Essere Nicodemo

Una riflessione a margine de «i linguaggi del divino» – Rinascere dall’alto.

 

Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio: nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui.

E ancora. Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?

E poi: come può accadere questo?

Sono queste le frasi che pronuncia Nicodemo qua e là, mentre si prende quello che per tre quarti è un insegnamento – e per un quarto una sonora lavata di capo – nientemeno che da Gesù.

Nicodemo è un anziano ed è un fariseo. Di quelli che hanno sempre le certezze in tasca, la risposta pronta. Di quelli che spargono sentenze e si sono cristallizzati, se non nelle proprie sicurezze, senz’altro nel tempo che è passato. Finché una notte Nicodemo prende e va da questo Gesù. Per capirci di più, se non altro. E con tutti i suoi difetti, bisogna ammettere che non dev’essere per niente facile essere Nicodemo. Perché Nicodemo è il vecchio fariseo che aspetta la notte per uscire di casa e andare a vedere se le certezze che ha sono solide come crede. E che nell’attimo in cui esce di casa e va a vedere, si è già dato una mezza risposta.

È il saggio che ha paura del fatto di essere insicuro, più che dell’insicurezza in sé. Che è vecchio, ma ha questo dubbio che non sia ancora troppo tardi per una rivoluzione. Che lo domanda pure: ma come fa uno a rinascere da vecchio? Che ha questa brutta sensazione che non gli sia più permesso tornare sui propri passi. Non alla luce del sole. E che chissà cos’avrebbe pensato nel leggere le proprie debolezze spiattellate nelle due pagine di Giovanni 3, 1-21. Che dimostra quanto le abitudini siano dure a morire perché non ce la fa proprio a non esordire con un’affermazione sicura, lunga, ferma, di quelle che ci si preparano prima, nella testa, in mezzo ai denti, per non restare a bocca vuota quando si arriva al dunque. Che però vacilla, dopo, e se ne esce solo con due brevi frasi. Domande, stavolta.

A un Gesù che gli spiega come si debba “rinascere dall’alto”, Nicodemo risponde col suo essere lì. Con quell’inquietudine sorda e martellante che lo manda in crisi ma che alla fine è il motore di qualsiasi spinta verticale. E che lo porta a uscire allo scoperto, a parlare con quella che è l’origine – o più probabilmente il culmine – di tutte le sue domande. Di notte, però. E forse non conta nemmeno troppo come vadano le cose dopo. Cosa decida di fare, Nicodemo.

Forse già il solo fatto di essere lì, di essere sfuggito a un’abitudine che era grigiore e che era gabbia per puntare a qualcosa di nuovo, è un modo come un altro per rinascere dall’alto.

Guendalina Ferri

i linguaggi del divino – rinascere dall’alto




L’uomo di fronte alla morte. Tra desiderio di rinascita e spiritualità

Domenica 7 ottobre la relazione di Guidalberto Bormolini per la rassegna teologica “i linguaggi del divino”.

La negazione della morte e una sorta di interdizione a parlarne hanno creato una situazione inedita nella civiltà occidentale, dando luogo a un’illusoria pretesa di immortalità. La morte sta diventando una specie di tabù moderno.

Un tempo il funerale fermava per pochi attimi la vita d’un paese, tutto questo sta scomparendo riducendosi all’essenziale, spesso all’insaputa di quanti più possibile. Ecco cos’è cambiato veramente tra noi e la morte: il rifiuto della sua rappresentazione.

Fino a poco tempo fa i riti e le immagini ce la rappresentavano come esito naturale e parte inscindibile della vita, ora invece la morte è relegata negli ambienti asettici degli ospedali, come se allontanandone da noi il pensiero e l’immagine se ne potesse allontanare la realtà! Eppure la nostra civiltà un tempo aveva più dimestichezza con la morte, anche se era pur sempre un evento triste e doloroso. Il rapporto con la natura e l’esperienza quotidiana del vivere e morire facilitavano un approccio diverso; la natura parlava continuamente di morte, ma anche di resurrezione: il giorno che segue alla notte, la morte della spiga di grano che genera nuova vita, la scomparsa della luna e la sua rinascita.

Escludere la morte reale dalla vita quotidiana impedisce di esser allievi di una scuola che “insegna a morire”. Il morire in passato era un’arte da coltivare con cura; in molte tradizioni vi era un termine tecnico con cui era definita ed era descritta in numerosi manuali.

Bisognerebbe ascoltare il consiglio di Alfonso De Liguori, che scrisse un famoso manuale di Preparazione alla morte: «Che direste […] di quel nocchiero che tralasciasse di attrezzare la nave di ancore e di gomene fino all’arrivo della tempesta? Non sarebbe un pazzo?» (A. De Liguori, Apparecchio alla morte, X, 1).

Guidalberto Bormolini

L’incontro con Guidalberto Bormolini avrà luogo nella sala capitolare del convento di San Francesco a Pistoia alle ore 17.30. Ricordiamo che per questo appuntamento, come per tutti gli incontri dei “Linguaggi del divino”, l’ingresso è libero e non si richiede alcuna prenotazione.

