Solennità del Natale – Messa della notte (25 dicembre 2016)

CATTEDRALE DI S. ZENO – MESSA DELLA NOTTE

Un bambino da accogliere; un bambino da rispettare e da amare; un bambino da cui imparare: questo è il Natale del Signore. Il nome di questo bambino è Gesù. Ma questo bambino porta anche il nome di ogni bambino del mondo.

La lettura del profeta Isaia proclama che “Un bambino è nato per noi, che ci è stato dato un figlio”. E in effetti, nella grotta di Betlemme è nato un bambino. Figlio di Maria ma non di Giuseppe. Figlio invece di Dio, secondo le parole con le quali l’angelo parlò a Maria. Quel bambino è Dio. Dio con noi. “Oggi – dicono gli angeli ai pastori – è nato un Salvatore che è Cristo Signore”.

Quel bambino che è Dio aspetta di essere accolto, carissimi fratelli ed amici. E’ dunque innanzitutto un bambino da accogliere. Allora chiese di essere accolto da Maria e Giuseppe, dai pastori e da tutti gli altri che poi lo incontrarono in cammino per le terre di Palestina. Oggi, il Dio bambino attende di essere accolto da ciascuno di noi. Questa è la questione seria dell’uomo! Non ce n’è un’altra di così seria, così importante, di così decisiva: accogliere Dio nella nostra vita e nella vita del mondo, come nelle nostre società. Tutti gli altri problemi vengono dopo perché sono la conseguenza di questo fondamentale atto che è richiesto a ciascuno: accogliere Dio in noi; accogliere il bambino Gesù nella nostra vita; lasciarci spezzare il cuore da lui e fargli spazio; non solo col sentimento ma con la nostra intelligenza, la nostra volontà, il nostro corpo, in definitiva con tutta la nostra persona. Una vita che non si apre a Dio, a quel bambino che è Dio, è una vita che si perde e si smarrisce nei meandri oscuri del labirinto del proprio io. Una società che non apre le porte a Cristo, al bambino di Betlemme, è una società che ipoteca il suo autentico sviluppo.

Ma questo Dio da accogliere è presente anche in ogni bambino del mondo a partire dal concepimento nel seno materno. E allora il Natale ci domanda impertinente se noi i bambini li accogliamo veramente; se sappiamo fargli posto; se sappiamo aprirci alla loro novità oppure se lo facciamo solo a parole. Domanda per niente scontata nella nostra società e nella nostra Italia in particolare dove di bambini ne nascono davvero pochi e le morti superano le nascite. Domanda per niente scontata, anche di fronte al numero incredibilmente alto di aborti (56 milioni ogni anno) che si fanno nel mondo e spesso proprio nelle società cosiddette più avanzate.

Ma se il bambino di Betlemme va innanzitutto accolto a braccia aperte, ciò non basta. Ed è questa la seconda considerazione che voglio fare stanotte. Il bambino Gesù va cioè anche accudito e amato. Egli attende che ci prendiamo cura di Lui e che lo facciamo crescere in noi, dentro di noi; crescere d’importanza, crescere di valore, crescere di influenza sulla nostra vita. Il Bambino Gesù attende di essere custodito nel cuore, nutrito con la nostra dedizione, amato sopra ogni cosa; messo al centro della nostra attenzione, delle nostre preoccupazioni. Diciamo la verità, carissimi amici e fratelli, è proprio così?  Nella nostra vita, il Signore Gesù è davvero importante? È davvero al centro e tutto ruota intorno a Lui? La sua parola è luce per le nostre scelte, i nostri giudizi, i nostri comportamenti?

Esaminiamoci attentamente e guardiamo il presepe. Gesù bambino è lì, piccolino. Ha bisogno di tutto. Ha bisogno del calore del nostro affetto, delle nostre mani calde d’amore. Non possiamo voltarci dall’altra parte. Non lo possiamo ignorare. Bisogna abbracciarlo, prenderlo in braccio, cullarlo, cantargli dolcemente una nenia per addormentarlo; dobbiamo saperlo accarezzare e fare attenzione al suo respiro, che non abbia a soffocare; fare attenzione perchè non s’abbia a far male, cadere, ferirsi. Certo, alle nostre mani – dobbiamo pur dirlo – il bambino Gesù rischia grosso. Eppure, sembrerà strano, ma Egli, nonostante tutto, continua a fidarsi di me, di te, di noi; continua ancora a voler venire nelle nostre braccia.

Facciamo allora attenzione. Mettiamocela tutta. Non trascuriamolo, riempendo la nostra vita di un sacco di cose che non sono Lui. Per alimentare la presenza del Signore Gesù nella nostra vita non c’è che da pregare e pregare molto, affidandoci alla sua Parola e a quei mezzi divini, i sacramenti, che la santa chiesa ci mette a disposizione.

Ma il bambino Gesù – come dicevamo – è anche presente, realmente presente in ogni bambino del mondo. Che sono quindi da rispettare, da salvaguardare, da custodire. E allora il pensiero va a quei bambini che muoiono ancora per fame e per guerre, vittime di abusi e di ingiustizie, maltrattati e schiavizzati, e proviamo angoscia e dolore. Proviamo sgomento questa notte, davanti alla grotta di Betlemme, perché in ogni bambino maltrattato, è Dio che viene nuovamente calpestato e ancora si conficcano atroci i chiodi nella carne di Cristo. E se i bambini sono maltrattati e offesi, se sono vittime innocenti, ciò è segno che questo mondo ancora non ha accolto Dio, non lo ha accettato. E’ il segno più evidente di un mondo che rifiuta il vero Dio e pensa di sostituirsi a Lui.

Infine, ed è il mio terzo pensiero questa notte, il santo bambino di Betlemme ci insegna. Si, ci insegna e noi dobbiamo imparare da Lui, come del resto da ogni bambino. Il Natale ci ricorda infatti che occorre diventare come bambini, se vogliamo entrare nel regno della luce e della pace. “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”(Mt 18,3). Lo ha detto chiaramente Gesù e ogni bambino del mondo ci è maestro e ci insegna la via della piccolezza e dell’umiltà e quindi del Regno.

Com’è difficile per noi adulti cosiddetti “maturi” diventare bambini! E’ difficile; eppure è necessario. Altrimenti non si entra nella vita. Occorre diventare bambini. Non ritornare bambini. Questa è un’altra cosa e sa di infantilismo. Diventare bambini invece significa farsi piccoli e poveri; accettare di svuotarsi del proprio io; è aver bisogno di tutto e di tutti. Significa esser contenti di contare niente o poco; non cercare potere, forza o rivalse; riconoscerci fragili e deboli. Significa essere sinceramente umili, vincendo la nostra prepotenza, la nostra presunzione, il nostro orgoglio. L’umiltà dell’Onnipotente Dio che si è manifestata a Betlemme e di cui San Francesco rimase affascinato, commuova anche noi questa notte e ci renda semplici e poveri.

Accogliamo allora carissimi fratelli ed amici, il bambino Gesù, prendiamoci cura di Lui ed amiamolo con tutte le nostre capacità. Impariamo infine dal divino bambino; andiamo alla sua scuola. Diventati bambini, saremo allora capaci di amare veramente il nostro prossimo e aprirci ai fratelli più deboli e fragili con una condivisione sincera dei loro dolori e angosce, delle loro gioie e speranze.

+ Fausto Tardelli, vescovo