Scholas Occurrentes a Pistoia: camminare insieme nell’impegno per i giovani

La notizia della scelta da parte di Papa Francesco della nostra città come sede di Scholas Occurrentes dà speranza e ci impegna a lavorare con ancora maggiore slancio per i giovani e per la scuola nel complesso periodo che entrambi attraversano.

Ho rubato un verso. Ho rubato un verso al profeta Geremia e nel mio colloquio con Madre Ana, ringraziandola, ho avuto modo di dire a lei e ai referenti di Scholas che ho incontrato, che “vedo un ramo di mandorlo”. La loro venuta a Pistoia, nella nostra città a volte chiusa, a volte complicata, ma con tante energie da esprimere, è il segno di una primavera che accompagna quella del calendario. Non è un caso forse che proprio il 21 marzo la notizia sia divenuta ufficiale.

Ringrazio il vescovo Fausto per questo ulteriore segno di attenzione al mondo della scuola. L’impegno e la volontà tenace dell’Ufficio per la Pastorale dell’Educazione, della Scuola, dell’Università è di fare in modo che anche questa non diventi un’occasione persa, ma che possa essere invece il modo operativo perché tutti coloro che condividono il bisogno di un senso nuovo, antico e al contempo diverso nel loro impegno con e per i giovani, possano camminare insieme.

Dobbiamo unirci, non distinguerci gli uni dagli altri, in un unico cammino ecclesiale. Così questa iniziativa, nelle pletora delle iniziative sparse, sarà un segno di speranza e potrà fare la differenza nella vita di molti. Costruire insieme. Camminare insieme. «Benedetto colui che viene nel nome del Signore».

Edoardo Baroncelli
Direttore dell’Ufficio per la Pastorale dell”Educazione, della Scuola, dell’Università – Diocesi di Pistoia




La diocesi ricorda il vescovo Mansueto. In un libro le sue parole ai giovani

Sabato 30 marzo sarà presentato in Seminario a Pistoia il volume “Matteo, la storia di uno sguardo”, omaggio della Diocesi all’episcopato di Monsignor Bianchi. Il libro – realizzato con il contributo di ViVal Banca – raccoglie le trascrizioni delle catechesi ai giovani del vescovo Mansueto.

PISTOIA. Torna a risuonare la voce del vescovo Mansueto Bianchi in un agile volume che riporta i testi delle sue catechesi per l’anno 2010-2011 insieme ad altri interventi rivolti ai giovani.
Il libro, dal titolo “Matteo: la storia di uno sguardo”, è il primo omaggio dedicato alla memoria del vescovo Bianchi dalla Diocesi di Pistoia di cui Mansueto è stato pastore dal 2006 al 2014.

«Pistoia – ricorda Monsignor Tardelli, successore, ma soprattutto amico di sempre del vescovo Bianchi – non può dimenticare quei quasi sette anni di ministero episcopale che, pur in mezzo a qualche tribolazione e fatica, hanno permesso alla Diocesi di camminare sui sentieri della parola di Dio, nutrendosi di essa con abbondanza e gioia e sperimentando la “mansuetudine” di un vescovo che ha amato profondamente questa Chiesa. Ringrazio sentitamente ViVal Banca per aver sostenuto questo progetto, cui ha aderito con sincero entusiasmo».

Il libro è la trascrizione fedele degli incontri dell’edizione 2010-2011 della “Scuola della Parola” dedicata al Vangelo di Matteo, un percorso ideato e organizzato dall’ufficio di pastorale giovanile diocesano che aveva lo scopo di riportare la Scrittura nelle mani dei giovani, aiutandoli a capire come essa sia luogo e strumento valido per la preghiera e la vita personale e comunitaria.  “Matteo, la storia di uno sguardo” recupera e consegna ai giovani di ieri come a quelli di oggi la ricchezza di questa esperienza e la sapienza di un indimenticato pastore.

Monsignor Mansueto Bianchi (1949-2016) è stato una luminosa figura della Chiesa italiana di questi ultimi decenni. Gli anni del suo episcopato a Pistoia lo hanno visto sempre più coinvolto a livello nazionale all’interno della Conferenza Episcopale quale membro del Consiglio permanente.
Il suo carisma di educatore e maestro lo ha portato nel 2014 all’Azione Cattolica nazionale, in qualità di Assistente Ecclesiastico. Alla sua scomparsa anche Papa Francesco ha voluto consegnare un messaggio commosso in ricordo di «un nonno, che se ne è andato, che il Signore ha chiamato: Don Mansueto, al quale io volevo tanto bene… Aveva un nome bello: Mansueto, un uomo mite, un uomo buono, un nonno buono. Che lui ci insegni!» (udienza per l’Azione Cattolica Italiana, 16 dicembre 2016).

Il libro «Matteo, la storia di uno sguardo. La “Scuola della Parola” per i giovani» (Edizioni San Jacopo, Pistoia 2019, pp. 172) sarà presentato sabato 30 marzo alle ore 10,30 presso l’Aula Magna del Seminario Vescovile di Pistoia.

La pubblicazione è stata resa possibile grazie al contributo di ViValBanca – Banca di Credito Cooperativo di Montecatini Terme, Bientina e San Pietro in Vincio. Le trascrizioni sono state curate da Suor Teresa Lio e Alessio Landini; le foto contenute nel volume sono di Silvio Moresi.
Alla presentazione saranno presenti S.E. Monsignor Fausto Tardelli, vescovo di Pistoia e Alessandro Belloni, presidente di ViVal Banca.