 

Chi è Guidalberto Bormolini?

Guidalberto Bormolini, ha compiuto gli studi teologici alla Pontificia Università Gregoriana, ha conseguito la Licenza in Antropologia Teologica a Firenze ed è dottorando in Teologia Spirituale Monastica al Pontificio Ateneo S.Anselmo.

È membro della Comunità dei Ricostruttori nella Preghiera che pratica l’esicasmo. È docente al Master “Death studies & the end of life” dell’Università di Padova in cui insegna teoria e pratica della meditazione cristiana nell’accompagnamento dei morenti. Si è dedicato in particolare allo studio delle discipline ascetiche nel monachesimo cristiano ed ai rapporti tra il corpo e la vita spirituale. Ha comunque approfondito le pratiche ascetico-contemplative delle grandi religioni antiche e contemporanee come premessa antropologica alla tradizione monastica cristiana.

È membro del Comitato di redazione della Rivista di Ascetica e Mistica.

Ha pubblicato tra l’altro:

G. Bormolini, I vegetariani nelle tradizioni spirituali, Torino, Leone verde, 2000.

G. Bormolini, La Barba di Aronne. Capelli lunghi e barba nella vita religiosa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 2010.

G. Bormolini, I santi e gli animali. L’Eden ritrovato, Prefazione di Paolo De Benedetti, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 2014.

 

Per info: ilinguaggideldivino@diocesipistoia.it

 

(nell’immagine: Buffalmacco, Pisa, camposanto monumentale, Trionfo della Morte, Incontro dei tre vivi e dei tre morti, 1336-1341).




Aprono “i linguaggi del divino” con l’abate Bernardo Gianni

Venerdì 5 ottobre un incontro in Battistero alla scoperta del ‘cielo’ che ci educa a tornare sulla terra.

Ti sembra di conoscerlo da sempre Padre Bernardo. Quando lo incontri e hai occasione di parlarci un po’ ti senti subito accolto, ascoltato. Complice il fatto che per arrivare a trovarlo occorre raggiungere quel punto così bello e panoramico che è dentro e fuori la città allo stesso tempo, e poi salire i tanti gradini che portano all’abbazia di San Miniato. Arrivato lassù hai già perso ogni ritrosia o sovrastruttura. E lì trovi Padre Bernardo, l’abate che sembra da sempre lassù ad aspettarti. È un monaco benedettino che indossa la veste candida degli olivetani, un ramo della famiglia di Benedetto nato in Toscana nel Trecento.

Bernardo è un giovane abate, ha raggiunto giusto quest’anno i cinquant’anni, ma è ormai molto conosciuto e apprezzato. È un uomo di Spirito, ma anche di profonda cultura, innamorato dell’arte e della poesia. Lo si percepisce subito, anche in un semplice scambio di battute. Dopo studi letterari si è specializzato in ambito medievale e umanistico, collaborando alla Fondazione Ezio Franceschini di Firenze, con la Società internazionale per lo studio del Medioevo latino e con la rivista ‘Medioevo latino’.

La ‘proposta’ di Bernardo resta ‘alta’. Nelle sue omelie, nei suoi interventi, nelle tante iniziative che richiamano fedeli, curiosi, ‘uomini e donne della soglia’ a San Miniato, non abbassa mai l’asticella. La ‘proposta’ di Bernardo è quella di un cristianesimo ‘pensante’, inquieto, attento a cogliere e ripartire da quei frammenti di bellezza e sapienza che la tradizione e la creatività degli uomini hanno consegnato alla storia. L’abbazia di San Miniato è, in effetti, il suo habitat congeniale.

Quest’anno l’abbazia compie il suo millenario e l’abate Bernardo, con i suoi monaci, ha organizzato un calendario diffuso e ricchissimo di eventi che offrono il polso della vita dell’abbazia: «segno e sogno profetico di pace». Festeggiamenti che durano un anno intero: dall’aprile 2018 all’aprile 2019, nel desiderio di interpellare «non solo le sue fonti storiche e i principali accadimenti del passato, ma anche arti, linguaggi e intuizioni della nostra contemporaneità, nell’evangelica consapevolezza di quanto sia oggi indifferibile “ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese”, come ci raccomanda il Prologo della Regola di San Benedetto». Bernardo è un maestro di questo ascolto attento e radicato nel vangelo. A San Miniato l’ascolto si spalanca al cielo. La basilica è davvero la ‘porta del cielo’ che fa alzare lo sguardo. Eppure basta voltarsi, darle un’attimo le spalle, per misurare la meraviglia e le fatiche della città proprio lì sotto. La porta del cielo è affacciata sulla città.

«Haec est porta coeli, questa è la porta del cielo, – ha ricordato una volta Padre Bernardo – ma un cielo finalmente raggiungibile, un cielo che ci educa a tornare in città, qualificati dalla bellezza che abbiamo contemplato e possibilmente dall’esperienza di amore che in quel luogo abbiamo ricevuto».

Qual è la tua porta del cielo?

