SE LA RESURREZIONE RESTA INDIGESTA: OMELIA DEL GIORNO DI PASQUA

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Se la resurrezione resta indigesta non è colpa del pranzo, né della merenda fuori porta del giorno di Pasquetta. Neppure è colpa del tempo che non è più quello di una volta.
Forse è colpa dei tempi? Conseguenza inevitabile dell’età secolare o preludio di una nuova stagione culturale, in cui le antiche domande dell’uomo chiedono modalità inedite di annuncio?

«È stato detto, con uno slogan che rende però l’idea – ha esordito Mons. Tardelli nella sua omelia per il giorno di Pasqua – che non siamo semplicemente in una epoca di cambiamenti, bensì in un cambiamento d’epoca. Si prospettano nuovi scenari super tecnologici, sul piano economico, sociale, politico, persino umano (…) Opportunità future e antichi fantasmi danzano insieme nello scenario dei giorni presenti».
Un presente talmente spinto nel futuro da volersi aggrappare a tutti i costi al passato. Eppure è oggi che la Chiesa rinnova l’annuncio pasquale: «in questo mondo cambiato e mutevole, ha ancora senso la nostra fede nel Signore Risorto? Ciò che noi crediamo, ha ancora da dire qualcosa a questo mondo?».

Un film commedia di questi giorni ha pensato pure di giocare con la religione, fondandone una tutta nuova: lo ionismo: «una religione – ha affermato il regista – con elementi liberatori, molto comoda e contemporanea. Mette lo specchio e te stesso al centro, in un’epoca in cui i selfie sono il modo di manifestare la propria esistenza e ci si sente poeti scrivendo un post su facebook. (…) una commedia sulla religione, in un momento storico in cui è un tema quasi tragico».

Di fronte a questo scenario, si domandava il vescovo Tardelli: «Che cosa può voler dire per l’uomo di oggi, la Pasqua, la morte e la risurrezione di Cristo? La domanda è seria e la risposta non può essere banale, quasi a dimostrare come ovvia la fede nel risorto».
La fede chiama l’uomo a uscire dalla propria autoreferenzialità per aprirsi ad un Altro. Che pure non si vede, né si tocca. Ma che è veramente risorto. Sì, la fede non è ovvia: «Gesù non volle rivelarsi a tutto il mondo come risorto; volle invece affidare la sua risurrezione alla fede; alla fede dei suoi discepoli che “videro” ma dovettero “credere” anch’essi; credere cioè che non era un fantasma Colui che avevano incontrato; che non era un sogno, una loro fantasia, una proiezione del loro desiderio».
Anche a noi oggi, il Signore chiede di compiere questo passaggio: «La fede resta qualcosa di “scandaloso” per il mondo, di “ostico” alla mente nostra e alla nostra esperienza umana. Rimane un “salto”, un affidarsi, un confidare nella testimonianza degli apostoli e di chi, prima di noi, ha “creduto”. Un “salto” nel buio, per certi versi».

Anche il documento preparatorio del sinodo dei Giovani, elaborato qualche giorno fa nell’incontro presinodale tra centinaia di giovani e il papa sottolinea la difficoltà di riferirsi, pur in un contesto “aperto alla spiritualità”, al discorso della fede: «sebbene i giovani riescano ad interrogarsi sul senso dell’esistenza, questo non sempre implica che siano pronti a dedicarsi in maniera decisiva a Gesù e alla Chiesa. Oggi la religione non è più vista come il mezzo principale attraverso il quale un giovane si incammina verso la ricerca di senso» (n. 5).

La fede della Chiesa, dunque, professata solennemente il giorno di Pasqua «è certamente una sfida per noi uomini di oggi, giovani e adulti; una sfida per il mondo».
Ma allo stesso tempo è «un proclamare al mondo che tutti gli sforzi per salvare se stessi e l’uomo in genere, per salvare il pianeta, per una convivenza tra i popoli; tutti gli sforzi per vincere la cattiveria e l’odio; tutto l’impegno per la giustizia e per dare dignità alla vita dell’uomo; tutto il nostro gran da fare per vincere la morte e goderci la vita; ecco tutto questo è destinato al fallimento se non riconosciamo che Gesù è il Signore, l’unico che ha vinto la morte e nel quale solamente abita quell’amore puro che può trasformare il cuore dell’uomo e darci la gioia e la pace che il nostro cuore inquieto cerca».

La Pasqua riafferma il segno di contraddizione della proposta cristiana: «è qui il punto che renderà sempre un po’ “indigesta” la fede cristiana. E ogni tentativo di smussarne gli angoli, per renderla compatibile con le aspettative tutte terrene dell’uomo, riducendone la pretesa paradossale, addomesticandola per farla diventare un semplice supporto motivazionale all’impegno sociale; così come ogni sforzo per eliminare le esigenti conseguenze morali della fede che indicano all’uomo un cammino faticoso e controcorrente rispetto ai propri istinti e desideri; tutto questo non produce alcun effetto positivo sull’uomo, anzi, rende insignificante e vana la morte e la risurrezione di Cristo».
Parole forti, che suonano scomode. «Questa dunque – ha continuato Mons. Tardelli – è la nostra fede e non vogliamo far niente per renderla accettabile e toglierle il suo carattere paradossale, anche se riteniamo che risponda alle vere attese dell’uomo di ogni tempo».

È la stessa fede che fa prendere posizione di fronte al mondo e «ci fa dire che la cattiveria, il sopruso, l’ingiustizia, l’odio, la morte, non avranno il sopravvento perché Cristo è risorto; questa fede ci fa dire ancora che qualsiasi peccato, trasgressione alla legge santa di Dio, può essere sconfitto nella nostra vita, per la croce di Cristo; questa fede ci fa dire inoltre che è possibile già su questa terra vivere, seppur a costo della stessa vita, una vita nuova segnata dall’amore vero verso gli altri; una vita che allora fiorirà in pienezza oltre la morte, perché la morte è stata sconfitta per sempre».