(comunicato UCS)

Sarà possibile acquistare il libro a partire da sabato 30 marzo presso la libreria San Jacopo di Pistoia (via Puccini, 32 – Pistoia – mail: libreriasanjacopo@tiscali.it )

 




Il fratello ingombrante: seconda liturgia stazionale

Prosegue l’itinerario delle liturgie stazionali. Venerdì 22 marzo la preghiera è avviata nella chiesa di Santa Maria Liberata, oggi officiata dalla chiesa ortodossa romena, per poi spostarsi nella vicina chiesa di San Bartolomeo Apostolo. Riportiamo di seguito alcuni passaggi dell’omelia di Mons. Tardelli.

Fratelli contro fratelli:perché?

La cronaca del mondo è piena di fratelli che odiano i fratelli. E il motivo? Ascoltiamo il testo della genesi: «Israele amava Giuseppe più di tutti suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche larghe. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente». Il motivo dunque è evidente: l’invidia.

Sei sicuro di non essere invidioso?

Ebbene si, l’invidia. Ci sembra a volte che non sia niente, o sia cosa di poco conto; la declassiamo facilmente a semplice immaturità psicologica e tendiamo a sminuirla o a non riconoscerla in noi. Difficilmente si ammette di essere invidiosi. L’invidia invece è un grande peccato e un vizio capitale. (..) San Gregorio Magno dice che «dall’invidia nascono l’odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato dalla sua fortuna».

E perché si è invidiosi?

È semplice: perché si pensa di non essere amati a sufficienza, come ci meritiamo o vorremmo. Soprattutto perché cediamo al cattivo pensiero che il bene che hanno gli altri, tolga qualcosa a noi. Come sempre, la causa è il nostro io presuntuoso e superbo che vorrebbe tutto per sé e non tollera di non essere considerato il più bravo, il più grande, il più meritevole di tutti.

Ma colui che è oggetto di invidia che fa?

Di solito, o gode di questo e trova compiacimento nel veder soffrire gli altri e si diverte mettendoli sotto i piedi, oppure, al contrario, si riempie di rabbia e di risentimento, meditando vendetta, perché attribuisce all’invidia altrui il suo insuccesso, il non aver potuto raggiungere gli obiettivi che si era prefissato. E quando si fa così in questo modo, ancora si pecca, in quanto è sempre l’io, il nostro io a voler prevalere.

Una storia diversa

La storia di Giuseppe invece ci racconta un’altra storia, con un altro finale. Giuseppe, quasi ucciso e venduto dai fratelli, sarà proprio lui che salverà i fratelli nel tempo della carestia e li riabbraccerà pieno di amore. Come non vedere allora in Giuseppe, la figura di Nostro Signore di cui ci parla il Vangelo, pietra angolare nonostante sia stata scartata dai costruttori?

Una mala pianta

L’uomo spesso si fa attrarre dal maligno che è tale proprio perché roso dall’invidia nei confronti di Dio e dell’uomo amato da Dio. Ma quando l’ uomo si lascia prendere da questa invidia sulla scia del maligno e vuole rubare il posto a Dio, bramando il suo potere e la sua gloria, inevitabilmente e immediatamente si trasforma in un carnefice dell’altro uomo (…). Così, carissimi fratelli e sorelle si spiegano i grandi genocidi della storia, le ideologie che hanno fatto milioni di morti, ma anche ogni manipolazione arbitraria della natura umana, i femminicidi che riempiono le cronache e ogni violenza nei confronti di chi è diverso. La mala pianta però alberga dentro di noi, dobbiamo riconoscerlo.

Gesù: il fratello ingombrante

Gesù è stato considerato, e ancora molti lo considerano, un fratello “ingombrante”; del male che si è scaricato e che si scarica su di Lui, ne fa motivo di vittoria e quindi di speranza per l’umanità. Egli è il Risorto, nostro Salvatore ed è una meraviglia ai nostri occhi. (…) Chiediamo che Dio ci faccia sentire così forte il suo amore, così intensamente, così pienamente da liberarci dalla schiavitù dell’invidia.

Leggi l’omelia intera




Alla scoperta di San Baronto

Dalla Francia al Montalbano, attraverso un viaggio ultraterreno, la storia dell’eremita Baronto e del suo compagno Desiderio. La chiesa di Pistoia li ricorda ogni 26 marzo

Baronto nacque in Francia da una nobile famiglia, probabilmente a Limoges, al tempo del re merovingio Teodorico III (673/75-691). Dopo una vita dedita ai piaceri si ritirò, assieme al figlio, Aglioaldo, nel monastero di San Pietro di Longoreto, nei pressi di Bourges. Ammesso all’ordine monastico, Baronto divenne un fedele servitore di Dio.