Sarà possibile rifletterci insieme, mettendo in dialogo le ‘cose della terra’ con ‘quelle del cielo’ venerdì 5 ottobre alle 17.30, presso il Battistero di San Giovanni in Corte (Piazza del Duomo), insieme a Dom Bernardo Gianni e il vescovo Fausto Tardelli, in occasione dell’apertura dei Linguaggi del divino 2018: “Rinascere dall’alto”.

Alle 21 un altro appuntamento imperdibile con “il cielo sulla terra”: la presentazione di Ubi amor ibi oculus. Immagini per i 1000 anni di San Miniato al Monte (Firenze, Polistampa, 2017), un libro fotografico di Mariangela Montanari che cattura e racconta tutto il fascino dell’abbazia, ma anche la presenza dello Spirito nelle vicende degli uomini.

Mariangela Montanari è una professionista del settore giuridico e bancario con la passione della fotografia. Nata a Roma, vive e lavora a Pistoia. Ha illustrato «La traccia», documento preparatorio del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale svoltosi a Firenze nel novembre 2015 e nello stesso anno ha curato e illustrato il volume «Trasfigurare», edito da LEF.

u.f.

Abbazia san Miniato (web)

i linguaggi del divino – rinascere dall’alto

 




Linguaggi del divino 2018: un vocabolario ‘originario’

Rinascere dall’alto. Sono le parole che Gesù, in un colloquio notturno dettato dalla curiosità e un certo timore, rivolge a Nicodemo. Un dialogo dove l’inquietudine di quest’uomo pio e ormai un po’ invecchiato nelle proprie certezze fatica a entrare nella proposta di Cristo. Eppure, con i suoi tentennamenti, le sue paure, ma anche per la sua apertura e il suo desiderio sincero di verità, la figura di Nicodemo resta simpatica. Alla morte di Gesù lo ritroviamo pronto a recuperare e onorarne il corpo: una delicatezza dietro cui la sua figura sparisce, non sappiamo se ormai pienamente ‘convertita’, ancora incredula o in cammino. A Nicodemo, protagonista ‘della soglia’, Gesù consegna un vocabolario fondamentale. Un vocabolario fatto di parole ‘originarie’, che stanno dentro la vicenda dell’uomo, ma che – allo stesso tempo – assumono una densità sempre sorprendente.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di scoprire la densità di queste parole originarie che ridicono l’uomo all’uomo e, allo stesso tempo, aprono al ‘di più’ che invoca l’esistenza umana. Il recente Instrumentum Laboris del sinodo dei Giovani, è un’osservatorio significativo sull’atteggiamento odierno riguardo queste parole originarie. Lo rappresenta perché sintetizza le testimonianze di giovani di tutto il mondo, raccolte attraverso questionari scritti e online, ma anche discusse insieme dai giovani in un pre-sinodo svoltosi nel marzo scorso. Un’inchiesta planetaria che supera i confini della chiesa cattolica, aperta alle altre confessioni cristiane, ma anche a giovani non credenti o non inquadrabili nelle categorie tradizionali. I giovani – vi si legge – «in generale si dichiarano aperti alla spiritualità, anche se il sacro risulta spesso separato dalla vita quotidiana. Molti ritengono la religione una questione privata e si considerano spirituali ma non religiosi (nel senso di appartenenti a una confessione religiosa). La religione non è più vista come la via di accesso privilegiata al senso della vita, ed è affiancata e talvolta rimpiazzata da ideologie e altre correnti di pensiero, o dal successo personale o professionale» (n. 29).

Lo scollamento significativo – e drammatico- tra spiritualità e vita, tra religione e ricerca di senso sono passaggi emblematici su cui vale la pena riflettere. Così come l’appiattimento orizzontale delle risposte, spesso fragili e dal fiato corto, chiuse in una prospettiva privata se non individualistica. È il segno che si è perso di vista il vocabolario ‘base’ per la ricucire le attese e le aperture del cuore, come della mente, alla proposta spirituale.

«In alcune parti del mondo vi è una spontanea apertura alla trascendenza; in altre, dominate da un “umanesimo esclusivo”, la richiesta alla Chiesa è di essere mistica, capace di aprire spiragli di trascendenza nella vita di uomini e donne. Per questo alcuni vedono la liturgia come occasione di profezia. Infine, è forte la richiesta di radicalità» (n. 72). «In un tempo di confusione molti giovani si rendono conto che solo la preghiera, il silenzio e la contemplazione offrono il giusto “orizzonte di trascendenza” entro cui poter maturare scelte autentiche» (n. 183). Forse aveva proprio ragione Karl Rahner, celebre teologo gesuita, quando affermava che «il cristiano del futuro o sarà mistico o non sarà neppure cristiano» (Nuovi saggi, Roma 1968, p. 24). E il futuro, ci pare, lo ritroviamo anche nel ‘vocabolario’ che Gesù consegna a Nicodemo.

«Rinascere». «Come può nascere un uomo quando è vecchio?» (Gv 3, 4). Quale tensione si agita dentro il desiderio di ‘rinascere’?

«Alto». «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3). Cosa cerca il nostro sguardo oltre l’orizzonte di questo mondo?

«Cielo». Incatenato alla terra, l’uomo sente che il cuore cerca il cielo. «Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?» (Gv 3,12). Quale meraviglia che ‘supera’ l’uomo può ancora sorprenderci?

