la Messa.

Lo struttura didattica è, comunque, quella di una normale scuola di musica. Si comincia con l’apprendimento della teoria musicale (il cosiddetto “solfeggio”) e si prosegue, anche in contemporanea, se chi si iscrive ha sufficienti cognizioni, con uno strumento o con il canto.

I corsi già funzionanti sono, oltre al solfeggio, quelli di organo, pianoforte, clavicembalo, flauto diritto, flauto traverso, canto. Se vi saranno almeno 3 iscritti, apriremo anche le classi di violino e di violoncello. La stessa modalità è prevista per il corso di canto gregoriano.

L’iscrizione può essere effettuata inviando per e-mail ( info@istitutogiustini.it ) alla scuola la propria richiesta, contenente le necessarie informazioni; nome, cognome, data di nascita, indirizzo, numero di telefono e corso scelto (ci si può iscrivere anche a più corsi).

I corsi si terranno dal lunedì 22 ottobre 2018 al venerdì 14 giugno 2019, interrotti dalle vacanze di Natale di Pasqua e dalle altre festività. Essi hanno luogo dal lunedì al venerdì, in genere nel pomeriggio, ma con possibilità di concordare altro orario.

Mons. Umberto Pineschi

 

Visita il sito e iscriviti!
www.istitutogiustini.it

CORSI INDIVIDUALI (1 ora settimanale)

Armonia e contrappunto
Clavicembalo
Organo
Pianoforte
Flauto
Violino
Violoncello
Canto

CORSI COLLETTIVI (1 ora settimanale)

Teoria musicale e solfeggio
Armonia
Canto gregoriano

Quote associative

CORSI INDIVIDUALI: € 70 ogni 4 lezioni
CORSI COLLETTIVI: € 25 ogni 4 lezioni




Cosa intendi con ‘vocazione’?

Don Michele Gianola (CEI) al convegno vocazionale regionale: riscoprire il senso profondo della parola ‘vocazione’ per mettere le basi di una nuova pastorale giovanile vocazionale.

Se dico pastorale vocazionale cosa ti salta in mente? Forse niente o forse una ‘trappola’ per incastrare futuri preti o religiose?

Don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per le vocazioni, prova a definire le nuove piste dell’attenzione pastorale verso i giovani. Lo fa alla luce del prossimo sinodo dei vescovi, con in una mano l’Instrumentum laboris del sinodo e il documento uscito dal pre-sinodo del marzo scorso, e nell’altra il magistero di Papa Francesco. L’occasione è il secondo convegno regionale vocazionale toscano, svoltosi a Poggibonsi presso la parrocchia di San Giuseppe, sabato 15 settembre.
Il tema dell’incontro, già dal titolo – «Mettere le basi di una pastorale giovanile vocazionale di ampio respiro» – traccia l’esigenza di riformulare proposte e cammini, non soltanto nell’intreccio tra pastorale vocazionale e pastorale giovanile.

Quali sono le basi da cui promuovere un progetto unitario di pastorale giovanile vocazionale?
Don Michele invita a riscoprire con attenzione la parola “vocazione” e i suoi ‘derivati’. Vocazionale, ad esempio, è una parola quasi abusata. «Non tutti i giovani hanno chiaro cosa significhi». E poi occorre «ripulirla dall’idea che Dio abbia già un progetto bell’e pronto per te, che pure solo a fatica è possibile scoprire». Si tratta di un’idea distorta perché «la vocazione -precisa don Michele- non è qualcosa a cui dobbiamo acconsentire e basta, ma un progetto che si realizza insieme al Signore». «L’altra idea che dobbiamo smontare – prosegue – è che l’uomo faccia tutto da solo: è il mito del self made man. La vita è invece una sinergia con Dio: è Lui che ti introduce nell’esistenza e ti aiuta a scoprire il disegno giusto per te. Quanto è bello far scoprire a un giovane che la vita è ancora tutta da costruire insieme a Dio!». Una pastorale giovanile vocazionale dovrebbe ricordarti che «se non sai che fare della tua vita occorre mettersi alla sequela del maestro».