Un mattino una febbre lo ridusse improvvisamente in fin di vita, tanto da sembrare morto, ma il mattino successivo, dopo che per un’intera giornata e una notte era stato vegliato dai suoi confratelli, improvvisamente si risvegliò e narrò un sublime viaggio che la sua anima aveva compiuto tra le gioie celesti e i terribili tormenti dell’inferno. Caduto in un sonno profondo, raccontò Baronto, gli vennero incontro due demoni che strangolandolo cercarono di condurlo all’inferno. Per fortuna lo soccorse l’arcangelo Raffaele, che dopo un’aspra lotta con i demoni, decise di portarlo davanti al tribunale dell’eterno Giudice. Superato il vicino monastero di Méobecq e oltrepassato l’inferno, San Raffaele e Baronto, accompagnati dai due demoni, giunsero alla prima porta del paradiso, dove molte anime dei suoi confratelli monaci erano in attesa del giorno del Giudizio. I quattro varcarono poi altre due porte, incontrando prima migliaia di vergini e di fanciulli biancovestiti, poi, oltre la terza, una folla di santi incoronati e sacerdoti, che sedevano su troni in dimore costruite di mattoni d’oro. Oltre la quarta porta non era possibile andare e Baronto riuscì a scorgere solo un’intensa luce. Raffaele inviò un angelo a chiamare Pietro che, appena giunto, si sorprese che un monaco del suo convento dovesse essere condotto all’inferno. I demoni, allora, accusarono Baronto di vari peccati. San Pietro, dopo aver avuto l’ammissione da Baronto stesso delle sue colpe, invitò i demoni a considerare che, avendo egli fatto l’elemosina, confessato i suoi peccati ai sacerdoti e consacrato la sua vita al servizio di Dio, si era mostrato degno di un riscatto totale. I demoni, non convinti, insisterono nel volere il giudizio diretto di Dio. San Pietro li mise allora in fuga minacciando di colpirli con le sue tre chiavi; fece poi riaccompagnare Baronto alla prima porta del paradiso, dove questi incontrò un suo confratello incaricato di ricondurlo nel suo corpo. Una volta incamminatosi sulla via del ritorno, Baronto vide prima Abramo poi, seppure con fatica per l’oscurità e il fumo, intravide nell’inferno migliaia e migliaia di dannati incatenati e divisi secondo i peccati, tra cui distinse i vescovi Vulfoledo di Bourges e Didone di Poitiers. Scorse infine un luogo ove erano posti i dannati che, avendo compiuto in vita oltre ai peccati anche qualche buona azione, ricevevano, come refrigerio quotidiano, una manna ristoratrice. Superato l’inferno, Baronto e il suo accompagnatore ritornarono al monastero. Qui l’anima di Baronto, rimasta sola si trascinò fino al letto e rientrò nel suo corpo attraverso la bocca.

Successivamente a questa straordinaria esperienza, narrata nella Vita Baronti, Baronto supplicò insistentemente il suo abate affinché gli consentisse di lasciare la Gallia sia per pregare sulla tomba di San Pietro, che aveva sottratto la sua anima ai demoni, sia per dedicarsi totalmente alla preghiera e alla vita ascetica. Ottenuto il permesso giunse a Roma e, dopo aver pregato sulla tomba di San Pietro, tornò verso la Toscana, dove si fermò sulle colline vicino Pistoia in un luogo che a lui sembrò adatto alla vita di preghiera. Subito vi costruì una capanna poi, pregando intensamente il Signore, scavò con le proprie mani sul vicino pendio facendone scaturire una sorgente. Rimasto in questo luogo Baronto si dedicò giorno e notte alla contemplazione di Dio; essendosi diffusa la sua fama di santità un uomo, di nome Desiderio, si affiancò a lui condividendone la scelta di vita; Desiderio fu poi seguito da altri quattro giovani. Quando Baronto morì il suo corpo fu sepolto dai suoi discepoli nella cappella da lui stesso edificata.

 

Per i prodigi che vi si sarebbero verificati, la tomba di San Baronto divenne meta di un continuo pellegrinaggio, tanto che dopo molto tempo alcuni notabili di quella terra costruirono un monastero, nel quale in seguito fu traslato il suo corpo per volere del vescovo di Pistoia, Restaldo (attorno al 1018). Fin qui la tradizione agiografica.

Veniamo ora al monastero e al culto del santo. L’abbazia di S. Baronto ha una storia ultramillenaria. N. Rauty, sulla base delle indicazioni contenute nel manoscritto sulla vita e degli elementi architettonici degli edifici monastici, ha individuato tre fasi relative alla sua antica costruzione. Secondo questa ipotesi, al tempo di Baronto (VII-VIII secolo) sarebbero state costruite alcune celle eremitiche e una cappella per il culto dove fu sepolto inizialmente il santo. Attorno a questo primo nucleo a partire dall’VIII secolo si sarebbe poi sviluppato un organismo architettonico più complesso: un monastero, nel quale fu traslata la salma dell’eremita al tempo del Bvescovo Restaldo (attorno al 1018). Infine, attorno al 1050, vi fu un nuovo intervento per trasferire vicino alla tomba di Baronto anche i corpi di Desiderio e dei suoi compagni.

Nei primi secoli del Basso Medioevo, grazie a lasciti e oblazioni, l’abbazia divenne ricca e fiorente, tanto che nel 1276/77 essa era tassata con una decima di 40 lire, inferiore nella diocesi di Pistoia solo a quella della cattedrale di San Zeno e di San Bartolomeo. A partire dal XIV secolo però, iniziò il declino della comunità monastica, vuoi per la crisi degli ordini monastici benedettini, vuoi perché questo luogo fu coinvolto nelle lotte tra Lucca, Pistoia e Firenze. La cura successivamente fu affidata ad un abate commendatario che spesso non viveva nell’abbazia ma beneficiava delle sue rendite e affidava la sua cura ad un cappellano. Nel 1577 passò sotto il controllo della Badia fiorentina e nel 1732 divenne prioria. Ciò che rimase costante nei secoli fu il culto del santo che, pur avendo un carattere locale, è rimasto vivo fino al secondo dopoguerra.