«Luce». «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie» (Gv 3,19). Quale ‘luce’ rischiara la vita?

«Spirito». «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5).

«Carne». Ecco un’altra parola chiave. «Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito» (Gv 3,6). Carne che indica il limite e la materialità irriducibile dell’uomo, che ha fame, sete, sonno, sessualità, sensibilità.

«Sentire/voce». «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). C’è un sentire che non può essere svalutato, un ascolto che va in profondità e che pure si affaccia sul mistero.

L’edizione dei linguaggi del divino 2018 intende prendere sul serio questo vocabolario. Sarà possibile ripercorrerlo attraverso la voce di personalità significative del pensiero e della spiritualità di oggi.  Otto incontri, più tre eventi straordinari si dipaneranno in tutto il mese di ottobre (5 -22).

L’apertura, venerdì 5 ottobre alle ore 17.30 presso il Battistero di San Giovanni in Corte, sarà affidata a padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte (Firenze), testimone significativo di una spiritualità che dialoga con le “cose della terra” e conosce bene il cuore dell’uomo. Seguirà, alle 21, la presentazione del libro fotografico di Mariangela Montanari “Ubi amor, ibi oculus”: un suggestivo racconto per immagini in cui lo sguardo riesce a cogliere l’oltre dentro la realtà. La prima settimana si chiude con domenica 7 ottobre ore 17.30 presso la Sala Capitolare del Convento San Francesco con Guidalberto Bormolini che affronterà l’affascinante e drammatico sguardo dell’uomo di fronte alla morte, tra desiderio di rinascita e spiritualità. Solo l’inizio di un denso e affascinante percorso.

U. F.

PER INFORMAZIONI

Pagina fb:  @ilinguaggideldivino – @diocesipistoia

Twitter: diocesi di Pistoia

ilinguaggideldivino@diocesipistoia.it




Istituto Musicale Diocesano: iscrizioni aperte!

L’Istituto Musicale Diocesano “Don Lodovico Giustini” ha come scopo fondamentale la preparazione di musicisti disponibili per il servizio liturgico, specialmente per la Messa.

Lo struttura didattica è, comunque, quella di una normale scuola di musica. Si comincia con l’apprendimento della teoria musicale (il cosiddetto “solfeggio”) e si prosegue, anche in contemporanea, se chi si iscrive ha sufficienti cognizioni, con uno strumento o con il canto.

I corsi già funzionanti sono, oltre al solfeggio, quelli di organo, pianoforte, clavicembalo, flauto diritto, flauto traverso, canto. Se vi saranno almeno 3 iscritti, apriremo anche le classi di violino e di violoncello. La stessa modalità è prevista per il corso di canto gregoriano.

L’iscrizione può essere effettuata inviando per e-mail ( info@istitutogiustini.it ) alla scuola la propria richiesta, contenente le necessarie informazioni; nome, cognome, data di nascita, indirizzo, numero di telefono e corso scelto (ci si può iscrivere anche a più corsi).

I corsi si terranno dal lunedì 22 ottobre 2018 al venerdì 14 giugno 2019, interrotti dalle vacanze di Natale di Pasqua e dalle altre festività. Essi hanno luogo dal lunedì al venerdì, in genere nel pomeriggio, ma con possibilità di concordare altro orario.

Mons. Umberto Pineschi

 

Visita il sito e iscriviti!
www.istitutogiustini.it

CORSI INDIVIDUALI (1 ora settimanale)

Armonia e contrappunto
Clavicembalo
Organo
Pianoforte
Flauto
Violino
Violoncello
Canto

CORSI COLLETTIVI (1 ora settimanale)

Teoria musicale e solfeggio
Armonia
Canto gregoriano

Quote associative

CORSI INDIVIDUALI: € 70 ogni 4 lezioni
CORSI COLLETTIVI: € 25 ogni 4 lezioni




Al via la scuola teologica diocesana

I corsi ordinari e il quarto anno incentrato sul mistero della fede

Secondo la narrazione di Giovanni evangelista, Maria Maddalena, in un’alba non ancora conclamata della domenica più importante per i cristiani, giunge alla tomba dove è stato sepolto il corpo del Maestro e vede la pietra rimossa. Si affretta a riferire la notizia ai discepoli ed anche Pietro e Giovanni corrono, a loro volta, verso il sepolcro. Giovanni lo raggiunge per primo, non entra, ma dalla soglia già si apre al suo sguardo la visione delle bende che avvolgevano il corpo del Maestro rilasciate per terra. Questo egli vede. Al sopraggiungere di Pietro, che osa persino entrare dentro la tomba, un altro particolare si disvela: il sudario già posto sul capo del defunto che ora è riposto ordinatamente da una parte.

Maria Madddalena vede la pietra della tomba rimossa e conclude che qualcuno ha portato via il corpo di Gesù senza poter sapere dove. Pietro vede le bende e il sudario e non è dato sapere la sua reazione e la sua interpretazione; sappiamo invece che Giovanni, dinanzi alla medesima scena, vide e credette.