L’individualismo diffuso di oggi è l’altro problema che ci troviamo davanti quando parliamo di vocazione. La vocazione, invece, non è mai un progetto esclusivo, la rotta per una traversata in solitaria, ma «riconoscere che occorre uscire dal sentirsi intrappolati in se stessi. La vocazione è essere ‘per’ qualcuno. Ricordarsi, come ci invita a fare papa Francesco che “Io sono una missione su questa terra” (EG 273)». Anche per questo vale la pena ricordarsi di parlare di ‘vocazioni’ e non soltanto di ‘vocazione’ al singolare. Il corpo di Cristo che è la Chiesa è fatto di vocazioni connesse tra loro: il ministero ordinato, le diverse attività dei laici, la vita consacrata. Quando parliamo di vocazione «non l’individualismo, ma la fantasia dello Spirito. Siamo dentro la vocazione per essere uniti e non divisi».

Un ultimo, importante, nodo da sciogliere è l’idea che la vocazione significhi sganciarsi dalla realtà, quando, invece, «la realtà, le cose che incontri nel bene e nel male plasmano la tua vita, provocano la tua esistenza. C’è una storia in cui il Signore parla». È vero, d’altra parte, che non sempre le proposte pastorali mordono la realtà. Vale la pena rileggere quanto i giovani hanno messo per scritto al termine della riunione pre-sinodale del marzo scorso, quando in più di trecento ragazzi da tutto il mondo e di diverse confessioni religiose hanno riflettuto insieme sul tema del sinodo. Don Michele ha ricordato in particolare un passaggio: «I momenti cruciali per lo sviluppo della nostra identità comprendono: decidere il nostro indirizzo di studi, scegliere la nostra professione, decidere ciò in cui credere, scoprire la nostra sessualità e fare le scelte definitive per la vita». La nostra pastorale tiene presenti questi momenti ‘cruciali’ per i giovani?
«I giovani – si legge ancora in quel documento – sono profondamente coinvolti e interessati in argomenti come la sessualità, le dipendenze, i matrimoni falliti, le famiglie disgregate, così come i grandi problemi sociali, come la criminalità organizzata e la tratta di esseri umani, la violenza, la corruzione, lo sfruttamento, il femminicidio, ogni forma di persecuzione e il degrado del nostro ambiente naturale. Questi sono elementi di profonda preoccupazione nelle comunità vulnerabili in tutto il mondo». I giovani sono interessati alla realtà del nostro tempo. Li sappiamo accompagnare in questo interesse?
Un altro punto estremamente attuale emerso dalla riflessione dei giovani è l’esigenza di «”trovare un luogo di appartenenza: un sogno condiviso che oltrepassa continenti e oceani”. Un desiderio che esprime come i giovani cercano qualcuno che si fidi di loro, una chiesa che li aiuti a trovare una vocazione e a guarire dalle proprie ferite».

Gli stimoli di don Michele sono stati poi tradotti, all’interno di un tempo di condivisione in gruppi, in alcune domande e proposte concrete sviluppate dai partecipanti al convegno. Anche se gli interrogativi hanno superato le proposte vale la pena prenderli in considerazione.
Quanto è disposta la Chiesa ad essere aperta ai giovani? Quanto sa essere in uscita tra loro, come tra gli anziani e le famiglie? I giovani si attendono un accompagnamento. Come fare una proposta per un cammino di discernimento, come aiutarli a scoprire la propria missione? Come farsi evangelizzare dai giovani?

Tra le risposte/proposte è emersa l’esigenza di incentivare percorsi di formazione per accompagnatori e guide spirituali, ma anche la necessità di accogliere i giovani, ascoltandoli con spirito di conversione; coinvolgere, nelle dinamiche di ascolto e accompagnamento, il popolo di Dio in particolare le famiglie. È emerso anche l’invito ad approfondire lo stimolo della comunione ecclesiale per dare una testimonianza credibile di Chiesa, perché unità e testimonianza evangelica si sostengono a vicenda. Un’espressione di papa Francesco può fare sintesi con efficacia: «porta aperta, preghiera e stare inchiodati alla sedia per ascoltare i giovani» (discorso ai partecipanti al Convegno vocazionale nazionale – giovedì 5 gennaio 2017).

U.F.




Custodia del creato: il 30 settembre la giornata diocesana

In questo settembre la Chiesa Italiana celebra la 13° Giornata per la Custodia del Creato: è infatti dal 2006 che la Conferenza Episcopale Italiana indice per il 1° settembre di ogni anno la celebrazione della “Giornata per la custodia del Creato”, un’iniziativa voluta in sintonia con le altre comunità ecclesiali europee che ha lo scopo di dedicare una giornata a riaffermare l’importanza della cura per l’ambiente con tutte le sue implicazioni etiche e sociali.

