Ordinazione presbiterale di Gildas e Ugo – 5 Gennaio 2016

Ordinazione presbiterale di Gildas e Ugo
5 gennaio 2016 – Cattedrale di S. Zeno – Pistoia

In questo momento, l’emozione per quelle che sono le mie prime ordinazioni sacerdotali a Pistoia – e spero che ce ne siano tante altre nei prossimi anni – è grande. E’ un’emozione unica, che solo il vescovo può provare. La grandezza del dono che si comunica attraverso la preghiera e l’imposizione delle sue mani è tale, che la coscienza della sua miseria e debolezza gli fanno sentire che si compie un miracolo, assolutamente un miracolo. E’ una paternità miracolosa, quella che si realizza; una paternità che dona fecondità a chi è ben consapevole della propria sterilità e non può che guardare con stupore a ciò che la potenza di Dio opera attraverso di lui, senza alcun merito.

Carissimi Gildas e Ugo, la festa solenne dell’Epifania del Signore, ci pone davanti agli occhi la storia dei magi d’oriente: gente che cerca il Signore, lo trova e l’adora, ritornando poi ad annunciare alle genti il nato Messia.
Questa affascinante e misteriosa storia raccontata nei vangeli dell’infanzia, nasconde un segreto messaggio di verità; rivela l’universale chiamata dei popoli, di tutti e di ognuno, all’incontro con la luce che sconfigge le tenebre, con la fonte dell’amore che vince l’odio, con la sorgente della speranza bambina che attraverso la croce fa risorgere la vita.

Proprio dall’avventura di questi misteriosi sapienti, vorrei trarre questa sera, per noi e per voi, carissimi Gildas e Ugo, insegnamenti e propositi per la vita dei presbiteri.
Ed ecco che dapprima ci possiamo soffermare sul fatto che questi sapienti camminano cercando il Signore. Camminano senza stancarsi, guidati da una stella speciale nel cielo d’oriente. Camminano e domandano. Sanno che il Re dei re è nato sulla terra, è dentro le pieghe della terra. E lo cercano senza posa, muovendo i propri passi da lontano, fino alla meta.

Così, carissimi, dev’essere la vita di un sacerdote di Dio: alla ricerca costante di Lui, in cammino sempre, perché mai arrivati. In cammino come un qualsiasi uomo che cerca la via della vita. Senza fermarsi, senza considerarsi mai sul trono dei sistemati, sapendo invece che quel Dio che è nato nel mondo, Re dei re e Signore dei Signori, si nasconde nei luoghi più impensati, nei posti dove non immagini possa essere il sovrano del mondo, in mezzo alla povera gente, in una grotta di pastori, cullato da una tenera e giovane madre e da un padre che fa del silenzio la sua parola. Il prete non si stancherà mai di cercare il suo Signore. E lo cercherà, questo Signore, in quel povero pezzo di pane che consacrerà ogni giorno; nelle pagine sgualcite di un usato breviario; nella capanna mal messa che spesso è la santa e povera chiesa, nel silenzio di un tabernacolo; come – e eccome – nel volto dei poveri, dei malati, dei soli, di chi non ha nulla, neppure la dignità. Siate dunque cercatori di Dio, dovunque esso si celi, sempre in cammino per riconoscerlo e adorarlo.

E proprio l’adorazione è la seconda cosa cui vorrei far riferimento per la nostra e vostra vita, stasera, carissimi Gildas e Ugo. “Siamo venuti per adorare il Signore”. Così dicono i magi. Davanti al bambino, narra il testo, essi “si prostrarono e lo adorarono” presentando i loro doni. Il presbitero deve essere un uomo abituato a prostrarsi e ad adorare Dio e Dio solo. Lo farete tra poco fino a baciare la terra, e dovrà essere questo il segno di uno stile di vita che adora Dio solo, nessun’altra creatura, né il denaro né il potere e nemmeno se stessi. Meno che meno, il principe di questo mondo che cerca subdolamente adoratori in ogni dove, anche nella santa casa del Signore. La schiena del presbitero non si può piegare. Deve restare diritta, senza paure e senza servilismi, senza preoccupazioni di carriera o altro; piegandosi invece ogni giorno solo davanti al Dio Altissimo per adorarlo nella sua infinità maestà, nella sua tenera dolcezza, nella sua forza onnipotente, nella sua misericordiosa e umile presenza, medicina di fronte all’arroganza dei superbi e allo strapotere degli idoli di turno.