Effige di San Baronto, bronzo smaltato, XIII secolo, Allen Memorial Art Museum, Oberlin (Ohio)

Molti sono i segni di questa lunga permanenza del culto: in quest’occasione vorrei ricordarne almeno due. Le storie e le cronache antiche, come abbiamo visto, narrano che la fama dei miracoli avvenuti grazie all’intercessione dei Santi Baronto e Desiderio fu tale che prima le popolazioni vicine e poi quelle lontane fecero a gara a «correre qua ad invocare e venerare i sacri corpi dei santi ivi sepolti. Fin dalla Francia, dicon le cronache sarebbero venute qui […] turbe di pellegrini». Fino alla fine del XIX secolo di questo antico splendore rimaneva una traccia: si trattava di sei statuette raffiguranti S. Baronto e i suoi compagni eremiti. Erano -scriveva A. Mazzanti nel 1920- «graziose, pregevoli, antichissime figurine di bronzo, rilevate dalla parte anteriore e piane dalla parte per cui erano affisse [all’altare] con chiodi pure di bronzo al gradino [un dossale di legno], alte una spanna (dicon le memorie). Oggi anche questo pregevole resto di antichità è miseramente scomparso». In effetti per alcuni decenni non si ebbero più notizie di queste statuette, fino a quando nel 1963, durante un convegno a Spoleto, mons. S. Ferrali per una fortuita coincidenza incontrò una studiosa francese, S. Gauthier direttrice del laboratorio degli smalti di Limoges, che lo informò dell’esistenza di un antico smalto di Limoges a bassorilievo raffigurante S. Baronto, conservato negli Stati Uniti al Museo Oberlin (Ohio). I successivi contatti tra Mons. Ferrali e la studiosa francese portarono al convincimento che si trattasse di una delle statuette scomparse dalla Chiesa di S. Baronto, se non altro per la fattura conforme alle descrizioni antiche, ma soprattutto per la scritta S. Barontus incisa nell’aureola; ricordo infatti, che quella pistoiese è l’unica chiesa al mondo dedicata a questo santo. Il manufatto risale al XIII secolo ed è un segno evidente dell’antico culto di San Baronto.

Un altro segno del culto di San Baronto più vicino nello spazio e nel tempo è quello che possiamo trovare visitando la cattedrale di San Zeno (ringrazio l’arch. S. Martini per questa segnalazione). Nella cappella, detta di S. Atto (già S. Rocco e della Città) posta alla destra del presbiterio, si può ammirare, sopra l’urna di San Atto, la pala del pittore Mattia Preti raffigurante l’Incoronazione della Vergine con i Santi Baronto e Desiderio (metà XVII sec.). La tela non fu dipinta per la cappella di San Atto, ma per un altare dedicato ai santi Baronto e Desiderio voluto dalla famiglia Foresi. L’altare, posto nella navata sinistra, passò poi ai patronati Benesperi e Buonfanti. Nella trasformazione della cattedrale del 1836 fu trasferito su quella destra, vicino alla porta del crocifisso poi, in seguito ad ulteriori modifiche, l’altare fu soppresso e la tela portata nella attuale cappella. Al centro della scena c’è un angelo custode che indirizza verso l’empireo, dove ad accoglierlo ci sono la Vergine e la Trinità. In basso, in uno sfondo naturalistico, ci sono le due grandi figure di S. Baronto e S. Desiderio. Vicino hanno tre attributi iconografici: una cesta posta a fianco del monaco Desiderio, un libro (la Visio?) vicino all’eremita Baronto e uno zampillo d’acqua tra i due, in ricordo della fonte scaturita miracolosamente.

Ivo Torrigiani

La fortuna della Visio Baronti

La tradizione agiografica di San Baronto si fonda su due testi: la Visio Baronti, presente in alcuni codici risalenti all’età carolingia e datati a partire dal IX-X secolo, e la Vita Baronti redatta tra l’XI e il XII secolo, il cui manoscritto è andato smarrito, pertanto oggi la conosciamo nella trascrizione degli Acta sanctorum (Anversa, 1668). La Visio ebbe un’ampia circolazione nel medioevo come attestano le numerose copie manoscritte rimaste: lo storico tedesco W. Levison ricordava all’inizio del secolo scorso che nelle biblioteche europee erano ancora rintracciabili di questo testo oltre quindici codici, redatti tra IX e il XV. La Visio negli ultimi decenni è stata oggetto di numerosi studi. Da un lato gli storici di letteratura medievale si sono rivolti alla Visio ritenendola uno dei primi testi da cui prese l’avvio un nuovo genere letterario, che trovò il suo culmine poetico nella Commedia dantesca; d’altro lato gli storici del medioevo, impegnati nella ricostruzione dell’evoluzione delle rappresentazioni dell’aldilà nell’Europa medievale, l’hanno assunta come esempio di descrizione del Paradiso e dell’Inferno: in questo senso J. Le Goff l’ha indicata come fondamentale per la ricostruzione dell’immaginario medievale.

Per saperne di più: «La Vita e la Visio Sancti Baronti Monaco, eremita, santo» a cura di Ivo Torrigiani e Maria Virginia Porta San Baronto, Parrocchia di San Baronto, Ass. pro loco Amici di San Baronto, 2013.