È in questa cornice che in Italia la stessa Conferenza Episcopale ha affidato alla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, e alla Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, il compito di individuare, per ogni anno, il tema specifico di approfondimento, lasciando alle singole diocesi l’iniziativa di sviluppare attività a livello locale durante tutto il mese. Quest’anno il tema è “Coltivare l’alleanza con la terra” ed è stato illustrato  in un messaggio della conferenza episcopale italiana.

Nel messaggio che accompagna il tema indicato dalla CEI per il presente anno ci viene proposta «una sfida che non interessa solo l’economia e la politica: c’è anche una prospettiva pastorale da ritrovare, nella presa in carico solidale delle fragilità ambientali di fronte agli impatti del mutamento, in una prospettiva di cura integrale. Occorre ritrovare il legame tra la cura dei territori e quella del popolo, anche per orientare a nuovi stili di vita e di consumo responsabile, così come a scelte lungimiranti da parte delle comunità».

La diocesi di Pistoia, su indicazione del vescovo Tardelli, ha individuato la data del 30 Settembre per celebrare la Giornata diocesana per la custodia del creato. In questa occasione ogni realtà parrocchiale è invitata a fare il possibile impegnandosi in varie forme ed iniziative per dare la giusta rilevanza a tale argomento.

Da parte dell’Ufficio diocesano per la Pastorale Sociale e lavoro e del Gruppo di lavoro sugli Stili di vita, è stato predisposto un Sussidio per la preghiera e la riflessione contenente alcune brevi considerazioni utili per la riflessione ed alcune intenzioni di preghiera – con la raccomandazione di usarle nella Messa domenicale del giorno 30 Settembre – ed infine la Preghiera per la terra che chiude l’Enciclica Laudato si’ da leggere coralmente nella Messa.

Selma Ferrali, Ufficio diocesano per la Pastorale Sociale e lavoro

 

Scarica il Sussidio per  GIORNATA del CREATO 2018  – 30 settembre (.pdf)




La scuola, la sfida educativa, la fatica e l’importanza di essere educatori oggi

Il vescovo agli insegnanti: «mi piacerebbe aprire un dialogo con voi per realizzare una specie di “alleanza educativa” che coinvolga oltre le famiglie e la scuola, anche le altre realtà formative che hanno a cuore il bene dei nostri ragazzi».

PISTOIA – «La scuola si va facendo sempre di più un vero e proprio “ospedale da campo”, secondo l’espressione usata da Papa Francesco, e diviene cruciale quindi la sua capacità di essere inclusiva e accogliente verso i bisogni che insistono sulla vita dei nostri giovani».

Sono queste le parole del Santo Padre che il Vescovo – coadiuvato dall’equipe dell’ufficio della pastorale scolastica – ha scelto per parlare agli insegnanti e a tutto l’universo della scuola in occasione dell’avvio del nuovo anno scolastico. La lettera che nei prossimi giorni arriverà sulle cattedre degli insegnati pistoiesi tocca tanti temi d’attualità: dall’emergenza educativa ai problemi strutturali della scuola, dal ruolo delle famiglie al senso profondo della missione dell’insegnamento e tenta di fare luce sulle difficoltà, ma anche sulle sfide e sulle responsabilità, di chi è dietro (e davanti) a una cattedra.

Una scuola che dovrebbe essere il pilastro di una società che guarda al futuro con ottimismo, e che invece si presenta fragile: «Fragilità largamente certificate – si legge nella missiva – ma ancor più non certificate, meno evidenti, più sorde e più nascoste, che rappresentano una sfida allo sguardo attento di ogni insegnante. Sono fragilità figlie di una emergenza educativa diffusa. Sono famiglie a volte troppo vicine, con genitori che finiscono per trasformarsi nei facilitatori dei loro figli rendendoli incapaci di affrontare o sopportare in autonomia qualsiasi sfida. Oppure sono famiglie troppo distanti o del tutto assenti, così che non di rado alla Scuola tocca svolgere un vero e proprio ruolo di supplenza affettiva e formativa».

Fragilità e crepe che spesso distolgono da uno dei capisaldi della missione educativa, ovvero, per citare ancora il Santo Padre, curare lo sviluppo “umano integrale”: «Fare cultura significa educare al giudizio – afferma l’ufficio scuola – e la formazione del giudizio è una delle questioni più urgenti che appaiono oggi nel mondo giovanile, unico antidoto ad atteggiamenti gregari che tolgono alla vita sapore e prospettive. “Se uno ha imparato a imparare, questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà”, come ha affermato Papa Francesco».