Nell’adorazione i magi offrirono doni. E noi che cosa mai potremmo offrire alla maestà divina? I nostri doni, certo, cioè le nostre povere vite; la vita dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, i drammi e le ferite, le gioie e le speranze di ognuno, il grido dei poveri e dei diseredati. Si, tutto questo possiamo offrire al Signore, aprendogli lo scrigno del nostro piccolo cuore. Soprattutto però noi offriamo alla maestà divina, tra i doni che ci ha dato, la vittima pura, santa e immacolata, pane santo della vita eterna e calice dell’eterna salvezza, cioè Gesù Cristo nostro Signore, che nei doni dei sapienti d’oriente è significato, immolato e ricevuto.

Ecco, per noi sacerdoti di Dio, quella Messa celebrata ogni giorno a lode del Padre e vantaggio di tutto il popolo è il massimo della adorazione. In quell’offerta eucaristica di Gesù morto e risorto c’è la pienezza del nostro ministero, la salvezza del mondo, la resurrezione dei morti, la vita che non muore, il senso di tutto l’universo, la discesa sul mondo della pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo e la nostra personale guarigione.
Sappiate quindi sempre, Gildas e Ugo, immedesimarvi nell’Eucaristia che da stasera celebrerete “in persona Cristi” per il bene degli uomini. Vivete dell’Eucaristia e vogliate conformare la vostra vita al mistero che celebrate. “Imitamini quod tractatis”, vi dirò tra poco nei riti esplicativi dell’Ordinazione. Ricordatevelo sempre.

Infine, ecco che questi sapienti d’oriente fecero ritorno a loro paese. Come non leggere in questa semplice notazione, il viaggio che porta ad altri la buona notizia dell’incontro avvenuto? Credo davvero che si possa intendere così e dunque pensare che dall’incontro adorante col bambino Gesù, i magi se ne tornarono al loro paese con la gioia nel cuore, quella che avevano provato al vedere la stella. Consapevoli di due cose, ritengo: la prima, che Dio, dal momento dell’incarnazione, lo si può incontrare in ogni uomo, specie piccolo e indifeso, perché ogni uomo porta la sua impronta ed è Lui, Lui da accogliere, Lui da sfamare, Lui da visitare, sorreggere e curare; la seconda, che questa novità del mondo va portate a tutti, tutti ne devono essere al corrente: se Dio ha visitato la terra ogni uomo ha diritto di saperlo.

Così, carissimi, dev’essere il presbitero: uno che si cura del popolo e va a cercare chi si è perduto o è rimasto ai margini della strada, per raccontargli dell’amore del Signore. Non sta in pace, non può essere in pace il sacerdote sapendo che ci sono uomini e donne, giovani o vecchi che soffrono, attendono, sperano. Egli porta nel cuore una santa inquietudine, quella di chi sa di dover far conoscere la misericordia di Dio dovunque.
Non abbiate perciò mai, carissimi, la mentalità dell’impiegato che, fatte le sue ore di lavoro, può finalmente pensare a se stesso. Ne’ cadete mai nella tentazione di vedere il vostro ministero come incarico funzionale, provvisorio, a tempo, limitato alle mansioni che vi saranno affidate. Il vostro cuore batta invece all’unisono con quello di Cristo che ha sete della salvezza di ogni uomo e vi spinga fuori, a cercare e trovare, a visitare e incontrare, come veri debitori del Vangelo verso chiunque.

Che Dio vi accompagni, Gildas e Ugo per le strade della vita e la chiesa di Pistoia possa godere a lungo del vostro ministero. Che la santissima Vergine Maria, nostra tenerissima Madre, vi tenga per mano, perché non vi smarriate per via nella tempesta, non vi lasciate mai soffocare dalla tristezza né sgomentare di fronte all’inevitabile croce, dalla quale il nostro Sovrano non disdegnò di regnare sul mondo.

+ Fausto Tardelli