DOMENICA 21 MAGGIO: DIACONATO DI GIANNI GASPERINI

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È arrivato ormai ad una tappa importante Gianni Gasperini, uno dei nostri  seminaristi; infatti verrà ordinato Diacono da mons. Tardelli, domenica 21 Maggio alle ore 18.00 nella nostra cattedrale di san Zeno.

Come abbiamo avuto modo di vedere in questi anni di formazione, Gianni è un ragazzo molto dolce e umile, che attualmente sta servendo la nostra chiesa ad Oste (Montemurlo), aiutando Don Simone Amidei con un gruppo dopocresima della sua parrocchia.

Gianni, sei arrivato ad un momento importante della tua formazione, un momento in cui cominci a vedere il termine di un cammino. Quali sono le tue impressioni e cosa significa per te questo momento?

Innanzi tutto, grazie per il complimento che mi avete rivolto. In questi anni ho solo cercato di inserirmi con discrezione nel solco di una tradizione più grande ed antica come quella della Chiesa, in cui trovo già persone, presbiteri e laici, che hanno molta più esperienza di me e quindi posso solo  entrare in punta di piedi e cercare di trattenere il meglio da ognuno di loro.

La seconda cosa che vorrei dire è che con la mia ordinazione diaconale non finisce un cammino; diciamo, piuttosto, che si apre un capitolo nuovo. Adesso nella Chiesa, guardando anche alla nuova Ratio Fundamntalis per i seminari, si parla più di formazione permanente; una formazione che si attua in modi differenti in tutte le fasi della vita ecclesiale, nel seminario, da diacono e poi da prete diocesano.

Sicuramente questa è una svolta nella mia vita e, a dire il vero, non so bene raccontare quali sono le mie impressioni. Certamente sono contento e posso dire solo che ho messo tutto il mio cammino nelle mani di Dio e vivo nell’attesa di vedere che piega farà prendere il Signore alla mia vita. Non voglio vivere questo mio ministero diaconale facendo progetti su cosa farò, cosa dirò o come mi muoverò perché Cristo probabilmente ha progetti migliori di tutti quelli che posso fare io. Posso solo chiedere ogni giorno di avere più fede, più speranza e più carità; poi vediamo quello che succede.

Cosa  vuol dire, per i non addetti ai lavori, diventare “Diacono”?

La parola “Diacono” deriva dal greco e significa servitore. I Diaconi, infatti, in comunione con il vescovo, sono da sempre al servizio del popolo di Dio, aiutando nel ministero i sacerdoti nella liturgia, con i malati, nell’istruire ed esortare i fedeli, nella carità; avendo come riferimento lo stesso Cristo Gesù che si è fatto servo di tutti.

La preghiera di ordinazione che il vescovo pronuncia durante la celebrazione esprime bene tutto questo; infatti chiede al Signore che lo Spirito Santo dia la grazia all’eletto per adempiere questo ministero nella carità, nell’umiltà e nella purezza di cuore, affinché la vita del diacono sia di esempio per tutti. Ma, quello che mi è sempre piaciuto di più del rito di ordinazione, si trova proprio alla fine, ed è la prima cosa che il vescovo dice al nuovo diacono, subito dopo indossate le vesti: “…credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”. Bellissimo.

C’è l’invito concreto della Chiesa a vivere la fede del Signore Risorto in tutti gli aspetti della vita, affinché Fede e Vita coincidano. E’ una bella sfida.

Nell’ordinazione sacerdotale, poi, sarà ancora diverso perché si richiederà al nuovo sacerdote, non solo di vivere la fede, ma addirittura la coscienza di quello che celebra sull’altare, però questo è un’altra cosa.

Che significa l’immagine che hai scelto come ricordo della tua ordinazione?

Qualche settimana fa, nel dialogo con un amico, gli dissi che, arrivato a questo punto del cammino, c’è il rischio di tirare i remi in barca e farsi portare dalla corrente, perché ormai ti consideri “arrivato”.

Questo un po’ mi strideva perché dopo sei anni di formazione in seminario non può finire tutto con un banalissimo sentirsi arrivati! Quindi ora più che mai c’è bisogno di remare. La sera stessa, questo amico, mi manda per messaggio una foto che aveva fatto lui personalmente in una chiesa a Roma. L’immagine era la sintesi della nostra chiacchierata, perché raffigurava Cristo in barca con due discepoli, i quali remano guardando nella stessa direzione, e Gesù, dietro a loro, che tiene il timone.