«L’educatore non si rassegna mai, i suoi occhi vedono oltre, vedono la vita dove non sembra ci sia, vedono la possibilità di crescere di un alunno dove tutti gli altri vedono solo disinteresse, noia, ribellione. L’idea di fondo, quanto all’aspetto pedagogico, è la centralità della persona umana. La Scuola non si limita ad erogare dei contenuti ma deve formare un cittadino. Se la Scuola è solo la somma dei contenuti erogati allora non è più comunità educante. Essa può e deve fare di più, poiché si occupa di persone che stanno costruendo (o che devono scoprire) il proprio progetto personale. Viene da chiedersi se anche la Scuola non sia coinvolta in questo silenzioso slittamento di senso e intenzionalità che alcune esperienze formative e di ricerca hanno messo in luce per le politiche giovanili degli ultimi anni».

Un ruolo difficile quello dell’insegnante che oggi si fa sempre «più incerto, insidiato, socialmente poco compreso nella sua importanza a dir poco decisiva. Il suo lavoro è posto ogni giorno sotto esame, anche se cerca di esprimere sempre competenza e talento. Agli insegnanti si chiede sempre di più, nonostante debbano fare i conti con mancanze di risorse, classi numerose e una burocrazia fine a se stessa. La realtà pone l’insegnante al confine tra le competenze e la necessità di essere assistente sociale, psicologo, missionario; mentre il suo lavoro è altro: accogliere, includere, accompagnare, ma anche affascinare e insegnare, con gli occhi fissi sul futuro dei ragazzi e sulle sfide che la vita riserverà loro».

Carissimo insegnante, tu hai tra le tue mani ogni giorno, incarnato nei corpi dei tuoi alunni, il futuro del nostro Paese e della nostra società.

Di fronte alle tante problematiche, rimane tuttavia inalterato lo spirito dell’educatore, che guarda a tempo dell’infanzia e dell’adolescenza come «un tempo vulnerabile di attesa ma anche di nuova pienezza, quello dei ragazzi. Un’età in cui si “spera di sperare”. In essa si può provare a capire che cosa resta e da dove ripartire. È una responsabilità esigente che gli insegnanti sanno affrontare al meglio».

Emerge quindi un grande rispetto e una volontà di accompagnare chi è chiamato a questo difficile compito:«La Chiesa di Pistoia è profondamente grata agli insegnanti per una cosa in particolare: perché con la loro opera, con il loro lavoro, con la loro tenacia ricordano a tutti che i giovani e i bambini di oggi non sono peggiori di quelli delle generazioni precedenti, comprendendo bene quale sia la fatica che viene richiesta agli insegnanti e non sufficientemente riconosciuta nel suo valore e nella sua importanza sociale e vuole esprimere tutta la sua ammirazione per ogni volta che ciascuno di loro riesce a trovare un equilibrio fecondo in questa realtà così complessa».

Lettera agli insegnanti della scuola di Pistoia (pdf)

 




Centro Giovani: si ricomincia!

Il Centro Giovani diocesano riparte dopo la pausa estiva!

Martedì 25 settembre riapre il Centro Giovani, presso i locali della parrocchia di San Francesco. Come lo scorso anno, il centro si propone come spazio aperto a tutti i ragazzi dai 14 anni in su. I giorni di apertura saranno il martedì e il venerdì dalle ore 14:30 alle ore 18:30. Le attività che il Centro offre sono quelle del sostegno scolastico gratuito (in particolar modo il venerdì pomeriggio), un ampio spazio in cui poter fare i compiti, una sala ricreativa e una sala di musica dove poter cantare e suonare il pianoforte o la chitarra.

L’anima del centro è senza dubbio l’accoglienza e la possibilità per ogni ragazzo di potersi esprimere al meglio nelle proprie qualità, sentendosi sostenuto e incoraggiato. La realtà del Centro Giovani abbraccia in pieno quelli che sono i desideri e le indicazioni espresse da Papa Francesco, il quale si prepara, proprio nel mese corrente di ottobre a celebrare il Sinodo sui giovani, momento di particolare importanza, all’interno del quale il Papa vuole proprio porre al centro dell’attenzione l’ascolto verso i giovani.

Il progetto del centro giovani diocesano si delinea quindi come una porta aperta, pronta ad accogliere le necessità, le aspettative e i desideri che i ragazzi portano nel proprio cuore.