Mattia Preti, Incoronazione della Vergine con i Santi Baronto e Desiderio (1657 circa), Cattedrale di San Zeno, Pistoia, cappella di Sant’Atto




Cristiani perseguitati: il loggiato della Cattedrale si tinge di rosso

La Cattedrale si illumina di rosso in ricordo dei missionari martiri e dei cristiani perseguitati. L’occasione è la veglia di preghiera in cattedrale sabato 23 marzo.

PISTOIAIl loggiato della cattedrale di San Zeno si illumina di rosso per i missionari martiri e i cristiani perseguitati. L’iniziativa, prevista per sabato 23 marzo, vuole richiamare l’attenzione di tutti sulle violenze e le persecuzioni di cui sono vittime i cristiani nel mondo. Nel 2018 sono stati 40 i missionari uccisi nello svolgimento del loro servizio pastorale. Secondo il rapporto annuale della Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre sono oltre 3000 i cristiani morti per la loro fede, circa 300milioni quelli perseguitati nel mondo, 38 i Paesi dove sono discriminati. Per sensibilizzare l’opinione pubblica e non dimenticare queste sofferenze da alcuni anni Aiuto alla Chiesa che soffre illumina di rosso Chiese, basiliche e monumenti: l’ultima eclatante iniziativa ha visto illuminare di rosso l’intero Colosseo a Roma. A Pistoia, grazie alla collaborazione dell’amministrazione Comunale, si tingerà di rosso -il colore che evoca il sangue dei martiri- il loggiato della Cattedrale di San Zeno.

Aiuto alla Chiesa che soffre sarà presente a Pistoia con un sacerdote siriano, don Ihab Alrachid della chiesa greco melchita cattolica. L’occasione è la veglia che sarà celebrata e presieduta dal vescovo Fausto Tardelli nella Cattedrale sabato a partire dalle ore 21.

Da quasi trent’anni la chiesa cattolica celebra una veglia di preghiera in memoria di San Oscar Arnulfo Romero, vescovo di San Salvador e dei numerosi vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici uccisi durante l’anno 2018. Quest’anno saranno coinvolte anche alcune associazioni che fanno parte della consulta delle aggregazioni laicali diocesane, ma anche la pastorale giovanile ed il coro della Cattedrale. La veglia è un po’ il culmine della Quaresima missionaria della Diocesi di Pistoia, una campagna di solidarietà nata nei primi anni settanta del secolo scorso. La campagna di tutta la Quaresima di quest’anno sarà a sostegno della“Casa della Comunità” costruita nella periferia di Tresidela Nova della Città di Balsas in Brasile da Nadia Vettori, missionaria laica della nostra diocesi. Il Centro Missionario Diocesano continuerà a sostenere questo progetto, molto caro anche al vescovo Tardelli.

Le offerte raccolte saranno destinate anche al sacerdote fidei donum della diocesi di Pistoia don Marcello Tronchin, che opera in Ecuador nella Diocesi di Esmeraldas, in contesti problematici, dove povertà e sfruttamento sono esperienze drammatiche di vita quotidiana.

La raccolta realizzata in occasione della veglia di sabato sarà invece destinata alla Fondazione di diritto pontificio Aiuto Alla Chiesa che Soffre per un’iniziativa a sostegno delle famiglia di sfollati rifugiate a Lattakia in Siria.

Comunicato UCS




Pistoia saluta Papa Francesco

Dal monastero delle Benedettine di Santa Maria degli Angeli un caloroso saluto al Santo Padre!

L’occasione è l’apertura di una nuova sede formativa della Fondazione “Scholas Occurrentes” a Pistoia.
Scholas Occurrentes” è una fondazione promossa da Papa Francesco nata a Buenos Aires nel 2001, oggi diffusa in tutto il mondo. Una realtà educativa aperta all’incontro, che coinvolge giovani di culture e religioni diverse, rivolta a formare attraverso l’ascolto, la creatività, la cultura, lo sport.

In collegamento a Roma Papa Francesco e il vescovo di Pistoia Fausto Tardelli.

Riprendiamo dal sito Vatican News (l’articolo è di Cecilia Seppia) alcuni passaggi relativi alle parole di Papa Francesco ispirate dal collegamento con Pistoia.

«Scholas è un germoglio» – ha detto Francesco riprendendo le parole della madre badessa che ha testimoniato la gioia di veder nascere, proprio nel giardino del monastero di Pistoia, il seme della pace, della fraternità e del dialogo, la grazia di poter essere luogo di incontro dove i giovani possano crescere insieme. I giovani ha spiegato il Santo Padre spesso non hanno dei leader giusti capaci di guidarli, perché li cercano al di fuori delle loro comunità. Quello che invece fa Scholas è proprio risvegliare le comunità giovanili e incoraggiarle a seguire quelle leadership che nascono al loro interno.

(…)
Altro spunto che Francesco ha offerto ai ragazzi è quello di coltivare il dialogo con gli anziani come hanno saputo fare le suore del Monastero di Pistoia non più giovanissime: “E questa è la sfida di oggi che i giovani devono affrontare: il dialogo con gli anziani, perché se i giovani vanno da soli, perdono le loro radici, perdono il senso della storia, perdono l’appartenenza. E i vecchi, se non possono dare tutto questo ai giovani, si sentono isolati e muoiono di tristezza”. Solo così, come si legge nel Libro del Profeta Gioele, gli anziani faranno sogni e i giovani profeteranno, gli uni con l’aiuto degli altri.