Così, senza pensarci due volte, l’ho scelta subito come santino.

La cosa che mi colpisce è proprio il fatto che i discepoli sono tutti tesi a remare, a muoversi in avanti con la certezza che è Gesù che guida la barca (cioè la Chiesa); non siamo noi a dare la direzione, anche se tante volte abbiamo la pretesa di farlo. Questo, secondo me, va tenuto bene a mente.

Come prosegue il tuo impegno nella comunità di Oste? In  attesa del Sinodo dei giovani, data la tua esperienza in parrocchia con un gruppo dopocresima, quali sono le problematiche che hai potuto leggere nelle loro vite?

Il mio impegno ad Oste va molto bene. Don Simone è attento e mi parla delle varie problematiche che si possono trovare al giorno d’oggi in una parrocchia. Soprattutto mi sta facendo vedere come è importante, tra le altre cose, portare avanti una formazione Cristiana per gli adulti, a partire dai genitori dei bambini del catechismo e poi estesa a tutti; non tanto per avere molte persone che gravitano intorno alla Chiesa, ma perché si possa ricreare, prima di tutto in famiglia, una vera comunità cristiana.

Per quanto riguarda i ragazzi, la questione si fa più complicata. Non ho così tanta esperienza con loro da poter delineare un quadro esaustivo di tutte le problematiche, però posso dire che la mentalità comune del mondo che viviamo è riuscita a togliere a questi ragazzi la loro “tensione alle stelle” cioè quella capacità di desiderare l’infinito. Non riescono più ad immaginare cosa vogliono fare da grandi, fanno fatica a vedersi tra venti anni nel futuro; non riescono a dire quali sono le loro passioni nella vita.

Occorre tanta pazienza ed un lungo cammino, ma vedo che i preti in diocesi, ognuno a loro modo e con le forze che hanno, riescono ad aprire qualche spiraglio. Magari con il Sinodo dei giovani si riuscirà a delineare una strada precisa.

C’è un messaggio che vorresti dare in merito per chiunque voglia mettersi alla sequela di Cristo, cominciando un cammino come il tuo?

Come piace dire a me, la vocazione è una misteriosa chiamata di Gesù a seguirlo in ciò che accade, in cui uno gioca tutta la sua libertà nel rispondere sì o no al suo invito; e non è la proposta della mamma o della nonna a diventare prete, o l’attrattiva di una vita facile che fa indossare abiti scintillanti d’oro a Natale. Se qualcuno si sente chiamato su questa strada si faccia aiutare inizialmente dal proprio parroco o da un altro prete di fiducia ad indirizzare bene la propria libertà con un discernimento serio.

Oggi è fondamentale riuscire a fare una prima verifica della vocazione fuori dal seminario, e poi la verifica definitiva si farà nei primi anni della formazione con le persone indicate dal vescovo.

La questione che va verificata da principio è che la chiamata al ministero sacerdotale è prima di tutto una chiamata alla verginità, non solo intesa sessualmente ma che riguarda anche i rapporti con tutte le cose e con tutte le persone, compresi se stessi; e nel mondo d’oggi non è facile perché fa credere che per essere felici servano solo i soldi, il potere e la trasgressione in tutte le sue forme. Vorrei sottolineare che, per questo motivo, serve molta discrezione. Secondo me, in una realtà che non capisce più la chiamata sacerdotale, la vocazione deve essere custodita gelosamente, come un fiore delicato, perché possa sbocciare a tempo debito in tutta la sua bellezza; e quindi non si può sbandierare subito a chiunque (compresi i genitori ed amici) la propria intenzione di entrare in seminario, perché ognuno a suo modo vorrebbe dare la propria opinione sulla vita degli altri. Ma la chiamata di Cristo a seguirlo nel sacerdozio (così come nel matrimonio) non è un’opinione: è un fatto; è il rapporto personale che ognuno di noi ha con Gesù e che incide ogni giorno sulla nostra vita; e ogni giorno va richiesta come il primo giorno.

Come dicevo prima: non ci si può mai sentire “arrivati”. Quindi affidiamoci senza paura, perché è un Altro che guida la barca.

Daniela Raspollini