IV° venerdì di Quaresima 2017 anno A – Cattedrale (24 marzo 2017)

IV° venerdì di Quaresima 2017 anno A
Cattedrale

“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza e amerai il prossimo come te stesso”

Dopo che il Signore nel venerdì della prima stazione quaresimale ci aveva invitato a una giustizia superiore a quella dei farisei e degli scribi e dopo che nella scorsa stazione quaresimale in Sant’Andrea ci ha dato l’esempio di cosa intendesse con l’invito a superare la giustizia nell’amore anche verso i nemici, questa sera ce lo dice chiaramente anche a parole che cosa ci chiede: amare Dio con tutto il cuore e amare il prossimo come noi stessi. Non c’è comandamento più grande di questo.

L’insegnamento di Gesù viene a seguito dell’interrogazione da parte di uno scriba. Gesù risponde in modo singolare. Riporta in effetti qualcosa che è già presente nell’antica alleanza. Lo riconosce anche lo scriba. Non solo. Gesù inizia riportando quello che era in effetti il ben conosciuto comandamento fondamentale in Israele: quello shemà israel – ascolta Israele – col richiamo al Dio unico, che era ed è il ritornello giornaliero di ogni israelita. Gesù però mette insieme quasi a identificarli, il comandamento dell’amore verso Dio e quello verso il prossimo. E qui troviamo in fondo l’originalità dell’insegnamento di Gesù, che come saggio scriba sa tirar furi dal suo tesoro cose nuove e cose antiche, trasmettendoci la sapienza di Dio.

Messi insieme dal Signore Gesù, noi non possiamo perciò separare i due amori che sono un solo comandamento. Sembrerebbe ovvio ma purtroppo non è così e quindi dobbiamo convertirci, tutti, alla sapienza di Dio.

Troppe volte – forse poteva esser più vero nel passato che oggi – comunque troppe volte amare Dio ha voluto dire estraniarsi dalla storia, dimenticare i fratelli nel bisogno, non sporcarsi le mani nel soccorrere l’oppresso e lo scartato della società. Come è accaduto all’antico popolo di Israele, anche noi, nuovo popolo di Dio abbiamo a volte ridotto il culto a pratica religiosa alienante; abbiamo pensato di poter dare gloria a Dio senza la conversione del cuore che si apre al fratello. Pur trattando le cose sante che sono la verità dell’amore di Cristo per la salvezza degli uomini, le abbiamo però ridotte a “cose sacre”, vuoto ritualismo, sceneggiata senza anima, lode che diventa bestemmia del nome santo di Dio. Preghiera cioè che non ci cambia il cuore e la mente, che appaga soltanto i nostri sentimenti o la nostra sete di rassicurazione. Di Dio, tante volte abbiamo fatto un idolo a nostra misura, configurato sulle nostre sembianze. Sulla base dei presunti diritti di Dio, abbiamo finito per sacrificare le persone, schiacciandole sotto il peso di un Dio autoritario e vendicativo. Ci siamo mostrati pii e devoti, ma con le orecchie e gli occhi chiusi per non assumere le nostre responsabilità nella storia; per non vedere il volto concreto di Dio che si manifesta nei poveri e nei derelitti, come in ogni nostro fratello e sorella, qualsiasi sia la sua lingua, cultura o razza. Così è accaduto che le nostre chiese diventassero a volte come lo spazio del tempio antico che il Signore Gesù ha invece distrutto per identificarlo con se stesso, la sua carne, il suo cuore pieno d’amore. Da luogo dove sperimentare l’amore del Signore nella memoria del suo sacrificio che redime l’umanità, perchè tutta sia lode al Padre, abbiamo trasformate le nostre chiese in luoghi che esauriscono l’esperienza cristiana, appagano il nostro gusto estetico, detengono l’esclusività di un culto a Dio ridotto a cerimonia.