La nuova aula liturgica di Valdibrana

Uno spazio di preghiera, incontro e formazione per tutta la Diocesi

 

Venerdì 21 settembre l’inizio dell’anno pastorale avrà luogo a Valdibrana, nella nuova aula liturgica accanto al santuario della Madonna delle Grazie. Don Cesare Tognelli, rettore del santuario ci illustra il nuovo complesso.

 

Don Cesare, finalmente, dopo un’attesa lunga e travagliata, è arrivato il momento dell’inaugurazione dei nuovi locali di Valdibrana…

È davvero una gioia. I lavori sono iniziati dieci anni fa, nel 2009. Il progetto prevedeva un complesso ancora più grande. Quello attuale, realizzato dall’architetto Marco Matteini, ha mantenuto la volontà di don Severino Pagnini, allora parroco di Valdibrana, che aveva l’intenzione di rendere più agevole il santuario per i pellegrini. Egli, infatti, si auspicava di ampliare il santuario edificando dei locali attigui. Mancando i permessi delle autorità competenti don Pagnini ha pensato di fare un nuovo grande locale più vicino possibile al santuario per accogliere i numerosi devoti alla Vergine. Il progetto è stato avviato in un periodo economicamente favorevole, poi però, appena cominciati i lavori, sono aumentati i prezzi e diminuiti i pellegrini. Dopo tante difficoltà, però, siamo finalmente arrivati alla fine dei lavori. Oggi è necessario anche ampliare il nostro sguardo, non fermarsi a Valdibrana e raggiungere una dimensione diocesana per dare respiro al complesso.

Come è organizzato il nuovo complesso di Valdibrana?

Il primo piano è l’aula liturgica in senso stretto. Mentre tutto il centro mariano è intitolato a don Severino Pagnini, l’aula liturgica è dedicata a Mons. Mansueto Bianchi; vi si riporta infatti, anche un passaggio della preghiera che il vescovo Bianchi scrisse per la Madonna di Valdibrana.

Tra gli arredi dell’aula c’è un crocifisso, opera dell’artigiano locale di Valdibrana Romano Straulino. Romano custodiva in casa questa grande scultura, che aveva realizzato indipendentemente dal progetto dell’aula liturgica. Quando ho visto in casa sua il crocifisso, subito mi è apparso bello e adatto ad essere collocato nella nuovo ambiente accanto al santuario. Mi sono fatto coraggio e gli ho chiesto se poteva donarlo per questo nuovo arredo.

L’aula è anche impreziosita da una mosaico realizzato dalla mosaicista Ursula Corsi di Pietrasanta. Maria, raffigurata secondo l’iconografia del santuario di Valdibrana, è collocata in un contesto che ricorda Betlemme: si riconosce il profilo della Basilica della Natività con olivi e cipressi, gli alberi tipici della Giudea, ma anche della nostra campagna.

 C’è poi la via crucis di Ugo Fanti, artigiano pistoiese; un autodidatta che presenta nelle sue formelle in legno la passione di Gesù. A queste formelle sarà dedicato un libretto con la via crucis presto disponibile.

Il piano inferiore ha più locali, in particolare dispone di una grande sala per feste, momenti conviviali o di incontro. Ci sono poi altre stanze che possono essere valorizzate dalla presenza di gruppi e bagni attrezzati anche per i disabili. Il tutto è inserito nel verde, in un boschetto di olivi; un contesto gradevole per arrivare a fare omaggio a Maria, ma anche per una sosta di incontro e approfondimento. C’è spazio, infatti, anche per una piccola biblioteca dedicata a testi mariani.

Venerdì 21 il vescovo invita le parrocchie a portare un’offerta per sostenere le spese…

Non vorrei che questa diventasse solo l’occasione per portare offerte, ritengo però che il valore dell’ambiente sia proprio in questa possibilità di sviluppo della spiritualità mariana L’invito alle parrocchie è perché Maria possa diventare di più il nostro esempio della fede. D’altra parte il vescovo ha il desiderio di farlo diventare un centro che divulghi la devozione mariana, in un senso più in linea con il Concilio Vaticano II.

L’apertura dell’anno pastorale è una bella occasione per far conoscere il nuovo complesso…

L’apertura dell’anno pastorale a Valdibrana credo che sia importante per questa dimensione diocesana che mi auspico divenga sempre più decisa. L’inaugurazione avverrà in due momenti. L’inaugurazione ‘laica’ sarà martedì 18 settembre alle 11.30 con la presenza del vescovo Tardelli, delle autorità civili, del sindaco di Pistoia, del presidente della Fondazione CARIPT e di quanti hanno collaborato ai lavori.