Questi tre protagonisti del capitolo 20 del Vangelo di Giovanni vedono tutti solo dei segni, in questi primi versetti. Vedono segni e cercano di interpretare. Il discepolo che Gesù amava è colui che comprende con maggior compiutezza.

Ebbene la teologia cerca di fare lo stesso: interpretare nella maniera più compiuta e adeguata i segni che circolano intorno. Innanzitutto i segni della Rivelazione, ma poi anche i segni della vita sacramentaria e quelli della vita liturgica, fino ai segni della vita ordinaria di tutti i giorni che ci sono dati.

La scuola teologica diocesana, con il suo percorso triennale articolato in sette discipline per anno, si allinea fondamentalmente al suddetto obiettivo: poggiando sulle acquisizioni dei pilastri della fede (la Tradizione), intende fornire il metodo per interpretare i segni, in modo che ciascuno sia reso in grado di proseguire il percorso con una certa autonomia e, al contempo, sia abile a indirizzare altri lungo la stessa direzione.

Gli esami – per meglio dire, i colloqui – al termine di ogni corso sono opzionali e costituiscono, in ogni caso, solamente un’opportunità per sperimentare, tramite il dialogo o l’elaborato scritto personalizzato, un’autovalutazione della proprie acquisizioni.

La cadenza della scuola è settimanale (il martedì); l’orario è serale (20, 45 – 22, 10); la sede è il seminario vescovile di via Puccini.

info: giacomoponcini@alice.it

A.V.

L’apertura della scuola teologica è affidata alla prolusione dal tema: “Cosa chiedono i giovani al Sinodo
a cura della FRATERNITÀ DI CRISTIANI di Pistoia. L’appuntamento è per  martedì 9 ottobre 2018 alle ore 20,45 nell’aula magna del Seminario.

MATERIALE INFORMATIVO 2018/2019

Scuola di Formazione Teologica 2018-2019 (pdf)

Corso di Approfondimento 2018/2019 (pdf)

Libretto anno accademico 2018/2019 (pdf)

Per maggiori informazioni visita la pagina dedicata sul nostro sito.

 




Restituire una casa alla Visitazione

Carmignano: dalla parrocchia un progetto di crowdfunding per restaurare e valorizzare la chiesa e il convento dei SS. Michele e Francesco

Chi sale all’antica rocca di Carmignano si trova di fronte un paesaggio mozzafiato. Una quintessenza della toscanità, in un equilibrio fragilissimo tra olivi, viti, campi coltivati, porzioni di bosco e la distesa urbanizzata della piana di Pistoia, Prato e Firenze. Una cornice strepitosa per uno dei dipinti più celebri al mondo: il capolavoro –inquieto e anche un po’ inquietante- della Visitazione del Pontormo (1528-1530 circa).

La Visitazione è oggi negli Stati Uniti per il tour di una bella mini-mostra (Incontri miracolosi. Pontormo dal disegno alla pittura) che dopo una tappa alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti si è spostata al Morgan Library & Museum di New York e di lì replicherà al Getty Museum di Los Angeles da dove farà ritorno alla fine della prossima primavera. Un lungo viaggio che è anche l’occasione per sensibilizzare il pubblico, gli appassionati d’arte e non solo sulle condizioni della chiesa e del convento di San Michele a Carmignano, la “casa” della Visitazione e di altri tesori d’arte che oggi versa in uno stato di degrado molto preoccupante.

Chi ‘visita’ la Visitazione non arriva soltanto davanti un dipinto: entra in un dialogo che dal paesaggio porta all’antico convento di Carmignano, alla bella chiesa di fine Trecento che accompagna la fruizione e la comprensione dell’opera; guida, per chi crede, all’incontro e alla contemplazione.
Il convento poi, è uno dei primi insediamenti francescani: la tradizione lo fa risalire al 1211-1212 quando Bernardo da Quintavalle edificò un oratorio e un piccolo cenobio. Era nativo di Carmignano frate Giovanni Parenti, il primo successore di Francesco alla guida dell’Ordine dei minori. La chiesa attuale, costruita attorno al 1330 fu poi decorata da affreschi nel XV secolo e trasformata e fornita di diversi altari nel corso del Cinquecento, quando vi trovò posto anche la celebre Visitazione.

Oggi la parrocchia, con la collaborazione di esperti d’arte e comunicazione, ha elaborato #VisitingVisitation/Una casa per Pontormo a Carmignano: un progetto di valorizzazione che intende restituire ai carmignanesi e alla fruizione di tutti, un ambiente sicuro e ricco di storia. Una volta restaurati i locali dell’antico convento, compresa la Compagnia di San Luca oggi inagibile, potrebbero accogliere un piccolo Museo della Visitazione e uno spazio per eventi e incontri.