Ecco dunque: di fronte a tutto questo sta la parola del Signore che ci ricorda come il comandamento unico comprenda in se stesso anche l’amore del prossimo; la piena dedizione al fratello fino al dono stesso della vita, a partire da un ascolto attento e premuroso che è l’anima e la sostanza dell’autentico amore del prossimo; l’impegno per la trasformazione del mondo nel segno della giustizia e della pace.

Prendendo però con serietà l’insegnamento di Gesù, dobbiamo altresì parlare dell’altra, grossa tentazione che – forse oggi più di ieri – si fa costume e abitudine mentale. Quella cioè di dimenticarsi dell’amore verso Dio e di pensare che si possa amare il prossimo senza amare Dio, scordandosi di Lui o trascurandolo o addirittura negandolo. E allora dobbiamo riconoscere con lucidità che tante volte abbiamo ridotto il cristianesimo a messaggio puramente sociale, per niente diverso dalle tante prospettive sociali e politiche presenti nel mondo. E’ accaduto e accade purtroppo tante volte che si ritenga inutile la preghiera, il rapporto vivo col Signore, l’esperienza del suo amore attraverso i sacramenti. Che importa andare a Messa, si sente dire spesso: basta aiutare il prossimo! Ma non è così: se tu non vai a Messa, cioè se tu non partecipi – naturalmente con fede e convinzione – al Mistero dell’amore di Cristo; se tu non ti lasci trasformare dalla Grazia; se tu non fai quotidiano riferimento a Dio, tu non puoi amare veramente il tuo prossimo. Non solo non ce la farai mai ma quando penserai di aver aiutato il tuo prossimo, lo avrai reso in realtà più schiavo di prima, dipendente da te e avrai soffocato in lui la speranza.

Oggi si fanno tante cose per gli altri. E’ vero, pur se a volte si raccontano più che farle o si ingigantiscono magari anche solo per apparire. Le nostre stesse società avanzate promuovono leggi e comportamenti che vorrebbero realizzare un mondo più giusto e fraterno. Spesso però ci si dimentica di Dio. Anzi, lo si esclude deliberatamente dalla vita personale, dalle famiglie, dalle istituzioni educative, dalla società in genere. Così facendo si viene però a togliere fondamento alla stessa inalienabile dignità di ogni essere umano e si produce una radicale impossibilità di amarci e di amare veramente il prossimo.

Il Signore Gesù è stato molto chiaro, ricordiamocelo: “Il primo comandamento è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. La memoria dei missionari martiri morti nel 2016 che facciamo questa sera è ricordo di chi, sulle orme di Gesù, ha dato fino al dono della vita l’esempio proprio di questo unico, inscindibile amore verso Dio e verso il prossimo.

Accogliendo le parole di Gesù e la testimonianza dei missionari martiri, sentiamo allora stasera tutta la nostra debolezza. Ci accorgiamo di quanto siamo ancora distanti dall’amore che dovremmo vivere con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima, con tutto noi stessi.
Ecco perchè, consapevoli della nostra misera realtà, non celebriamo ora l’Eucaristia ma compiamo un gesto penitenziale. Insieme vogliamo supplicare il Signore con le parole che ci ha suggerito il profeta Osea nella prima lettura: “Togli ogni iniquità, accetta ciò che è bene; non offerta di tori immolati, ma la lode delle nostre labbra.” Unitamente alla supplica accorata, vogliamo anche esprimere tutta la nostra fiducia nel Signore che, come abbiamo ascoltato sempre in Osea, così manifesta le sue intenzioni nei confronti del suo popolo peccatore: “Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro. Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano.”

Si, il Signore Dio può fare questo di noi, e noi, nonostante le nostre innumerevoli inadempienze, gli chiediamo che ci converta, che ci cambi il cuore e ci liberi dalle nostre cattive abitudini, dando forza alla nostra volontà di bene. Noi ci affidiamo completamente a Lui che, solo, ha parole di vita eterna, e chiediamo anche la preziosa intercessione dei missionari martiri che hanno dato la vita per il vangelo.

+ Fausto Tardelli, vescovo