L’inaugurazione ‘religiosa’ sarà il 21. Dopo il pellegrinaggio diocesano ci sarà infatti, la santa messa con la benedizione dell’altare e dei locali.

Daniela Raspollini




Don Pino Puglisi e i giovani

In occasione della visita di Papa Francesco a Palermo rendiamo disponibile on-line l’articolo dedicato a don Pino Puglisi uscito sul numero 21 del settimanale “La Vita” (3 giugno 2018).

A 25 anni dal suo martirio l’eredità del Beato Puglisi continua a portare frutto tra le giovani generazioni

Il prossimo 15 settembre, 25° anniversario dell’assassinio di Padre Pino Puglisi Papa Francesco si recherà in viaggio a Palermo, dove visiterà i luoghi “simbolo” di padre Pino nel quartiere Brancaccio. Vogliamo riproporre la figura di don Pino attraverso le parole del dott. Domenico De Lisi. Domenico è stato vicino a don Puglisi fino alla sua morte, ed è assistente sociale al Centro Padre Nostro, nato nel 1991 nel quartiere Brancaccio di Palermo per volontà dello stesso sacerdote.

 

Padre Pino è stato un educatore instancabile. Come vive l’eredità di don Pino nel Centro Padre Nostro?

Oggi manteniamo la sua intensa spiritualità e il suo alto profilo educativo, ma anche la sua concretezza. Padre Pino era un uomo del fare. Eppure la sua era un’azione prevalentemente pastorale. L’apertura del Centro Padre Nostro non era indirizzata soltanto a finalità assistenziali, ma rivolta a promuovere la dignità dell’uomo, la sua identità cristiana e poi, certamente, anche a formare una coscienza civile.

Cosa ci puoi raccontare della sua opera di evangelizzazione dei giovani, svolta in un territorio segnato da tanta violenza tra famiglie malavitose?

A Brancaccio padre Pino ha concepito il proprio ministero in un senso più missionario, rivolto all’integrazione sul territorio; fece uso delle scienze sociali per la lettura del quartiere e si fece aiutare da ‘assistenti sociali missionari’. Il primo anno a Brancaccio volle conoscere quello di cui aveva bisogno la gente, lasciando emergere i bisogni reali. Si accorse che mancavano spazi di aggregazioni e formazione, così cominciò a realizzare un centro anziani, una scuola, un asilo, un centro sportivo… molte altre cose poi si sono concretizzate nel tempo. Quest’anno ad esempio, inizieremo a realizzare un asilo nido, proprio nel cuore di Brancaccio. L’analisi di don Puglisi richiedeva degli interventi mirati che alla lunga hanno fatto fiorire un quartiere molto degradato. Da un punto di vista concreto, ma anche di formazione delle coscienze si è indubbiamente dato molto da fare.

Oggi al Centro Padre Nostro facciamo svolgere lavori utili come pena sostitutiva al carcere, inoltre in questi anni si è costituita una rete con le scuole per parlare di legalità, passando per la testimonianza diretta. Tante attività sono oggi possibili grazie al sacrificio di don Pino.

Eppure all’inizio del suo ministero a Brancaccio padre Pino non riuscì a fare breccia sulla sua comunità, che si presentava come una realtà molto chiusa, abituata a una semplice pratica sacramentale. Don Pino fece questo, ma anche altro. Uscì fuori, incontro alla gente, non era un uomo “contro” qualcuno, ma un uomo “per”, per l’uomo per la sua dignità. Per questo non volle mai scendere a compromessi, pur cercando un dialogo con chi era mafioso. Ai malavitosi domandava: «perché ce l’avete con noi? Perché ve la prendete con chi vuole migliorare le vite e il quartiere di tanta gente?».

Nella sua prossima visita papa Francesco visiterà alcuni luoghi legati a don Pino..

Nel 2014 abbiamo riaperto la sua casa, trasformandola in un luogo di testimonianza. Lì si vede la sua povertà: don Pino viveva con niente, ma era ricco dentro. La sua casa era piena di libri, libri sparsi ovunque. Questa casa museo è diventata importante per far emergere gli aspetti fondamentali di Puglisi. Era l’amico prete, che aveva sempre orecchio e spazio per ascoltarti. Amava lo studio e la conoscenza: è bello sfogliare i suoi libri e vedere quanto aveva sottolineato. E poi don Pino era il prete della preghiera, che era il suo pane quotidiano. La preghiera lo ha fatto restare saldo fino a quella sera del 1993. Quel «me lo aspettavo» con cui accolse i suoi assassini spiazzò il killer. Il suo sorriso fu “disarmante”, al punto che chi l’ha ucciso, diventato collaboratore di giustizia, ha aiutato a fare chiarezza sulla dinamica della sua morte.