«Vogliamo proteggere questo luogo, vogliamo restituirlo alla sua antica bellezza, vogliamo dare alla Visitazione del Pontormo la cornice che si merita». È il desiderio di tutti i carmignanesi, di cui si fa portavoce Fabrizio Buricchi, quale responsabile dei beni culturali per la parrocchia.
Il progetto VisitingVisitation ha anche realizzato un video che accompagna e rilancia la mostra dedicata al Pontormo per sostenere una raccolta fondi lanciata sul web. «Preservare un patrimonio artistico così importante in questi luoghi – afferma Bruce Edelstein, storico dell’arte e curatore della mostra – è senza dubbio difficile, per la sicurezza e la protezione delle opere. Spesso i luoghi che conservano l’arte sono antichi quanto le opere stesse».

La Chiesa e il convento di Carmignano manifestano una grave degrado «soprattutto nelle parti strutturali, e in particolare nelle coperture, che da sole generano altri effetti connessi di degrado degli elementi secondari e decorativi. Questo deterioramento ormai diffuso – si legge nella presentazione del progetto -, non consente l’esecuzione di semplici operazioni di ripristino, ma richiede interventi mirati, ben organizzati e di notevole complessità tecnico-economica».

Oggi tutti hanno l’opportunità di offrire il loro contributo e partecipare a questo progetto, che restituisce una casa alla Visitazione e la propria identità a un’intera comunità. Per avere maggiori informazioni è possibile visitare il seguente link : https://igg.me/at/pontormo oppure visitare il sito: www.pontormo.it .




Linguaggi del divino 2018: “Rinascere dall’alto”

Ai nastri di partenza la rassegna teologica della diocesi di Pistoia arrivata alla 31ª edizione. Una riflessione profonda sul tema della spiritualità e delle sue tante sfaccettature, in rapporto con la società contemporanea. A fine ottobre una tavola rotonda sul tema del lavoro e impegno dei cattolici. Tra i relatori anche l’ex premier Letta e il Vescovo di Taranto, mons. Santoro.

PISTOIA – Ripiegati sul proprio smartphone o incastrati nel mondo dei consumi abbiamo ancora interesse per le cose del cielo? C’è ancora spazio per la spiritualità oggi? Saranno le grandi domande dell’uomo di fronte ai drammi della modernità e l’antico – e mai come ora attuale – rapporto con l’assoluto i protagonisti dell’edizione dei Linguaggi del Divino 2018, intitolato “Rinascere dall’alto”.

Otto incontri, più tre eventi straordinari si dipaneranno in tutto il mese di ottobre (5 -22) in alcuni dei luoghi più significativi della nostra città, come il convento di San Francesco, il convento di San Domenico e il Battistero di San Giovanni in corte, offrendo uno spazio libero, aperto e in dialogo con tutti.

Padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato a Firenze, aprirà la rassegna teologica riflettendo sul tema della spiritualità in una prospettiva dialogica con le “cose della terra”, cioè la complessità del reale, accompagnati dalla suggestione in bianco e nero delle fotografie di Mariangela Montanari. Con padre Guidalberto Bormolini, riascolteremo le grandi domande dell’uomo di fronte alla morte e le proposte delle diverse tradizioni spirituali e religiose.

Il noto biblista Ermes Ronchi ci ricorderà le nude domande del Vangelo che continuano a provocare la nostra esistenza, mentre con Gaetano Piccolo, gesuita e metafisico, intraprenderemo un viaggio sorprendente attraverso noi stessi alla luce del discernimento cristiano. Il professor Andrea Monda, docente di religione, scrittore e autore assieme a un gruppo di studenti dei testi dell’ultima via Crucis col Papa al Colosseo, protagonista del format “Buongiorno professore” (TV2000), ci aiuterà a scoprire quale spiritualità è diffusa oggi tra i giovani.

Proveremo a a riflettere sul tema del “silenzio” e dell’ascolto nell’esperienza radicale degli eremiti con Antonella Lumini, affiancata nel racconto dal vaticanista di “Repubblica” Paolo Rodari, ma anche grazie al documentario “Voci del silenzio” diretto da Joshua Wahlen e Alessandro Seidita. Il loro racconto proporrà un percorso a ritroso verso le radici dell’esistenza, lo stimolo concreto a riequilibrare il nostro modo di stare al mondo.

Goffredo Boselli, monaco di Bose, ci aiuterà a scoprire come la liturgia ci introduce nello spazio in cui opera l’assoluto e l’umano si apre al divino. Basilio Petrà, teologo e preside della Facoltà Teologica dell’Italia centrale indicherà gli orizzonti della vita nello Spirito donata a chi “rinasce dall’alto”.

La conclusione di questa nuova edizione è affidata ad una tavola rotonda di grande livello sull’impegno dei cristiani sul tema economia e del lavoro, curata dell’Ufficio per la Pastorale sociale, con la presenza di Enrico Letta, economista ed ex premier, Enrico Giovannini, economista ex presidente dell’Istat, mons. Filippo Santoro, vescovo di Taranto.

Un appuntamento da non perdere per pensare, interrogarsi e lasciarsi stimolare sulle domande decisive dell’esistenza.

Per informazioni

Pagina fb:  @ilinguaggideldivino – @diocesipistoia

Twitter: diocesi di Pistoia

ilinguaggideldivino@diocesipistoia.it

 

Programma completo + biografie

 




«Preti di montagna»: quando la cultura arrivava dal Pievano

Sabato 25 agosto a Cutigliano la presentazione del nuovo libro di Maria Valbonesi “Preti di montagna”. L’Appuntamento in piazzetta Ferrucci alle ore 17.30; interverrà il vescovo di Pistoia Mons. Tardelli.

