Messa Crismale – Cattedrale di San Zeno (12 aprile 2017)

S. Messa crismale 2017
Cattedrale

 

Carissimi presbiteri, diaconi, religiosi, religiose e laici, tutti uniti nel Battesimo che ci fa un popolo di sacerdoti, re e profeti, l’Eucaristia di questa sera manifesta mirabilmente la chiesa pistoiese ed è come un’anticipazione della Pasqua di risurrezione. La celebrazione festosa degli oli santi brilla della luce mattinale del giorno del risorto e ci mostra l’abbondanza dei doni pasquali che sono i sacramenti della Grazia. Anche se ancora dobbiamo attraversare il giorni della passione e della morte, la Risurrezione di Cristo è già presente e operante, come attuale è l’effusione del Santo Spirito che rinnova la faccia della terra. Il crocifisso risorto è in mezzo a noi ed effonde su di noi il suo Spirito che è anche lo Spirito del Padre e ci riunisce, non perchè restiamo nel chiuso del cenacolo ma per essere lievito di speranza dentro la società.

Tre segni vorrei cogliere in questa nostra celebrazione stasera. Tre segni evidenti che ci dicono molto di quello che siamo e che siamo chiamati ad essere: l’olio versato, il profumo del Crisma, la variegata composizione della nostra assemblea.

L’olio versato è il primo segno. L’olio prodotto dalle olive è stato versato nelle anfore per essere consacrato. Sarà versato poi nei vasetti di ogni parrocchia e da lì, ancora, sarà in qualche modo versato sul petto dei battezzandi, sulla fronte dei cresimandi, sul palmo delle mani dei presbiteri e infine sulle mani di coloro che sono nella malattia. Questo sacro olio è destinato a essere versato e a raggiungere molte persone. E’ il suo scopo, il suo compito. Gli olivi sono stati piantati e coltivati, le olive raccolte e frante perché l’olio fosse versato e consumato. Ebbene, non è lontana da questa vicenda dell’olio la nostra stessa vita! Nel segno dell’olio versato possiamo anzi ben individuare la nostra chiamata, quella del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi ma anche di tutto il popolo di Dio. Noi esistiamo per essere versati. Siamo stati raccolti nel grembo di una madre, generati dall’amore di un uomo e di una donna, cresciuti ed educati ma sempre per essere versati nella vita dei nostri fratelli, nella vita dell’umanità. Sappiamo bene di non essere sempre di ottima qualità; ciononostante siamo destinati dal Signore a farci vicini ai nostri fratelli con l’olio della consolazione e dell’amore, quello della speranza e della verità, quello della gioia e della letizia. Noi esistiamo per questo, carissimi fratelli e amici. Questo è il nostro compito e la nostra missione, ciò che da senso alla nostra vita. Non ci siamo noi e poi la nostra missione. La missione siamo noi, come ci ricorda Papa Francesco nella Evangelii Gaudium. E se questa attitudine deve caratterizzare tutta la nostra esistenza senza tristezze, malinconie o rimpianti e ci deve porre in atteggiamento di servizio nei confronti di ogni uomo in tutte le sue necessità, gli oli santi che significano la grazia santificante, ci rammentano che la missione delle missioni, quella per cui soprattutto dobbiamo versare la nostra vita, è la santificazione dei fratelli; è per dischiudere ad ognuno le porte del paradiso; perchè ogni uomo abbandoni la via del peccato e si apra nella fede all’amore di Dio e dei fratelli e sia salvo. Ciò include ogni tipo di attenzione e di premura anche per gli aspetti più materiali e sociali della vita delle persone, ma non può trascurare il punto di arrivo. E per quest’opera di Dio, carissimi amici, ci dobbiamo consumare e spendere con generosità.
Siamo troppo stanchi e fiacchi a volte. Diamo la colpa alle molte cose da fare, alla complessità delle situazioni, alle angustie del tempo presente. E c’è del vero in tutto ciò, ma come ancora Papa Francesco nella citata esortazione apostolica ci dice, spesso è che son venute meno le nostre motivazioni interiori; si sono affievoliti i motivi che stanno dentro la nostra anima; quella convinzione profonda che il senso della nostra vita sta soltanto nell’adempimento generoso e gioioso della nostra missione. E son queste motivazioni interiori e profonde che ognuno di noi è chiamato urgentemente a recuperare.