La fede in Siria tiene accesa la speranza

Don Ihab Alrachid, sacerdote della diocesi di Damasco, racconta le sofferenze e le speranze dei cristiani in Siria. Don Ihab offrirà la sua testimonianza a Pistoia in occasione della Veglia per i missionari martiri di sabato 23 marzo.

Don Ihab, lei è sacerdote di rito greco-melchita cattolico della diocesi di Damasco (Siria). Può raccontarci qualcosa della sua chiesa e della sua storia?

Sì, io sono sacerdote della chiesa greco melchita cattolica di Damasco. La nostra chiesa è molto antica ed è in comunione con quella di Roma. Seguiamo un rito bizantino che risale a san Giovanni Crisostomo. La nostra, dopo quella ortodossa, è la seconda chiesa in Siria. Personalmente ho frequentato il seminario maggiore dal 1992 al 1998 in Libano a Beirut, nel 1999 sono stato ordinato sacerdote a Damasco, dove ho lavorato come segretario presso il vescovo che è anche il patriarca della nostra Chiesa greco melchita cattolica. Sono stato poi a Roma per motivi di studio; qui ho conseguito la Licenza al Pontificio Istituto Orientale e nel 2010 ho discusso il dottorato in Diritto Canonico all’Università Lateranense. Poi ho fatto ritorno in Siria per qualche anno. Adesso sono di nuovo a Roma a perfezionare i miei studi alla Sacra Rota.

Com’è cambiata la situazione per i cristiani con la guerra?

Prima della guerra in Siria avevamo una certa libertà religiosa: professavamo senza pericolo la nostra fede, potevamo festeggiare liberamente le nostre feste. Anzi, le feste cristiane erano feste pubbliche, così pure il giorno di riposo, che generalmente è il venerdì e il sabato in Medio Oriente, era tutelato per i cristiani. Quanti erano impiegati statali potevano arrivare al lavoro un po’ più tardi, così da permettere la frequenza della messa. Con la guerra, che ormai dura da otto anni, sono cambiate tante cose, specialmente là dove sono entrati i gruppi di terroristi armati. Questa gente, quasi tutta proveniente dall’estero, è venuta per rapire e uccidere, specialmente i cristiani. Tanti sono morti per la fede in Siria. Come ha detto papa Francesco «i martiri portano avanti il Regno di Dio, seminano cristiani per il futuro». Tanti erano i martiri nei primi secoli ma ora, di nuovo, è grande il numero di quanti perdono la vita per la fede cristiana.
Purtroppo, ormai, molti cristiani sono andati via dalla Siria. Non c’è una cifra esatta, ma pensiamo circa la metà. È una perdita importante. Adesso sono sparsi in tutto il mondo; tanti cristiani sono fuggiti negli Stati Uniti, in Canada, Australia, per salvare la loro vita.

Crede che ritorneranno?

Non ne abbiamo la sicurezza. Ma questa è la nostra terra, la terra dove è nato il Salvatore. Anche il Papa ha detto: «Vogliamo affermare ancora una volta che non è possibile immaginare il Medio Oriente senza cristiani».

Ci sono alcuni episodi che lo hanno colpito in questi anni di violenza e di guerre?

Conoscevo tre persone che abitavano in un villaggio a 55 km da Damasco, il villaggio di Lula. Il 90% della popolazione lì è fatto da cristiani. Tre persone sono morte, una dopo l’altra, uccise dai terroristi perché non hanno accettato di rinnegare la loro fede cristiana. Io personalmente conoscevo tutti e tre, ma uno in particolare che svolgeva il compito di sacrestano nella chiesa del villaggio. Ci ha raccontato il fatto la sorella di uno di loro, che nascosta ha visto come i terroristi hanno ucciso il fratello senza poter reagire. Se l’avessero trovata sarebbe toccato anche a lei. Se i terroristi vedono le ragazze le violentano e poi le rapiscono, oppure se si rifiutano le uccidono subito.

Come si vive oggi la fede in Siria?

In Siria le nostre chiese sono ancora piene di fedeli dopo otto anni di guerra. Anche se andare in chiesa diventa molto pericoloso. Molti sono morti cercando di arrivarci. Un ragazzo che conoscevo, membro del coro della mia ex parrocchia, mentre stava andando in chiesa per guidare le prove del coro dei bambini è morto per la caduta di un razzo. Eppure le nostre chiese sono piene di fedeli. In Siria, nonostante tutto, siamo ancora molto attaccati alla fede e mi dispiace quando vedo qui in Italia o in Europa le chiese vuote. Dobbiamo ritornare alle radici del cristianesimo.

Qual è l’impegno di Aiuto alla Chiesa che soffre in Siria? Quali progetti e quali priorità ci sono adesso?

ACS, sapendo che ero studente a Roma, mi ha contattato per andare in giro a offrire una testimonianza. Questa fondazione di diritto pontificio è entrata in Siria per aiutare i cristiani rimasti in patria che ora sono bisognosi di tutto. La guerra ha portato tante distruzioni, anche molte chiese sono state distrutte. Aiuto alla Chiesa che Soffre ha aiutato finora molte comunità, sia per la ricostruzione delle chiese che per la vita quotidiana dei fedeli. Il progetto che proporremo a Pistoia riguarda la città di Lattakia e il sostegno alla tante famiglie di sfollati che vivono lì e sono bisognose di tutto.
Appena ho un po’ di tempo cerco di offrire la mia testimonianza, per raccontare com’era prima la situazione dei cristiani e com’è adesso. In Siria cristiani e musulmani andavano d’accordo. Ricordo che San Giovanni Paolo II nel 2001 ha potuto visitare la Grande Moschea di Damasco dove si trovano i resti di Giovanni Battista. Prima la situazione era molto diversa.