Dopo Rusticane di montagna (2014), Maria Valbonesi dedica alla montagna pistoiese una nuova fatica, – “Preti di montagna” – frutto della ricerca sui preti, anzi, sui rettori delle pievi, che per molti secoli hanno costituito il fondamentale riferimento religioso, sociale e culturale per la gente che viveva nei borghi, tra i boschi e i pascoli dell’Appennino.

Cosa è possibile rintracciare negli archivi? Cosa ha scoperto sulla storia dei pievani della montagna?

Per quanto riguarda la loro specifica funzione di ecclesiastici, negli archivi è molto più facile trovare attestazioni sulle carenze, infrazioni e trasgressioni dei pievani piuttosto che i loro normali svolgimenti, generalmente sottintesi proprio per la loro ripetitiva normalità. Risulta invece sufficientemente documentata l’attività culturale con cui, al di là delle tradizioni e improvvisazioni popolari, i pievani – e praticamente soltanto loro – hanno aperto alla gente della montagna gli orizzonti della bellezza, della conoscenza e della memoria storica.

È questo che li distingue dai loro colleghi della pianura e delle città?

Almeno fino alla metà del XVIII secolo direi proprio di sì. Ed è soprattutto sotto questo aspetto che li ho presi in considerazione. Ovviamente non tutti, ma solo alcuni che meglio si prestano a rappresentare comportamenti più o meno comuni: provvedere al decoro della propria chiesa e delle celebrazioni religiose, insegnare a leggere e scrivere ai ragazzi del paese, ricordarne gli eventi nei registri parrocchiali e in eventuali relazioni, lettere, cronache e diari. Perché questa è, appunto, la conclusione emersa dai dati documentari: che, almeno sulla montagna pistoiese e fino alla metà del XVIII secolo, depositari della cultura sono stati soltanto, o quasi, i pievani.

Ma non c’erano in montagna uomini di cultura, oltre ai pievani?

Certo che c’erano, sia ecclesiastici che laici, ma, per bravi e capaci che fossero, alla montagna non ne veniva niente perché andavano a fare carriera altrove: a Firenze, a Roma e anche più lontano; e se tornavano, era soltanto per qualche breve visita o, ormai vecchi, per morire. Mentre invece i pievani restavano.

E chi sono quelli dei quali più specificamente si parla in “Preti di montagna”?

Sono tre: Girolamo Magni di Popiglio, che nel ‘500 per quarant’anni lavorò al restauro, riordinamento e abbellimento della sua pieve, facendone un sensibile esempio di ordine e di armonia che, attraverso i sensi, avviasse la sua gente alla religiosa dimensione spirituale di questi valori.
Andrea Busoni di Cutigliano, che nella prima metà del ‘600 si dedicò ad un insegnamento di alto livello letterario, scientifico e teologico, aperto anche alle donne.
Jacopo Lori di San Marcello, che verso le metà del ‘700 ha “salvato” gli usi e costumi e il linguaggio popolare in un gran numero di composizioni poetiche riunite sotto il titolo di “Tangheri della Montagna”.

Il volume è disponibile presso la libreria S. Jacopo di Pistoia.

Daniela Raspollini




Due dipinti per capire la città: san Jacopo e sant’Atto

Due opere da recuperare per custodire la memoria della nostra identità cittadina

di Daniela Raspollini

Anche quest’anno, nell’imminenza della festa patronale di San Iacopo, abbiamo voluto rivolgerci alla concittadina Lucia Gai, nota studiosa del culto iacopeo, per chiederle se per l’occasione vi siano in progetto iniziative da realizzare, oltre quelle consuete per celebrare la ricorrenza.

Possiamo dire che buona parte della sua attività di studiosa pistoiese si sia svolta per valorizzare e far conoscere il tema così interessante e importante per la nostra città che riguarda il culto di San Iacopo e l’intera civiltà del pellegrinaggio. Attualmente si prepara qualche novità in proposito?

Ogni anno, ogni volta che ci troviamo tutti insieme per celebrare la festa dell’apostolo Giacomo di Zebedeo, il “nostro” San Iacopo, mi capita di fare un bilancio di un percorso annuale intrapreso, per valutarne i risultati raggiunti e i traguardi ancora da realizzare. Il mio lungo impegno come studiosa si è costantemente completato con quello attuato nel Comitato di San Iacopo: l’associazione laicale di volontariato culturale (che si affianca e collabora con l’attività della chiesa cattedrale pistoiese) fondata negli anni ottanta del Novecento dal compianto monsignor Mario Leporatti e attualmente inserita fra gli organismi di cultura storica riconosciuti in ambito diocesano. Ultimamente, il Comitato di San Iacopo si muove per valorizzare sempre meglio la grande ricchezza del patrimonio di memorie storiche e artistiche religiose conservate in vari luoghi di Pistoia. In particolare, si sta attivando per il recupero dei due grandi emblemi lignei dipinti, d’inizio Seicento, che raffigurano rispettivamente San Iacopo patrono di Pistoia e il Santo vescovo Atto.