Il profumo del Crisma è il secondo segno. L’olio diventa Crisma per l’invocazione dello Spirito Santo e l’aggiunta di profumo. E il buon odore del Crisma tra poco si spanderà in questa cattedrale come ogni volta che verrà versato sulle persone. Il profumo è piacevole, ci sentiamo attratti da esso. Le varie fragranze possono essere più o meno gradite, ma il profumo comunque ci da piacere e rende piacevole anche l’incontro tra le persone. Credo che il segno del profumo del Crisma ci faccia capire che le cose di Dio non sono mai asettiche e disincarnate, inodori e insapori; sono invece vere, vive, pulsanti. Le cose dello spirito non si esauriscono nel pensiero, non sono solo concetti. Nel rapporto con Dio è implicato tutto il nostro essere e tutto di noi, anima e corpo, è chiamato a esprimere la lode di Dio, l’amore verso di Lui e l’amore verso i fratelli. Vorrei richiamare allora tutti noi a vivere con gioia tutta la vita. O la fede ha il sapore della vita oppure non è fede. Vivere la vita in pienezza significa saper assaporare tutta la realtà, le nostre passioni, i nostri sentimenti e le varie espressioni e momenti del vivere; fuorché il peccato, naturalmente, e mettendo sempre in conto una diuturna lotta contro di esso perchè il peccato non è in realtà vita, bensì la sua negazione. Noi siamo amanti della vita e ci si deve leggere in volto. Noi la vita la vogliamo gustare fino in fondo. Con la consapevolezza che la nostra credibilità si gioca nello spessore caldo di umanità che sappiamo esprimere nelle relazioni, dall’amore cioè che abbiamo alla vita nostra e altrui. Ciò infatti dimostra inequivocabilmente che con Cristo e in Cristo la vita non si rattrappisce e soffoca ma si dilata e si fa più intensa; che con Lui e in Lui siamo capaci di apprezzare le cose belle e buone dell’esistenza; capaci di piangere lacrime ma anche di ridere; capaci di cercare seriamente la volontà di Dio ma sempre con un po’ di senso dell’umorismo; capaci ancora di dire con schiettezza pane al pane e vino al vino, e quindi anche verità che non sono di moda e sono piuttosto scomode al mondo, non però come acidi e invidiosi ma come persone che proprio perchè amano la vita, sanno vedere ciò che la impoverisce e la intristisce.
Ha ragione il Papa a dire che tra noi ci sono troppe facce da funerale! Ciò testimonia contro di noi e il vangelo che annunziamo. Sempre a lamentarci, con una lista infinita di critiche che dimostrano non tanto lucidità di analisi, quanto piuttosto che non si riesce più a sentire il profumo bello della vita, quello dell’amore di Dio che non viene meno e quello dei doni che il Signore continuamente ci fa, primo fra tutti quello delle tante persone che ci vogliono bene nonostante noi.

La variegata composizione della nostra assemblea è l’ultimo segno di cui vorrei parlarvi. E’ un fatto. Siamo qui provenienti da tante parti del mondo. Siamo qui preti, diaconi, laici, religiosi e religiose di ogni razza e colore. Giovani e anziani. Poveri e ricchi, semplici e dotti. La celebrazione di questa sera raduna esemplarmente e rappresentativamente la santa e peccatrice chiesa di Pistoia. Siamo quello che siamo, con tutti i nostri peccati, le nostre lentezze, le nostre povertà. Ma siamo anche una realtà bella. Bella perchè amata dal Signore; perchè edificata dal Santo Spirito; bella perché attraversata da flussi sinceri di carità e di fede; bella perchè alla fine siamo capaci di ritrovarci qui attorno a questa mensa, nella Cattedrale che è il volto di pietra della chiesa locale. Insieme a condividere gli stessi doni, la stessa parola di Dio, lo stesso Pane della vita, la stessa missione. E siamo qui veramente diversi per carattere, sensibilità, estrazione sociale, razze e culture. E’ un miracolo dello Spirito questa nostra unità. Questa variegata realtà della nostra chiesa non è un limite, un handicap, quasi fosse meglio esser tutti uguali, con la medesima testa, lo stesso modo di ragionare, la stessa storia personale e di chiesa alle spalle. No. E’ bene così. Anche se ci possono essere problemi, è sempre meglio una chiesa così che una chiesa piatta e amorfa. E’ bene che essa sia multietnica e multi razziale, quindi pronta ad accogliere ogni uomo e donna che bussi alla sua porta. Certo abbiamo anche da crescere in questa capacità di comunione reciproca e di accoglienza anche del forestiero. Siamo troppo spesso tentati di chiuderci agli altri e di andare ognuno per la sua strada, magari anche facendo cose buone, ma procedendo senza sentire niente e nessuno; senza l’umiltà di condividere e accogliere il consiglio degli altri. Quanta fatica a camminare insieme! Quanta fatica a sentirci parte l’uno dell’altro, dentro l’unica chiesa di Cristo! Quanta fatica proviamo ancora a collaborare, sottoponendoci tutti al giudizio del vangelo e al magistero della chiesa di ieri e di oggi! O nell’accettare la disciplina della comunione ecclesiale nella pastorale parrocchiale, nella vita personale, nell’amministrazione dei sacramenti, nell’impostazione della catechesi o nel servizio della carità! Eppure, più fondo di ogni nostro individualismo e di ogni nostro rifiuto della comunione o anche più semplicemente della difficoltà di collaborare, c’è lo Spirito Santo di Dio su di noi, come ci ha detto il vangelo. C’è lo Spirito del Signore che soffia senza stancarsi e ci spinge verso la comunione. L’unità ci è donata prima ancora di potercela meritare, come dimostra questa bellissima Eucaristia di stasera che significa la nostra comunione in Cristo ancora prima che noi la realizziamo pienamente.

Olio versato, dunque, profumo del Crisma e variegata composizione della nostra assemblea: tre segni mirabili che stasera risplendono in questa nostra cattedrale per dare pace al nostro cuore e spronarci ad attraversare senza indugi i giorni della passione e delle tenebre, perchè già illuminati dai riflessi della luce del mattino di Pasqua.

+ Fausto Tardelli, vescovo