Quale futuro immagina per il suo paese?

Non possiamo perdere la speranza. La situazione è molto migliorata. Adesso i gruppi terroristici sono stati respinti in gran parte. Speriamo che la Siria ritorni come prima e specialmente che i cristiani possano tornare. Preghiamo perché questa guerra possa finire al più presto. Vorrei, infine, ringraziare la Diocesi di Pistoia per questo invito e per l’opportunità di testimoniare che cosa hanno subito i cristiani in Siria.

Daniela Raspollini




A Pistoia la sede di “Scholas Occurrentes”: la ‘scuola’ di Papa Francesco

Presentazione a San Callisto a Roma delle nuovi sedi della “Schola Occurrentes”, l’organizzazione internazionale per la formazione e l’incontro dei giovani supportata dal Santo Padre. Per l’Italia, oltre Roma, Pistoia è stata scelta come sede per la formazione degli educatori della scuola.

Mons. Tardelli, che oggi sarà assieme al Papa per la presentazione ufficiale del progetto, afferma: «una vera benedizione del cielo per la nostra diocesi e per la città di Pistoia». Possibile una visita del Santo Padre.

PISTOIA – Stupisce ancora Papa Francesco. Stupisce, emoziona e regala alla chiesa di Pistoia un dono inaspettato: la sede di “Schola Occurentes”, la fondazione internazionale di diritto pontificio, voluta fortemente da Papa Francesco, che ha come obiettivo la formazione dei giovani attraverso il dialogo, l’incontro, la conoscenza di sé, i linguaggi universali come la musica e l’arte.  La scuola, che lavora su scala internazionale, avrà sede nel monastero delle Benedettine nel centro di Pistoia e ospiterà i percorsi di formazione degli educatori, provenienti da tutto il mondo.

Oggi, giovedì 21 marzo alle 15, il vescovo Tardelli parteciperà alla presentazione – in diretta web in tutto il mondo – delle nuove sedi della Schola Occurrentes,  a fianco di Papa Francesco nella sede principale della fondazione in piazza San Callisto a Roma.

«Credo si tratti di una vera benedizione del cielo per la nostra diocesi e per la città di  Pistoia  – afferma con gioia il vescovo Tardelli – inaspettata, come tutte le sorprese del Signore».

L’idea di “Scholas Occurrentes” risale a un’esperienza lanciata a Buenos Aires nel 2001, sotto l’egida dell’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio. Il suo progetto di Escuelas hermanas (scuole sorelle) e di Escuelas de vicinos (scuole di quartiere) consisteva in una rete di centri educativi, composta da realtà pubbliche e private, laiche o confessionali, e aveva come scopo di educare all’impegno e al bene comune. Il successo di questa idea ha portato alla creazione di Scholas occurrentesun’organizzazione internazionale senza scopo di lucro, che lavora con le scuole e le comunità educative, con l’intento di coinvolgere tutti gli attori sociali per dar vita a una cultura dell’incontro e conseguire la pace attraverso l’educazione. Come si legge nel sito dell’organizzazione (www.scholasoccurrentes.org), l’obiettivo ideale che si cerca di realizzare è la trasformazione del mondo in un’aula senza pareti, in cui siano integrati tutti i bambini.

Creata nel 2015 con un decreto pontificio da papa Francesco, la realtà delle Scholas occurrentes desidera favorire la condivisione dei progetti promossi dalle scuole in vista di un arricchimento reciproco e sostenere le scuole con meno risorse, promuove l’educazione per tutti. Attualmente le Scholas sono operative in Argentina, Messico, Paraguay, Spagna, Italia, Città del Vaticano, ma l’organizzazione, grazie alle collaborazioni avviate con altre realtà, opera in 190 Paesi e in circa 445mila scuole e reti educative associate.

La cultura dell’incontro, descritta nei paragrafi dedicati alle questioni sociali nell’Evangelii gaudium del 2013, corrisponde per il papa alla figura del poliedro, che ha molti lati e molti volti, ma tutti formano un’unità piena di sfumature. È l’immagine dell’«unità nella diversità» (EG, n. 117) propugnata da papa Francesco, una «diversità riconciliata» (EG, n. 230), che deve cercare punti di contatto reali per raggiungere qualcosa di più di un «consenso a tavolino» (EG, n. 218).

Michael Cantarella




La Toscana da San Francesco

I Comuni della regione offriranno l’olio che arde sulla tomba del Patrono d’Italia. Un programma di iniziative spirituali e culturali per prepararsi al pellegrinaggio di ottobre

Saranno i Comuni della Toscana ad offrire, quest’anno, l’olio per la lampada che arde dinanzi alla tomba di San Francesco, ad Assisi: ogni anno infatti le diverse regioni italiane si alternano in questo gesto di omaggio al Patrono d’Italia. In vista di questo appuntamento, che sarà nei giorni 3 e 4 ottobre prossimi, la macchina organizzativa si è già messa in moto. La Conferenza Episcopale Toscana ha affidato ai vescovi Rodolfo Cetoloni (Grosseto) e Giovanni Roncari (Pitigliano-Sovana-Orbetello), entrambi francescani, il compito di coordinare tutta la fase di preparazione, che porterà la Toscana, nelle sue rappresentanze ecclesiali e civili, a compiere questo gesto di devozione e di affidamento al patrono d’Italia i prossimi 3-4 ottobre. Sono stati loro, insieme al cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze e Presidente della Conferenza Episcopale Toscana, a presentare questa mattina nei locali della Curia arcivescovile di Firenze le iniziative in programma e il Messaggio che i Vescovi toscani hanno scritto per l’occasione.