 

Non mi pare di aver mai visto queste opere. Potrebbe fornirci qualche altra informazione su questi dipinti? Dove si trovano?

Si tratta di due grandi emblemi dipinti a olio su pannelli sagomati in legno, conservati attualmente nei Depositi del Museo Civico di Pistoia. Entro ricche incorniciature a ‘cartiglio’, tipiche del Seicento, eseguite contemporaneamente e da uno stesso artista, per ora ignoto ma di notevole qualità, sono raffigurati due dei principali ‘protagonisti’ della storia pistoiese della prima metà del XII secolo: l’apostolo Giacomo “il Maggiore” e il vescovo vallombrosano Atto (1133- 1153).

Egli nel 1145 istituì ufficialmente il culto iacopeo a Pistoia, mediante una reliquia del corpo apostolico arrivata da Santiago di Compostella, dove per antichissima tradizione si ritiene riposino le spoglie dell’apostolo: che è lo stesso santo protettore del pellegrinaggio compostellano, sia nei tempi passati che anche oggi, dato che anche attualmente molte sono le persone che vogliono ripetere questa profonda e significativa esperienza, percorrendo in Spagna il “Camino de Santiago” fino a Compostella.

I due emblemi dipinti vennero presumibilmente realizzati dall’Opera di San Iacopo, l’istituzione comunale addetta alla tutela e all’organizzazione del culto iacopeo cittadino, in occasione della canonizzazione del vescovo Atto nel gennaio del 1605. È possibile che essi fossero già stati approntati per portarli nella solenne processione organizzata per celebrare l’evento, che veniva a confermare un culto cittadino per il vescovo Atto già in essere nella seconda metà del secolo XII.

Quello che è sicuro è che i due emblemi lignei dipinti arredavano riccamente la sala dell’udienza dell’Opera di San Iacopo, nella nuova sede realizzata nel secolo XVII in testa all’attuale piazza dello Spirito Santo.

Dopo le soppressioni ecclesiastiche di fine Settecento, e in seguito ad una serie di passaggi, i due dipinti furono acquisiti dal Museo civico di Pistoia, ma non furono esposti perché bisognosi di restauro per il supporto ligneo, che ha sofferto per l’umidità.

 

Perché i due emblemi sono così importanti?

Per due ragioni, principalmente. Innanzi tutto perché sono la testimonianza concreta del momento storico in cui è nata l’esigenza di raccogliere le memorie cittadine, da parte di tanti studiosi ed eruditi locali, per lo più appartenenti al clero e al patriziato. La “Storia di Pistoia” nacque anche come “Storia del culto iacopeo” e, insieme, come raccolta, specialmente fra Sei e Settecento, di “Biografie” del vescovo Atto: continuate lungo l’Otto e Novecento, fino ad oggi. Le due immagini dipinte segnano, anche visivamente, questo momento di maturazione della coscienza civica, quando ha avuto bisogno di appoggiarsi sia alle immagini emblematiche che alla “Storia”. La seconda ragione per cui sono importanti è che nel modo di raffigurare questi soggetti si rivela una precisa mentalità, una concezione dei rapporti fra società e valori ideali e religiosi. In entrambi gli emblemi viene espresso il concetto che una comunità ha bisogno, per vivere i valori della civiltà cui appartiene, di elementi unificanti e condivisi, ma anche di una fede precisa circa il proprio destino: cui deve, essa stessa per prima, credere. È quel ‘vincolo di carità’ che lega tutti noi ed era l’antico ideale dei monaci Vallombrosani, in accordo con la Chiesa universale. Questa idea è espressa sia nell’immagine di Sant’Atto, colto nel momento in cui sostiene, e offre ai cittadini di Pistoia, la cassetta della reliquia iacopea, come un dono ricco di futuro, sia nell’altra immagine dell’apostolo San Iacopo, che tiene fra le mani l’intera città di cui è patrono, così com’è patrono del pellegrinaggio compostellano (cui rimanda il “bordone” o bastone su cui i devoti viandanti si appoggiavano nel loro cammino, che egli regge con la sinistra).

 

Potrà essere fatto qualcosa per poter restaurare queste opere, perché tornino ad essere esposte in modo opportuno?

A quanto ne so, un preventivo di spesa era stato fatto dalla Soprintendenza fiorentina e la cifra dovrebbe essere non eccessiva. Tuttavia in questi attuali tempi di crisi, ogni ente pubblico deve stare attento alle spese: in questo caso, si tratta dell’Amministrazione Comunale, che deve tener conto delle sue priorità.

Si potrebbe tuttavia intervenire, per evitare che vadano via via disperse tante testimonianze importanti della nostra identità, con uno sforzo economico da condividere. L’alternativa è la silenziosa, irreparabile perdita, senza che alcuno levi una voce per chiedere che almeno si pensi a cosa si perde, e a quanto resti alla generalizzata solitudine tecnologico-informatica dei nostri giovani, schiacciati su un ‘presente’ insignificante e ‘liquido’.