Don Pino si occupò anche dei piccoli, offrendo loro la possibilità di giocare, studiare e sottraendoli al loro degrado sociale..

Quando venne a Brancaccio cominciò a organizzare molte attività rivolte ai minori e alle famiglie. Credeva molto nella figura dell’assistente sociale all’interno della comunità. Sapeva che da prete non poteva dare tutte le risposte alle esigenze della gente. Cominciò ad animare il territorio. Questo lo fece rendere sospetto agli occhi della mafia. La sua morte fu dovuta al boss Graviano perché ‘questo prete’, «rompeva le scatole, non ci lasciava in pace» proprio per la sua azione pedagogico educativa.

 A distanza di 25 anni dalla sua morte com’è cambiata la realtà giovanile di Brancaccio?

In questi anni abbiamo accompagnato molti di loro in un processo di crescita, molti li abbiamo portati a completare un percorso scolastico, altri sono maturati, anche grazie alle famiglie. Anche soltanto sapere che alcuni ammettono di avere problemi e si rivolgono a noi è un successo, significa un riconoscimento ma anche una maturazione. Al centro Padre nostro proponiamo gli elementi dell’accoglienza, del sacrificio, della solidarietà e i frutti si vedono.

In vista del prossimo Sinodo dei Giovani, quale messaggio ti sentiresti di far arrivare ai vescovi in base alla testimonianza di don Pino?

A me piacerebbe che tutti i giovani facessero le esperienze che ho fatto io. Io ho vissuto nella difficoltà, ma ho avuto degli adulti significativi. Perché possano esserci dei giovani motivati è fondamentale trovare un adulto significativo che si prende cura di te e ti fa crescere. Questo rapporto duale, che nella nostra comunità era molto presente, resta fondamentale. Nella Chiesa questa esperienza c’è, occorre sostenerla. Basterebbe dire questo: essere adulti significativi per i giovani di oggi.

 Daniela Raspollini




In Brasile per leggere il mondo con occhi nuovi

Maximilien Baldi, seminarista della nostra diocesi, racconta la sua esperienza missionaria a Salvador de Bahia e nella regione del Minas Gerais

 

Il 18 di luglio scorso sono sbarcato assieme a Luca (seminarista di Firenze) a Salvador terza città più grande del Brasile e capitale dello stato della Bahia situato nel nord est. Abbiamo iniziato la nostra esperienza vivendo nella parrocchia di Nossa Senhora da Piedade a Massaranduba (quartiere di Salvador), qui dal 2007 è presente una missione della diocesi di Firenze e attualmente vi sono due sacerdoti: don Marco Paglicci e don Paolo Sbolci. Vivere con loro a stretto contatto per circa tre settimane è stato un dono prezioso in cui il Signore, come Padre buono, mi ha mostrato quanto l’uomo da Lui creato sia meraviglioso ai suoi occhi.

La situazione in Massaranduba, e un po’ di tutta Salvador, ad oggi presenta una realtà molto difficile, fatta di povertà materiale che si lega con la mancanza di istruzione, sanità e molto altro. Ad esempio la mancanza di lavoro, che purtroppo porta i giovani a compiere scelte sbagliate e il bisogno di avere il necessario per vivere li porta molto spesso a scontrarsi con “l’opportunità” di fare soldi in maniera facile e di entrare nel tunnel terribile della droga, in cui lo spaccio e l’uso personale fanno sì che questi ragazzi perdano ogni regola o limite imposto dal buon senso. Si scatena così una violenza inaudita che poi si ripercuote sempre sui più deboli, come donne, bambini e ragazzi.

In questo clima, tuttavia, ho potuto scorgere bagliori di luce inimmaginabili anche dove le tenebre apparivano più fitte, segni tangibili e potentissimi della presenza di Dio; ho visto con i miei occhi fiori sbocciati nel deserto. Il lavoro quotidiano di questi due padri ne è un esempio, la loro attività pastorale è esattamente la stessa che compie ogni giorno un parroco qui da noi come ad esempio andare a trovare le vedove, i malati, gli anziani nelle case di riposo, e poi la messa, il catechismo e tanto altro. L’unica differenza, ma non da poco, sono le condizioni in cui si trovano a svolgere le loro attività pastorali, poiché l’approccio alle persone è completamente diverso. Lì tutti sono “credenti”, ma non tutti sono cattolici, anzi, vi è un miscuglio incredibile di chiese protestanti o di sette ad ogni angolo della strada e ciò porta confusione nella popolazione anche sulla propria identità religiosa. Un altro esempio è il Candoblè, religione di origine africana portata ai tempi della schiavitù: il risultato è un intreccio afrobrasiliano -ai nostri occhi quasi incomprensibile- che riprende anche il culto dei nostri santi come altri aspetti della cultura cattolica.