«Con cuore fraterno e paterno – scrivono i Vescovi – invitiamo tutti gli uomini e le donne della Toscana, i fedeli e le popolazioni delle nostre terre con le loro istituzioni, a rispondere generosamente e di persona a questo invito: Quest’anno… la Toscana da san Francesco!»

Nei giorni scorsi, nel convento francescano di San Salvatore al Monte, a Firenze, si è riunito infatti per la prima volta il tavolo dei delegati di ciascuna delle 18 Diocesi toscane e dei rappresentanti della famiglia francescana toscana, per iniziare il cammino. Sono molto gli aspetti di cui tenere conto nell’organizzare il pellegrinaggio della Toscana ad Assisi. Questioni logistiche ed organizzative, ma non solo: rinnovare la tradizione – per la Toscana, l’ultima volta era stata nel 1999 – di offrire l’olio ad Assisi è prima di tutto ritornare alla sorgente del messaggio che san Francesco ha lasciato e che continua ad essere provocazione profetica anche per gli uomini e le donne di questa generazione. L‘offerta dell’olio si concretizzerà con  il gesto attraverso cui nella festa di San Francesco, il 4 ottobre, come vuole la tradizione, il sindaco del Capoluogo di regione riaccende la lampada. Già dal pomeriggio del 3 ottobre ci saranno momenti di preghiera, mentre la giornata del 4 culminerà con la benedizione all’Italia con la reliquia del Santo.

Ci sarà, dunque, un «prima», che servirà a far sì che in tutte le Diocesi ci si incammini con il cuore già da adesso verso Assisi, ma ci sarà anche un «dopo», per fare in modo che questo gesto di devozione non si esaurisca il 4 ottobre, ma sia capace di generare nuovi, copiosi frutti in Toscana. D’altra parte il legame storico e spirituale di questa regione con san Francesco e il francescanesimo in generale è molto forte. Ne sono testimonianza i tanti luoghi nei quali il Poverello ha lasciato traccia del suo passaggio, a partire dal sacro monte de La Verna, dove Francesco ricevette le stimmate, senza dimenticare città e paesi ancora oggi sono custodi di una presenza francescana.

Il tavolo tra i delegati delle Diocesi e delle realtà francescane si riunirà di nuovo a breve, ma già molte idee sono state messe sul tavolo. «Ci saranno – ha spiegato il vescovo Cetoloni – iniziative più prettamente spirituali, a cui si è iniziato a pensare, per ancorare il gesto dell’offerta dell’olio ad una rilettura del messaggio francescano, così come ci saranno iniziative culturali per stimolare in tutti, credenti e non, la consapevolezza di quanto la Toscana abbia assorbito, nei secoli, il carisma del Poverello d’Assisi. E poi iniziative pensate per i giovani e proposte di comunicazione». Padre Roncari ha ricordato quello che le Fonti Francescane dicono del Poverello di Assisi: «Attraverso San Francesco, Gesù è tornato nel cuore di molti che lo avevano dimenticato. Anche oggi, in un’epoca di indifferenza religiosa, i santi sono il tramite per riscoprire Cristo». «L’appello – ha concluso il cardinale Betori – è alla comunità ecclesiale, ma anche alla comunità civile e alle sue istituzioni, perché questa sia l’occasione  per una riflessione su come il volto autentico dell’uomo che Cristo ci ha rivelato, e che Francesco ha saputo così ben interpretare, possa essere ispiratore di una società più giusta e più attenta alla dignità delle persone».

Giacomo D’Onofrio

Leggi il messaggio dei Vescovi Toscani




Vicariati: nuove nomine

Si comunica che in data 6 marzo 2019, Mons. vescovo ha provveduto a nominare i nuovi Vicari foranei per il triennio 2019-2022, con scadenza al 30 giugno 2022.
Nel contempo, Mons. Vescovo ha stabilito l’unione del Vicariato del suburbio con quello della città in un unico vicariato, con nome di Vicariato della Città di Pistoia, che avrà come Vicario foraneo mons. Paolo Palazzi.

Qui di seguito l’elenco dei nuovi vicari foranei per il triennio 2019-2022.

Don Paolo Palazzi: vicario foraneo del Vicariato della Città di Pistoia

Don Roberto Razzoli: vicario foraneo del Vicariato di Quarrata

Padre Oronzo Stella: vicario foraneo del Vicariato del Bottegone

Don Juvenal Mapendano: vicario foraneo del Vincio

Don Hyacinthe Lumbwe: vicario Foraneo dell’Ombrone – Limentra

Don Damian Horlescu: vicario foraneo del Vicariato del Montalbano meridionale (Poggio a Caiano – Carmignano)

Don Ciprian Farcas: vicario Foraneo del Vicariato del Reno e della Montagna

Don Andrea Mati: vicario foraneo del Vicariato del Montalbano occidentale (Lamporecchio – Vinci – Limite)

Don Paolo Tofani: vicario Foraneo della Bure Bassa (Montale – Agliana – Montemurlo)