Nell’accompagnare i padri nelle varie realtà della parrocchia ripenso con grande commozione alla visita agli anziani nelle case di riposo. In particolare ricordo che una di esse aveva una grande stanza completamente piena di letti e condizioni igieniche tutt’altro che accettabili. In quel momento se solo avessi potuto li avrei portati via tutti da quel posto, come avrei fatto la stessa cosa nei tantissimi incontri avvenuti nelle case dei parrocchiani; purtroppo la realtà mi diceva chiaramente che non era possibile. Tante sono state le scene di dolore e sofferenza che istintivamente non riuscivo ad accettare, eppure in quel momento ho capito che è vero che io non posso cambiare il mondo, ho compreso però, che un mare è veramente un insieme di tantissime gocce e questo pensiero mi ha immediatamente permesso di guardare alla realtà che mi circondava con uno sguardo diverso, anzi redento! Ho capito che il Signore mi invitava a guardare a tutte le realtà che mi circondavano con questo sguardo nuovo, intriso di vita proprio dove davanti a me c’era la morte, di gioia dove c’era dolore e di speranza dove c’era disperazione. Mi spronava a guardare tutte le realtà in questo modo, sia in Brasile così come a Pistoia, proprio come Egli volle far vedere al suo amato san Francesco.

Ho visto progetti meravigliosi che danno speranza ai piccoli; il progetto guidato dal professor Mauro Barsi che si chiama Agata Smeralda ne è un esempio lampante, perché un’adozione a distanza che per noi sembra una sciocchezza (1 euro al giorno) a loro cambia la vita: i bambini possono studiare, ricevere un educazione, mangiare in modo decente e anche giocare. Sì, giocare, perché per loro giocare a casa è pericoloso e hanno paura della violenza che li circonda. Ho visto altri progetti che hanno dell’incredibile, ad esempio uno nello stato del Minas Gerais (1400km più a sud) che si chiama APAC ed è un progetto cristiano di reintegrazione sociale per detenuti, in parole povere un carcere senza polizia. Il presidente di questa associazione mi ha detto una frase che non dimenticherò mai: «questo progetto è sgorgato direttamente dal cuore ferito di Gesù Cristo». In queste carceri ho visto persone che sono letteralmente risorte, pienamente consapevoli dei loro errori e scontano la loro pena con grande coscienza, anzi, riescono ad amarla perché comprendono che proprio da lì Cristo entra nella loro storia.

Ho conosciuto tantissime persone sante, missionarie e tutte con un unico comune denominatore; una passione smisurata per il Signore Gesù che si riversa come un fiume sull’uomo come creatura del suo Dio e lo ama come un fratello vero. Da loro ho compreso che l’altro è una parte di me ed io non posso far finta di niente, siamo legati tutti da un filo invisibile, l’amore del Padre che ci ha donato il Suo Unico Figlio perché avessimo la vita in pienezza ed abbondanza e non come l’uomo crede, ma come Dio sogna per ognuno di noi.

Con questa esperienza torno nella mia Pistoia col cuore spalancato, ricolmo di gioia e gratitudine per l’esperienza compiuta e con un desiderio immenso di poter amare tutto ciò che mi circonda. Ho compreso che per me non esiste Brasile o Italia: sono chiamato ad amare qui, adesso, in seminario, in parrocchia e ovunque io vada, perché c’è un solo luogo in cui c’è la vera giustizia, equità e si chiama Gesù. Noi, chiamati a far parte del suo corpo che è la nostra Chiesa Cattolica, abbiamo in ogni istante l’opportunità di amare gli altri come Lui per primo ci ama, possiamo imparare ad essere dono per il prossimo se mettiamo da parte i nostri egoismi e se sbagliamo è sempre ‘adesso’ il momento giusto per perdonare e ricominciare. Se ognuno di noi non dona tutto l’amore di cui è capace, quello che ci circonda sarà senz’altro un mondo più povero.

Maximilien Baldi